La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Le COMUNITA' in Italia        RITIRO ANNUALE 2023  Roma, 22 - 27 agosto


23 agosto

 

mattina:

 

 

1. Conferenza introduttiva: il termine “cuore” nelle nostre lingue

 

Definizioni elementari secondo i vocabolari:

“L’organo muscolare che costituisce il centro motore dell’apparato circolatorio, l’azione del cuore permette la circolazione del sangue”.

Dall’antichissima credenza popolare il cuore era il centro della vita spirituale e affettiva dell’uomo, sede della sensibilità, dei sentimenti, del desiderio, della volontà:

Per analogia con la sua posizione e il ruolo nel corpo è il sinonimo del centro o del mezzo di qualche cosa: il cuore della città, della notte, dell’inverno, dell’estate.

Il termine “cuore” definisce l’interiorità umana nel senso sia dell’origine delle azioni e delle parole dell’uomo, sia della sede delle sue esperienze spirituali, dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti.

 

Esempi presi dalle espressioni sapienziali e dai proverbi:

 

- indica tutta la persona:

Avere il cuore d’oro

Essere una persona generosa e buona.

Avere un cuore di ghiaccio / di pietra

Non avere sentimenti, essere spietati, senza umanità.

 

- indica sua attività:

Prendere a cuore qualcosa

Interessarsi di qualcosa con sentimento.

Stare a cuore a qualcuno

Essere importanti per qualcuno.

 

- indica sentimenti negativi:

Avere il cuore pesante

Essere delusi o dispiaciuti o addolorati per qualcosa.

Sentirsi stringere / piangere il cuore / Avere il cuore in gola

Avere ansia, preoccupazione o paura per qualcuno.

 

- indica consolazione e il suo contrario:

Scaldare il cuore

Consolare qualcuno.

Spezzare il cuore a qualcuno

Dare un forte dolore a qualcuno.

 

- con una parola negativa può avere il significato positivo:

Rubare il cuore a qualcuno

Fare innamorare qualcuno.

 

- esempio della importanza della lingua latina:

 

Take Heart

You should take heart and try your best.

Take heart. The worst is over.

Prendi il cuore

Definizione: coraggio.

Dovresti prendere coraggio e fare del tuo meglio.

Coraggio! (lett. Prendi il cuore). Il peggio è passato.

Avere il cuore di fare qualcosa

Avere il coraggio di fare qualcosa.

 

La parola greca kardia si riferisce all’interno delle persone come luogo dei loro pensieri e intenzioni nascoste. Questo uso coincide con il significato degli equivalenti della parola nell’Antico Testamento. Il suono fonetico del termine ebraico lēb, che significa cuore, e soprattutto la forma completa lēbāb, è associato al battito di un cuore che non si vede ma si sente. La connotazione che indica ciò che è dentro una persona e rimane nascosto agli altri prima di essere espresso con parole o involontariamente rivelato, ha i primi riferimenti biblici.

 

Quando Abimelech si giustifica davanti a Dio sul motivo per cui ha preso la moglie di Abramo, rivela la motivazione delle sue azioni come betom-lēbāb (Genesi 20:5-6):

5 Non è stato forse lui a dirmi: “È mia sorella”? E anche lei ha detto: “È mio fratello”. Con cuore retto e mani innocenti mi sono comportato in questo modo». 6 Gli rispose Dio nel sogno: «So bene che hai agito così con cuore retto e ti ho anche impedito di peccare contro di me: perciò non ho permesso che tu la toccassi.

La prima parte di questa costruzione significa perfezione nel senso di innocenza e purezza. In questo caso, è ben spiegato dall’espressione „in sincerità di cuore”, perché le intenzioni del sovrano di Gherar - nel senso dell’aspirazione che prima era nel suo cuore - si rivelano impeccabili perché Sarah gli ha presentato Abramo come fratello e non come suo marito.

Gli altri tre usi della frase si riferiscono al re di Gerusalemme che agisce come Davide „in sincerità di cuore” davanti a Dio (1 Re 9:4; Sal 78:72; 101:2). Tale perfezione è contraddetta dalla sua condotta in una situazione analoga a quella di Abimelech. Tuttavia, nonostante il doppio male (l’adulterio con la moglie di Uria e poi l’assassinio del marito) e il tentativo di nasconderlo alla gente, Davide merita tale etichetta perché davanti a Dio considerava la sua condotta peccaminosa e degna di morte (2 Samuele 12:5.13).

