La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Le COMUNITA' in Italia        RITIRO ANNUALE 2019  Roma - giovedì, 29 agosto


 

 

Prima meditazione (7)

 

PROFETI DI GIOIA E SPERANZA

 

Il primo problema che ci deve far riflettere è quello di un deficit di spiritualità a cui molti autori fanno riferimento parlando della vita reale delle comunità religiose.

Già Giovanni Paolo II affermava: «La vita spirituale deve essere al primo posto [...]. Da questa opzione prioritaria, sviluppata nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni» (VC 93).

Papa Francesco descrive così le varie problematiche della VR oggi: “Resistenza di alcuni settori al cambiamento, la diminuita forza di attrazione, il numero non irrilevante di abbandoni…, la fragilità di certi itinerari formativi, l’affanno per i compiti istituzionali e ministeriali a scapito della vita spirituale. La difficile integrazione delle diversità culturali e generazionali, un problematico esercizio dell’autorità e dell’uso dei beni…” (Discorso ai partecipanti alla Plenaria CIVSVA, 27 novembre 2014).

Focalizzandoci sulle realtà basilari della nostra vita di religiosi vediamo come possiamo aiutare un vero cammino di conversione e di rinnovamento.

 

- Profezia ← Apatia.

Una delle cifre della nostra epoca è quella di essere caratterizzata da “passioni tristi”, perché espressione di impotenza e disgregazione.

Molti religiosi sono conviti che la salvezza del carisma passi per la salvezza delle attuali strutture, qui hanno preso le loro scelte e qui si sentono al sicuro da una crisi generale.

Purtroppo ogni volta che si mette al sicuro il proprio cuore questi finisce per “congelarsi” e diventa incapace di “appassionarsi”; a volte la sicurezza che si è raccomandato ai religiosi e ai preti è di chiudere il cuore in un “amore telescopico”: bisogna amare l’uomo “in generale” o tutti gli uomini, rischiando però di diventare incapaci di vedere o di esprimersi con chi sta accanto.

Accostarsi al mistero dell'amore significa realizzarlo amando delle persone concrete, alcune con amicizia, altre con profondo affetto, imparando ad integrare questi amori nella nostra identità di religiosi.

 

- Vita Comune ← Scisma sommerso.

Si appartiene all’Istituto finquando ci conviene e ci fa comodo; per cui si parla di quella “appartenenza con riserva” che sembra segnare il legame che molti religiosi hanno con la comunità, ma invero con la Congregazione stessa.

Molti hanno imparato a vivere la vita “altrove” (nell’apostolato, nelle amicizie, nei legami famigliari, internet, ecc.), per cui resta solo una presenza “fisica” ma priva di passione ed iniziativa, che finisce poi per intaccare la qualità delle relazioni sociali. Come cartina tornasole di questo fenomeno è stato il sorprendente numero di religiosi che di fronte ad una proposta progettuale diversa dall’attuale hanno minacciato, e alcuni attuato, di lasciare la Congregazione.

E’ preoccupante il fatto che la maggior parte di loro ha un’ età tale, che avrebbe oramai dovuto aver interiorizzato certi valori.

Può la vocazione dipendere dall’autorità? Che senso ha allora la presenza di questo numero di religiosi visto che sono con noi a patto che vengano rispettate le loro volontà e soprattutto le loro libertà, le loro aspirazioni, il loro carrierismo?

 

- Testimonianza ← Individualismo e chiusura in progetti personali.

Proprio perché vita comunitaria e missione sono due facce della stessa medaglia, se all’interno della vita fraterna si è imparato a vivere una “alberghiera convivenza”, questi fattori diventano esplosivi all’interno dell’azione ministeriale, dove dalla comunione spirituale si dovrebbe passare alla collaborazione pastorale.

Non solo si perde in efficacia perché la testimonianza non è “sinfonica”, ma perché l’indebolimento del legame provoca nel collaboratore la proiezione non dell’immagine del confratello, ma di un concorrente.

Proprio in questo desideriamo riaffermare che il processo di conversione personale e comunitario, investe la “realtà totale” e non solo le sue strutture, perché è una “chiamata di Dio alla conversione per una nuova fedeltà creativa alla vita comunitaria, alla preghiera, alla missione e alla solidarietà concreta all’interno della Congregazione e verso i poveri…, un mezzo per dare vitalità rinnovata alla Congregazione…, e questo ci costringe ad andare alla radice stessa del nostro essere consacrati ad essere vittime per amore, d’amore e con amore a Cristo” .

