La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Le COMUNITA' in Italia        RITIRO ANNUALE 2023  Roma, 22 - 27 agosto


26 agosto

 

mattina:

7. Cuore di Maria

Giovanni 19

22 Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

23 I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti — una per ciascun soldato — e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo.

24  Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice:

            Si sono divisi tra loro le mie vesti

            e sulla mia tunica hanno gettato la sorte.

E i soldati fecero così.

25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.

26 Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!».

27 Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete».

Nel testo evangelico, che raffigura un gruppo di persone in piedi accanto alla croce di Gesù, solo due figure non sono nominate con il proprio nome, ma sono indicate con i nomi comuni „(Sua) Madre” e „discepolo (che Gesù amava)”. Nel Quarto Vangelo, nomi, titoli e altre designazioni sono dati alle persone in modo permanente, intenzionale e corrispondente alla prospettiva teologica del suo autore.

Ad esempio, Giovanni, conosciuto nei Vangeli sinottici come il Battista, non è così chiamato in questo Vangelo. La prima e più importante attività del predecessore di Gesù non è battezzare, ma testimoniare colui che verrà dopo di lui, additandolo come l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Gv 1,29.35). Analogo significato ha l’omissione dei nomi delle due figure presenti accanto alla croce di Gesù. I loro nomi non compaiono da nessuna parte nel quarto Vangelo.

I termini „sua madre” e „discepolo” denotano la relazione di queste persone con Gesù. Non la propria identità, ma solo il rapporto con Gesù è essenziale per mostrare il senso della loro presenza accanto alla croce di Gesù e per comprendere il senso delle sue parole. Nella prima scena, che mostra la presenza di Maria, è chiamata tre volte sua Madre (Gv 2,1.3.5.12).

Quando gli ascoltatori di Gesù mettono in contrasto la conoscenza dei suoi genitori con quella del pane disceso dal cielo, menzionano il nome di Giuseppe come suo presunto padre, ma non menzionano il nome di Maria: „Non è costui Gesù, figlio di Giuseppe, il cui padre e madre lo sappiamo? Come può ora dire: „Sono disceso dal cielo” (Gv 6,42).

Similmente si fa riferimento ad un discepolo anonimo, la cui unica caratteristica è la relazione di Gesù con Lui, contrassegnata dalla frase: „che Gesù amava” (Gv 13,23; 19,26; 20,2; 21,7.20). . Anche nel racconto che presenta le parole di Gesù dalla croce si conserva questa caratterizzazione di entrambi i personaggi: il sostantivo „madre” compare cinque volte e il sostantivo „discepolo” tre volte.

Dalla croce Gesù si rivolge prima alla Madre e solo dopo al discepolo. Questa sequenza corrisponde alla loro presentazione da parte dell’evangelista: sua madre sta accanto alla croce e il discepolo - accanto alla madre. La presentazione del discepolo come suo figlio mostra che ella ricorda la promessa fatta ai discepoli durante l’ultima cena: „Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18). Nel contesto immediato, questa assicurazione si riferisce all’annuncio che dopo la sua partenza avrebbe chiesto al Padre di dare ai discepoli il Consolatore, lo Spirito di verità (Gv 14,16-17). Ma ora, ancor prima di partire, dona sua Madre al discepolo amato. Entrambe le affermazioni - alla Madre e al discepolo - mostrano che Gesù crea un rapporto nuovo, reciproco, stabilisce il legame più stretto tra le due persone a Lui più vicine. In altre parole, il rapporto verticale tra Lui e queste persone - contrassegnato dai termini „Sua Madre” e „Il discepolo che Egli amava” - porta a creare tra loro un legame orizzontale, che si esprime con i termini „Tuo figlio „ e „Madre di Dio” corrispondente a questa dimensione. tuo”. Lo stesso primato del rapporto con Gesù sul rapporto tra i discepoli: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi; che anche voi vi amiate così gli uni gli altri» (Gv 13,34).

La trasformazione dell’identità di coloro che stanno sotto la croce dipende interamente dall’azione del crocifisso. Alla Madre non è affidata alcuna azione se non quella di stare sotto la croce, mentre al discepolo amato è affidato solo il prenderla con sé. Il suo atteggiamento contrasta con l’iniziativa delle nozze di Cana (Gv 2,3-5). Perché ora è giunta l’ora di suo Figlio, il tempo della sua azione. La mancanza di altra attività sottolinea la sua completa sottomissione alle parole del Figlio - secondo l’ordine dato ai servi alle nozze: „Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5). Queste sono le sue ultime parole nel Quarto Vangelo e in tutto il Nuovo Testamento; d’ora in poi è interamente soggetta alla volontà del Figlio.