Nella letteratura sapienziale biblica, i riferimenti al cuore come interiore dell’uomo caratterizzano i suoi pensieri e le sue intenzioni come invisibili agli altri (Proverbi 20,5; 25,3). È soprattutto un nascondiglio per piani e desideri malvagi (Proverbi 12,20), che a volte sono mascherati da gentilezza (Proverbi 23,7; 26:25; Siracide 12,16). Tuttavia, nulla può essere nascosto a Dio, nemmeno nel cuore delle persone (Proverbi 15,11; 21,2; 24,12).

 

Abbiamo l’esempio nelle espressioni italiane:

Parlare a cuore aperto / col cuore in mano

Parlare con sincerità e fiducia.

Vorrei che aprissi il tuo cuore a qualcuno = Devi far uscire questi sentimenti.


  

pomeriggio:

2. Cuore di Dio e cuori degli uomini

Le prime menzioni del cuore di Dio, creando l’inclusione del racconto del diluvio, presentano il sentimento di Dio e il Suo pensiero. Con esse abbiamo due valutazioni di Dio sul cuore degli uomini come soggetto malvagio delle intenzioni e dei pensieri che determinano l’azione umana (Genesi 6,5; 8,21). In entrambi i casi, la diagnosi negativa del cuore delle persone è connessa con la reazione di Dio, che prima si addolora nel suo cuore a causa della loro condotta (Genesi 6,6), quindi decide di distruggerli insieme a una parte del creato (Genesi 6,6-7), e poi anche nel suo cuore decide (letteralmente, “disse al suo cuore”) che non porterà più tale distruzione su tutta la terra (Genesi 8,21-22):

Gen 6,5 Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. 6 E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.

Gen 8,21 Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto.

L’indurimento dei cuori è in contrasto all’ascolto della voce secondo la Lettera agli Ebrei, la più antica omelia cristiana (vedi sotto sul suo carattere di esposizione e di appello):

Ebrei 3,7-8:

3,7 Perciò, come dice lo Spirito Santo: Oggi, se ascolti la sua voce, 8 non indurite i vostri cuori come nell’amarezza, in un giorno di prova nel deserto, 9 dove i vostri padri mi hanno messo alla prova, e hanno visto le mie opere 10 quarant’anni. Ecco perché mi sono stufato di questa generazione e io dissi: Vagano sempre con i loro cuori ma non hanno conosciuto le mie vie.

L’invito a non indurire i cuori (Sal 95,8 [= LXX 94,8]) ha un riferimento preciso all’attività di Mosè, che parlava in nome di Dio e trasmetteva le Sue parole.

La frase “indurire il tuo cuore” indica il motivo della resistenza del faraone a lasciar partire gli israeliti (Esodo 4,21; 7,3; 9,12; 10,1.20.27; 11.10; 14,4.8.17; lo stesso nel caso di Sihon, che non vuole far passare gli Israeliti in Deuteronomio 2,30). Con questo atteggiamento, il faraone non ascolta ciò che il Signore dice per mezzo di Mosè (Esodo 7,22; 8,15; 9,12). Anche gli israeliti in cammino nel deserto sono caratterizzati da una durezza di cuore (sklērokardia) (Deuteronomio10,16; Siracide 16,10).

A differenza dell’atteggiamento del faraone, non era attribuito all’azione di Dio, ma ne erano interamente responsabili. Sebbene il popolo abbia visto i segni in Egitto e durante l’esodo, nel deserto non ha obbedito alle parole di Dio attraverso Mosè. Allo stesso modo, qui il verbo ha come soggetto non Dio (come in Lettera ai Romani 9,18), ma persone che, pur odendo la voce del Signore, non gli obbediscono.

La reazione di Dio è espressa verbalmente come valutazione della loro condotta. L’avverbio mostra sempre che il vagabondaggio non avviene solo durante la loro permanenza nel deserto, ma è il loro stato in corso. L’ignoranza delle vie del Signore, da un lato, è la causa di questo vagabondaggio del cuore e, dall’altro, il risultato di cuori induriti (una relazione di causa ed effetto simile si trova in Isaia 63,17).

Genesi 1 contiene il piano di Dio riguardo alla creazione e all’uomo in essa che prima si presenta nel Suo cuore. Teologia – significati: Dio sta parlando dell’uomo e a lui. L’uomo parla di Dio e a Lui. L’uomo parla di sé alla luce dei disegni di Dio. È una teologia massima: Dio dentro di sé parla di sé e del suo progetto sull’uomo.

Genesi 1,26 Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».

27 E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.28 Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».

Nel cuore umano comincia la ribellione contro il disegno di Dio.

Genesi 3

1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?».

2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».

6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò.