Per questo si deve lavorare per una con-versione personale e comunitaria intorno a queste colonne fondati cercando di recuperare quelle virtù capaci di riattivale.

 

- Profezia → Parresia.

La Profezia attraversa tutta la nostra vita e missione perché è essa ad essere “costitutiva ed identitaria della vita religiosa e non altro; … [qui] l’esercizio ordinario della profezia … passa attraverso il carisma che le è proprio”. Essa si ancora anzitutto il riconoscimento del primato di Dio e del suo trono, soltanto davanti al quale l’uomo deve inchinarsi, e soltanto all'unica e assoluta sovranità di Dio è dovuta l'adorazione.

Non ex officio, ma e Spiritu voi Suore Orsoline siete state chiamate a una vita che, mediante una scelta radicale, diventa sgombra da molteplici impedimenti in vista della creazione di una comunità diversa, di un futuro diverso.

E’ questa novità l’oggetto della Profezia, che porta con sé alcune caratteristiche come la rottura con il conformismo e un’alternativa di vita senza diventare settari.

Per porre al centro della propria vita la novità del Regno - che è più reale del reale, sebbene visibile solo nella fede – bisogna amarlo e dedicare le proprie energie secondo quella parresia evangelica, quella sincerità, schiettezza e franchezza che rendeva credibile la comunità apostolica. Bisogna lavorare per ritrovare quella passione, che ci permette oggi - con quella gioia tipica di una libertà liberata.

- di poter consegnare la nostra vita alla Congregazione come facemmo allora nel giorno della nostra professione.

 

- Vita comune → Appartenenza (Solidarietà).

Alla luce della Parola di Dio — dove nell'ascolto condiviso e nella preghiera unanime e concorde — che la comunità trova lucidità per scoprire la propria identità e l'idolatria del mondo presente, ritrova nel contempo la certezza del mondo futuro. “Non a caso tra i motivi principali di abbandono si evidenziano l’indebolimento della visione di fede, i conflitti nella vita fraterna e la vita di fraternità debole in umanità”.

La problematica più profonda e più grave di tale processo è la perdita di entusiasmo e di idealità nella propria vocazione, la perdita di un senso di appartenenza ad un “corpo unico, unanime e concorde” articolato nelle diversità geografica e territoriale, la delusione e l’amarezza che porta ad uno sfilacciamento del tessuto comunitario ed apostolico. Ma per ritrovare l’appartenenza bisogna prima smarrirsi come soggetto e ritrovarsi come persona; soppesare – alla luce del Vangelo e della sua sapienza – se le istanze con cui alimentiamo il nostro io sono davvero portatrici di vita o sono le catene che ci tengono bloccati al nostro Idolo.

 

- Testimonianza → Apertura (e collaborazione).

La mistica è la prima strada anche della Nuova Evangelizzazione. La qualità della vostra presenza attiva nella Chiesa e nel mondo, della vostra passione per la vita, è generata dall’Amore Crocifisso, presente sacramentalmente nell’Eucaristia. E’ urgente a tale riguarda arrivare ad una vera mistica comunitaria…. L'attuale situazione complessa provoca fortemente la Chiesa e interpella il suo modo di “abitare” i luoghi; infatti non ci sono dei "luoghi favorevoli" predeterminati a diventare luoghi di Chiesa, ma questi si realizzano nel momento in cui ciò che "fa" la Chiesa si presentano e si manifestano: l'unione dei fedeli, l'annuncio della Parola, la celebrazione intorno al ministero apostolico. Perciò è urgente qualificare la presenza delle nostre comunità nel territorio; infatti, la presenza evangelica è la condizione di base e nello stesso tempo la prima modalità di annunciare il Vangelo.

Si tratta principalmente di stare in mezzo alla gente nella vita di tutti i giorni caratterizzata dalla capacita di ascolto e partecipazione alla vita della gente stessa, da apertura, accoglienza e stima ricambiata verso gli interlocutori, unite a conoscenza seria della cultura e delle religioni di queste persone. Ciò non è possibile se prima questo clima di condivisione non viene vissuto “in casa” e diventa espressione della persona, piuttosto che un’abilità da adottare “quando si è in missione”. In questo senso si stratta di far riappropriare la comunità della sua coscienza generativa ed educativa, cioè la coscienza di essere testimonianza di una chiesa evangelica, sinodale ed inclusiva del mondo laicale.

 

Facciamo nostre le parole di Papa Francesco che nella lettera di indizione dell’anno della vita consacrata del 21 novembre 2014, ci scriveva queste cose, per capire il senso della nostra missione e la nostra identità, come consacrati, di essere profeti di gioia e speranza.