Nonostante che Gesù sia immobilizzato sulla croce, Egli ha il potere di creare una nuova realtà che, secondo la rivelazione data a Giovanni, è un atto regale: “E Colui che sedeva sul trono disse: ‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose’”(Ap 21,5).

 Cosa significa creare una nuova realtà? Quale nuova relazione possono creare le parole pronunciate dalla croce? Nicodemo dubitava della possibilità di rinascere: “Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può rientrare nel grembo di sua madre e nascere?” (Giovanni 3:4). Le parole di Gesù non hanno né un significato forte – la nascita fisica, né un significato debole – l’adozione o l’affidamento alle cure del discepolo più vicino. La risposta data a Nicodemo mostra che queste parole vanno interpretate nel senso di nascita spirituale.

Il segno dell’obbedienza del discepolo è l’accoglierla come sua madre (lett. „l’ha presa come sua”, che contrasta con il rifiuto del Verbo da parte del mondo (lett.: „è venuto a se stesso, e a se stesso non l’ha accolta” - Gv 1,11). Accogliendo Me come sua Madre, il discepolo non riceve da Lei la vita terrena, perché riceve il Verbo e con Lui la vita nuova che è stata promessa a quanti l’hanno accolto: „A quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo sono nati, ma di Dio” (Gv 1,12-13).


  

pomeriggio:

8. Cuore del discepolo amato e di Pietro

Matteo, Marco e Giovanni parlano dell’incontro di Cristo risorto con i suoi discepoli in Galilea. La descrizione più dettagliata si trova nell’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni. Il tutto è composto da tre scene, strettamente collegate tra loro (Gv 21,1-8.9-14.15-23).

La prima riguarda due catture di pesce: la prima, una fallita durante la notte; poi del successo, grazie al comando di Gesù, che appare all’alba sulla riva del lago. Sebbene Gesù sia la figura più importante, la persona più attiva è Pietro. Lo sviluppo degli eventi è determinato dalle azioni dell’Apostolo. È grazie a lui che i discepoli sono in barca sul lago. Quando dice: „Vado a pescare”, dicono subito: „Veniamo con te”. Piotr però non si assume il compito di catturare le persone, che ha tradito, non impone agli altri la sua posizione di comando - non dice: „Andiamo a pescare le persone”; o anche „Andiamo a pescare”.

Parla per sé e si limita all’occupazione precedente, non cerca di assumere una missione che ha negato. Il rimpianto, il pentimento, le lacrime amare non bastano, perché il discepolo non può ricostruire da solo il suo rapporto con Gesù. Similmente i discepoli che vanno insieme ad Emaus. Non basta camminare insieme, se vanno nella direzione sbagliata finché non hanno incontrato il Risorto. Poi hanno ripreso a camminare insieme, ma nella giusta direzione: verso una Gerusalemme trasformata dalla Risurrezione).

Vediamo che il Vangelo di Giovanni si concentra su Pietro. A lui, e non ad altri discepoli, il discepolo amato annuncia dell’ignoto che improvvisamente appare sulla riva: „È il Signore”. Ma è Pietro che si getta nell’acqua, non l’altro, amato discepolo. Riguardo alla conclusione di questa prima scena, va notato che l’Evangelista non accenna all’uscita di Pietro dall’acqua, quasi a lasciarci l’immagine di una pesca alquanto singolare: Pietro, andato a pescare, si trova ora nell’acqua, mentre Gesù è in piedi sulla riva. È qui che nasce l’attesa per il risultato di questa pesca importantissima: con Pietro in acqua e Gesù sulla riva.

La seconda scena raffigura eventi sulla riva e si conclude con un accenno alla colazione. Anche in questa scena Piotr è molto attivo.

Sebbene Gesù comandi a tutti i discepoli: „Portate più pesce di quello che avete pescato”, solo uno di loro lo adempie subito: „Simon Pietro andò e trascinò una rete piena di grossi pesci [...]”.