LXX (secondo la traduzione greca della Bibbia): E la donna vide che l’albero era buono come cibo e piacevole per gli occhi da vedere e desiderabile per contemplare (guardare con intensità / ammirare) (katanoēsai); e dopo aver preso del suo frutto ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e mangiarono.

Nei testi biblici greci, il verbo “guardare intensamente” (greco katanoein) significa dirigere la propria piena attenzione su una persona, cosa o fenomeno. Il suo significato non è limitato alla sola percezione sensoriale. Il soggetto della percezione è solitamente intrinsecamente interessato all’oggetto della percezione.  Le ragioni di questo coinvolgimento personale possono variare.

La prima menzione di questo verbo nella Bibbia è significativa: Allora la donna vide che il frutto dell’albero era buono da mangiare, che era una delizia per gli occhi e che era bello a vedersi (katanoēsai) (Genesi 3,6). L’inizio della caduta non è solo guardare i frutti, ma guardarli in modo tale da soccombere alla tentazione di allontanarsi da Dio.

Altri esempi del guardare con attenzione:

La madre del bambino cambiato spiega a Salomone: Quando l’ho guardato (katenoēsa) al mattino, ed ecco, non era mio figlio quello che avevo partorito (1 Re 3,21).

I fratelli di Giuseppe sono accusati di spionaggio: siete venuti a vedere (katanoēsai) i luoghi non fortificati di questa terra! (Genesi 42,9).

Vivacemente interessato alla situazione dei suoi connazionali, Mosè nota il male fatto a uno di loro, Mosè uscì dai suoi fratelli [...] e vedendo (katanoēsas) la loro fatica, vide anche un egiziano che picchiava un certo ebreo (Esodo 2,11).

La lettera agli Ebrei è un’antica omelia cristiana. Nell’omelia ci sono appelli e convocazioni. La prima di tali invocazioni formulate alla seconda persona plurale si trova all’inizio del terzo capitolo:

Perciò, fratelli santi, partecipi della vocazione celeste, prestate attenzione (katanoēsate) all’Apostolo e Sommo Sacerdote della nostra confessione, Gesù, poiché Egli è fedele a Colui che lo ha fatto, come e Mosè in tutta la sua casa (Ebrei 3,1).

L’attenzione degli ascoltatori non deve volgersi soltanto all’insegnamento in sé, ma alla persona chiamata Apostolo e Sommo Sacerdote, che è Gesù Cristo. Senza tale contemplazione, la nostra risposta ad altre azioni non ha fondamento. Qui si vede la priorità della contemplazione sull’azione, dell’adorazione sull’organizzazione.

L’autore della Lettera agli Ebrei invita a concentrare tutta l’attenzione su Gesù Apostolo e Sommo Sacerdote. Non si tratta solo dell’intensità dell’attività o della sua durata. L’intero argomento è quello di rivolgersi all’oggetto della percezione. La natura totale del rivolgersi al conosciuto determina la vita del conoscitore nel tempo e nell’eternità. Concentrarsi sulla persona di Gesù è una questione di vita o di morte. Per questo l’autore della lettera mette in guardia dall’imitare gli israeliti che disprezzano la parola di Dio durante il loro cammino nel deserto (Eb 3,7-19 interpreta il Sal 95). La seconda esortazione della lettera contiene un monito contro l’allontanamento da Dio:

Badate, fratelli, che non ci sia in nessuno di voi un cuore perverso e incredulo, che si allontani dal Dio vivente (Ebrei 3,12).

L’incapacità di concentrarsi su Gesù e sulla Sua parola porta all’apostasia (letteralmente, apostasia) da Dio.

In cosa consiste questa contemplazione di Cristo? Una risposta sorprendentemente semplice a questa domanda è data da un’altra menzione di questo verbo nella lettera:

“Prendiamoci cura gli uni degli altri (katanoōmen), per incoraggiarci a vicenda ad amarci e a compiere buone azioni. Non abbandoniamo le nostre riunioni comuni, come alcuni hanno fatto, ma incoraggiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno

Il verbo katanoein appare solo in questi due punti della lettera (Ebr 3,1; 10,24). In entrambi i casi si tratta di una relazione interpersonale. Nella prima menzione, significa ciò che è richiesto ai cristiani in relazione a Gesù, e nella seconda ciò che ci si aspetta da loro l’uno rispetto all’altro.

La chiamata a partecipare alla liturgia è un appello alla contemplazione di Cristo, Apostolo e Sommo Sacerdote. Il suo significato deriva dall’alternativa: contemplazione di Cristo nella liturgia o l’apostasia dal Dio vivente.


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