 

“Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. «La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico». È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia» (29 novembre 2013).

Il profeta riceve da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vive e di interpretare gli avvenimenti: è come una sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora (cfr Is 21,11-12). Conosce Dio e conosce gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle. È capace di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e le ingiustizie, perché è libero, non deve rispondere ad altri padroni se non a Dio, non ha altri interessi che quelli di Dio. Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sa che Dio stesso è dalla loro parte.

Mi attendo dunque non che teniate vive delle “utopie”, ma che sappiate creare “altri luoghi”, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la “città sul monte” che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù.

A volte, come accadde a Elia e a Giona, può venire la tentazione di fuggire, di sottrarsi al compito di profeta, perché troppo esigente, perché si è stanchi, delusi dai risultati. Ma il profeta sa di non essere mai solo. Anche a noi, come a Geremia, Dio assicura: «Non aver paura … perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).

 

Preghiera

 

Quant’è difficile essere profeta della pace!

Se alzo il dito verso un futuro gonfio di speranze, i realisti mi trattano da idealista;

e se lo abbasso sul presente affranto da sconfitte, gli utopisti mi tacciano di disfattismo.

Signore, donami il coraggio di accettare solo da Te la rude vocazione di profeta e di essere ogni volta un perdente tra gli uomini!

Quant’è difficile essere pedagogo della pace! In mezzo alle tortuosità di un cammino scosceso,

come far capire che un male minore, anche se tollerato, rimane un male

e che bisogna far di tutto per allontanarsi dall’orlo dell’abisso in cui a ogni istante l’umanità rischia di precipitare?

 

 

Seconda meditazione (8)

 

QUATTRO RUOTE PER VIAGGIARE DA VERI CONSACRATI

Avviandoci verso la conclusione degli esercizi è doveroso riflettere sulle cose essenziali che vanno salvaguardate nella vita di ogni consacrato.

 

1. La Preghiera

La vita religiosa non può sostenersi senza una profonda vita di preghiera individuale, comunitaria, liturgica. Il religioso - che abbraccia concretamente una vita di totale consacrazione - è chiamato a conoscere il Signore risorto in una fervida esperienza personale, a conoscerlo come una persona con la quale si è in profonda comunione: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3). La conoscenza del Signore nella fede genera amore: «Voi lo amate pur senza averlo visto, e ora, senza vederlo, esultate di gioia indicibile e gloriosa» (1 Pt 1, 8). Questa gioia fatta di amore e di conoscenza si concretizza in molte forme, ma, fondamentalmente, in modo essenziale e necessario nell'incontro individuale e comunitario con Dio nella preghiera. Qui il religioso trova «la concentrazione del cuore in Dio» (DmC 1) che unifica l'intera vita e la sua missione.

Il religioso ha bisogno di pregare per approfondire l'unione con Dio (Lc 5, 16). La preghiera è anche una condizione necessaria per proclamare il vangelo (Mc 1, 35-38). E' il contesto di tutte le decisioni e degli eventi importanti (Le 6, 12-13). Sull'esempio del Signore, inoltre, l'atteggiamento permanente di preghiera è necessario al religioso per avere la visione contemplativa delle cose, in virtù della quale nella fede Dio si rivela negli eventi ordinari della vita (cfr. DmC 1).

Ogni religioso ha il diritto di essere sostenuto dalla presenza e dall'esempio degli altri membri della comunità in preghiera. Ognuno ha il privilegio e il dovere di pregare con i confratelli e di partecipare insieme alla liturgia, centro unificante della loro vita. Tale aiuto reciproco incoraggia lo sforzo a vivere la vita di unione con il Signore a cui i religiosi sono chiamati.

 

2. L' Ascesi

La disciplina e il silenzio necessari alla preghiera ricordano che la consacrazione mediante i voti religiosi esige una certa ascesi di vita che «coinvolga tutto l'essere» (ET 46). La risposta di povertà, amore e obbedienza data da Cristo, lo condusse alla solitudine del deserto, alla sofferenza della contraddizione, all'abbandono sulla croce.

La consacrazione introduce il religioso in questa stessa via. Essa non può riflettere la consacrazione del Signore, se lo stile di vita del religioso non offre un elemento di rinnegamento. La vita religiosa richiede di abbandonare tutto e di prendere la propria croce per seguire Cristo tutta la vita. Occorre, pertanto, l'ascesi necessaria per vivere in povertà di spirito e di fatto, amare come Cristo ama; rinunciare alla propria volontà per amore di Cristo nel sottostare alla volontà di un altro che lo rappresenta, per quanto imperfettamente. Ciò richiede una rinuncia di se stesso, senza la quale non è neppure possibile vivere una buona vita comunitaria e una missione feconda.