Anche in questo caso Piotr è attivo, prende l’iniziativa, si distingue dagli altri studenti. Ancora, un piccolo ma importante dettaglio: nel testo c’è una voce passiva „la rete non si è strappata”, e non c’è una forma riflessiva, come troviamo nelle traduzioni: „la rete non si è strappata”. Inoltre, viene utilizzato il verbo il cui sostantivo equivalente è il termine „scisma”. Così l’evangelista nota che la rete tesa da Pietro non si è strappata. Entrambe le scene – la pesca e l’incontro sulla riva – mostrano che Piotr si distingue dagli altri discepoli. Certo, alcune attività lo collegano ad altre. Si tratta della conoscenza di Gesù: anche se all’inizio non lo riconoscono, tutti lo riconosceranno sulla riva. In entrambe le scene, Pietro si distingue per qualcosa di più della semplice conoscenza di Gesù: questo è ciò che lo rende diverso dagli altri discepoli, questo è più legato alla persona di Gesù. E questo è qualcosa di più indicato dalla prima domanda rivolta a Pietro. Finora Gesù si era rivolto a tutti i discepoli insieme. Ora rivolge le sue parole solo a Peter. Nessun altro sarà il destinatario delle parole di Gesù fino alla fine del Vangelo.

Nella terza scena Gesù chiede proprio cosa distingue Pietro dagli altri discepoli: „Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?” Gesù non si rivolge al discepolo amato, ma chiede del discepolo chiamato ad amare.

21,15 Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».

16 Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore».

17 Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore.

18 In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 9 Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi»„.

La prima volta che chiede: „Mi ami più di costoro?” A questa prima domanda Pietro non dà una risposta precisa, ma aggiunge qualcosa, cambia qualcosa e omette qualcosa: in primo luogo sottolinea la conoscenza di Gesù, in secondo luogo non dice che ama Gesù, ma che gli vuole bene; in terzo luogo, non si confronta con altri discepoli. La seconda volta, Gesù si conforma parzialmente a questa risposta. Nella seconda domanda non c’è più paragone con l’amore dei discepoli: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?». La risposta è ancora come la prima volta: „Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene”. Anche la terza volta Gesù si adatta al cambio di verbo, cioè non chiede: «Mi ami?», ma “Mi vuoi bene?”.

Il dialogo non si esaurisce con l’ultima risposta di Pietro. Rimane un terzo elemento - aggiunto dall’apostolo alle domande di Gesù: „Signore, Tu sai [...] Signore, Tu sai tutto”. Le parole di Gesù che seguono l’ultima risposta mostrano che l’interlocutore di Pietro sa davvero tutto, che conosce la sorte dell’Apostolo. Gesù non solo lo istruisce ad essere responsabile degli altri con le parole „Pasci le mie pecore”, ma gli rivela anche il senso della sua vita. Il suo futuro destino contrasta con quello di un pastore che conduce le pecore dove vuole e dove conviene loro. Alla fine, il pastore dovrà andare dove non vuole andare. Sarà una pecora guidata da qualcun altro.

Questa sorte futura del pastore Pietro sarà simile alla passione e morte del suo Signore. Non si tratta del tipo di morte - crocifissione, ma del suo significato profondo.

Nel Vangelo di Giovanni, la morte delle persone, attraverso la quale Dio stesso è glorificato, è menzionata due volte nel Vangelo di Giovanni: la prima volta sono le parole di Gesù nell’ultima cena sulla propria passione e morte: „Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31); la seconda volta è l’interpretazione dell’evangelista dell’annuncio di Gesù su Pietro: «Così disse per indicare con quale morte avrebbe dato gloria a Dio» (Gv 21,19).

La morte di Pietro sarà tanto una dedicazione alla gloria di Dio quanto lo fu la morte di Gesù. L’annuncio della morte dell’apostolo risulta direttamente dalle domande su qualcosa di più, cosa deve essere in Pietro, è strettamente legato al suo amore per Gesù

Durante l’ultima cena, Pietro non sapeva unirsi a Gesù, perché sentendo che Gesù avrebbe dato gloria a Dio con la sua morte, voleva subito partecipare a questa gloria di Dio, promettendo di essere pronto a seguire Gesù e sacrificare la sua vita per lui, e non ha ascoltato le sue parole sull’amore.

La colpa della sua confessione non fu né la temerarietà né l’insincerità, ma l’omissione dell’importanza dell’amore come fondamento del rapporto del discepolo con Gesù: l’amore, la cui fonte e modello è il suo amore per i suoi discepoli, amore fino alla fine.


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