E’ necessario che il chicco di frumento affondi nel terreno e muoia se vuoi portare frutto, si applica in modo particolare ai religiosi a causa del carattere pubblico della loro professione. E' vero che gran parte della penitenza di oggi è costituita dalle stesse condizioni di vita e dal doverle accettare. Ma se i religiosi non edificano la loro vita su «un'austerità gioiosa ed equilibrata» (ET 30) e su concrete rinunce volontarie, rischiano di perdere la libertà spirituale necessaria per vivere i consigli evangelici. La loro stessa consacrazione, senza austerità e rinunce, potrebbe essere compromessa.

 

3. La testimonianza pubblica

Per la sua stessa natura, la vita religiosa è una testimonianza che deve manifestare chiaramente il primato dell'amore di Dio, con una forza che deriva dallo Spirito Santo (cfr. ET 1). Gesù stesso ha vissuto questo nel modo più eminente: testimone del Padre «con la forza dello Spirito» (Lc 4, 14) nella vita, nella morte, nella risurrezione, rimanendo per sempre il testimone fedele.

A sua volta egli mandò i suoi apostoli, nella forza del medesimo Spirito, perché fossero suoi testimoni in Gerusalemme, attraverso la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra (cfr. At 1, 8). Il soggetto della loro testimonianza era sempre lo stesso: a ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato, il Verbo della vita» (Gv 1, 1): Gesù Cristo «il Figlio di Dio, costituito con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1, 5).

Anche i religiosi sono chiamati a testimoniare nel loro tempo una simile, profonda esperienza personale di Cristo, a diffondere la fede, la speranza, l'amore e la gioia che questa esperienza continuamente infonde.

Il loro permanente rinnovamento personale di vita deve originare nuovo fermento nell'istituto a cui appartengono, rievocando in tal modo le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II: «Ciò che più ha importanza, non è quello che i religiosi fanno, bensì ciò che essi sono come persone consacrate al Signore» (Messaggio all'Assemblea Plenaria della SCRIS, marzo 1980). Noi abbiamo visto il Signore. Egli è risorto. Abbiamo udito la sua parola. Il carattere totalizzante della consacrazione dei religiosi richiede che la testimonianza del vangelo sia data pubblicamente attraverso la globalità della propria vita. Valori, atteggiamenti, stile di vita: tutto indicherà con forza il posto che Cristo ha preso nell'esistenza. La visibilità di questa testimonianza comporta la rinunzia ad agiatezze e comodità che, in situazioni diverse, sarebbero pure legittime; richiede anche la limitazione di certe forme di distensione e divertimento (cfr. ES I § 2; CD 33-35).

Essi indossano un abito religioso che li distingue in quanto persone consacrate; abitano in case stabilite dal loro istituto in conformità con il diritto comune e le costituzioni. Così pure viaggi, contatti sociali e altre forme di comunicazione devono conformarsi allo spirito e all'indole del proprio istituto e all'obbedienza religiosa.

Il modo di lavorare è altresì importante per la testimonianza pubblica. Che cosa si faccia e come venga fatto devono riflettere Cristo attraverso un'essenziale povertà interiore di colui che non cerca la sua soddisfazione personale.

La fedeltà all'apostolato affidato al proprio istituto è pure essenziale per una testimonianza autentica. Dedicarsi individualmente e in modo arbitrario a degli impegni a scapito delle opere proprie dell'istituto può essere soltanto dannoso.

La perseveranza dei religiosi - anch'essa un dono del Dio dell'alleanza - è la testimonianza eloquente, ancorché senza parole, del Dio fedele il cui amore è senza fine.

 

4. Il rapporto con la Chiesa

La vita religiosa occupa un proprio posto nella struttura divina e gerarchica della Chiesa. Non è un qualcosa di intermedio tra la condizione clericale e quella laicale, ma proviene da entrambe, quasi come dono speciale per tutta la Chiesa (cfr. LG 43; MR 10). La vita religiosa partecipa della natura sacramentale del popolo di Dio in modo del tutto particolare. Ciò dipende dal fatto che essa è parte della Chiesa, sia come mistero che come realtà sociale, e non può quindi esistere senza i due aspetti ricordati. La vita religiosa è, infatti, un segno sociale ed esterno del mistero dell'azione consacrante di Dio che investe tutta la vita, ed è tale segno grazie alla mediazione della Chiesa per il bene dell'intero Corpo mistico.

Il duplice aspetto di «organismo sociale visibile e di presenza divina invisibile, in intima connessione tra di loro» (MR 3), è ciò che conferisce alla Chiesa quella «sua particolare natura sacramentale, in virtù della quale essa è sacramento visibile di unità salvifica» (LG 9).

Al tempo stesso, essa è soggetto e oggetto di fede che trascende completamente i parametri di una qualsivoglia prospettiva sociologica, persino quando rinnova le sue strutture umane alla luce di evoluzioni storiche e mutamenti culturali (cfr. MR 3). La sua natura la rende parimenti «sacramento universale di salvezza» (LG 48): segno visibile del mistero di Dio è realtà gerarchica; una concreta disposizione divina, mediante la quale questo segno può essere autenticato e reso efficace.

La vita religiosa comprende quindi entrambi gli aspetti. Fondatori e fondatrici di istituti religiosi chiedono alla Chiesa gerarchica di autenticare pubblicamente il dono di Dio da cui dipende l'esistenza del loro istituto. In questo modo i fondatori e i loro seguaci danno testimonianza al mistero della Chiesa, poiché ogni istituto esiste in quanto edifica il Corpo di Cristo nell'unità delle sue diverse funzioni e attività.

Al loro costituirsi, gli istituti religiosi sono subordinati in modo speciale alla gerarchia. I vescovi, in comunione con il successore di Pietro, formano un collegio che unitamente esprime ed effettua, nella Chiesa-sacramento, le funzioni di Cristo capo (cfr. MR 36; LG 21; CD 2).

Essi non hanno soltanto l'incarico pastorale di alimentare la vita di Cristo nei credenti, ma anche il dovere di verificare carismi e competenze. I vescovi sono responsabili di coordinare le energie della Chiesa e di guidare l'intero popolo di Dio a vivere nel mondo come segno e strumento di salvezza. Loro compete, pertanto, in modo speciale, di discernere i molteplici doni e le iniziative esistenti nel popolo di Dio. Ogni istituto religioso, - esempio particolarmente prezioso e significativo di questi molteplici doni - per l'autentico riconoscimento del suo carisma originario è subordinato al ministero affidato da Dio alla gerarchia.

Questa dipendenza vale non soltanto per il primo riconoscimento di un istituto religioso, ma anche per il suo successivo sviluppo. L'intervento della Chiesa non si limita alla nascita di un istituto. Essa lo accompagna, lo guida, lo corregge, lo incoraggia nella sua fedeltà al carisma originario (cfr. LG 45). Ogni istituto, infatti, è una parte vitale della sua vita e della sua crescita.

La Chiesa riceve i voti emessi nell'istituto come voti di religione. Ciò comporta conseguenze ecclesiali: essa diviene mediatrice di una consacrazione di cui Dio è artefice (cfr. MR 8). Essa consente pure all'istituto di partecipare pubblicamente alla sua propria missione, concreta e corporativa (cfr. LG 17; AG 40).

In conformità al diritto comune e alle costituzioni che essa stessa ha approvato, la Chiesa conferisce all'istituto l'autorità religiosa necessaria per vivere il voto di obbedienza. In breve, la Chiesa continua a essere in modo specifico mediatrice dell'azione consacratrice di Dio, riconoscendo e alimentando questa particolare forma di vita consacrata.

Nella vita quotidiana questo rapporto permanente tra i religiosi e la Chiesa ha la sua applicazione prevalente a livello diocesano o locale.

 

Preghiera a Maria, donna dell'ascolto

 

Maria, donna dell’ascolto, rendi aperti i nostri orecchi;

fa’ che sappiamo ascoltare la Parola del tuo Figlio Gesù tra le mille parole di questo mondo;

fa’ che sappiamo ascoltare la realtà in cui viviamo, ogni persona che incontriamo,

specialmente quella che è povera, bisognosa, in difficoltà.

 

Maria, donna della decisione, illumina la nostra mente e il nostro cuore,

perché sappiamo obbedire alla Parola del tuo Figlio Gesù, senza tentennamenti;

donaci il coraggio della decisione, di non lasciarci trascinare perché altri orientino la nostra vita.

Maria, donna dell’azione, fa’ che le nostre mani e i nostri piedi si muovano “in fretta” verso gli altri,

per portare la carità e l’amore del tuo Figlio Gesù,

per portare, come te, nel mondo la luce del Vangelo.

Amen.


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RITIRI ANNUALI