La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Le COMUNITA' in Italia        RITIRO ANNUALE 2019  Roma - martedì, 27 agosto


 

 

Prima meditazione (3)

 

Per rinnovarci spiritualmente sono necessarie due cose: avere uno sguardo di fede ed accogliere le istanze che ci vengono dal mondo, una volta si dicevano i segni di tempi.

Una prospettiva di fede e uno sguardo contemplativo alla realtà del mondo, della Chiesa e della vita consacrata ci aiuterà, in questi, giorni, dopo aver letto il vostro carisma e accolta la testimonianza di vita di Santa Maria Orsola, senza dubbio in questo sforzo di rispondere alle interpellanze del Signore in questo momento della vostra storia.

 

La vita è un cammino sconosciuto e pieno di sorprese per gli individui e per i gruppi. Allo stesso modo che una segnaletica stradale ci aiuta a non perderci nel percorso, i segni dei tempi e dei luoghi sono per noi una segnaletica stradale che ci offre il Signore per orientarci e guidarci nel nostro cammino. Per arrivare in un luogo, oggi mettiamo in funzione il navigatore satellitare che ci indica varie modalità di percorso: veloce, economico, a piedi o in altri modi. L’opzione della scelta sta a chi imposta sul display dell’auto o del cellulare il tipo di percorso che intende fare.

Questi segnali stradali di Dio, esaminati alla luce della fede, non ci aiutano soltanto a non perdere la strada, si trasformano pure in una esperienza del Dio sempre più grande che ci accompagna e ci guida.

 

1.La prima grande sfida per la vita consacrata oggi è quella di affondare la sua identità nell’esperienza di Gesù Cristo, un’esperienza che affascina e che porta ad una sequela e a una conversione continua.

E’ in Gesù, cammino, verità e vita dove noi scopriamo il vero volto di Dio, Padre-Madre che ci ama e che ci ha affidato una responsabilità. E’ Lui che ci ha donato il suo Spirito e, per mezzo di lui, il nostro carisma per una missione. E’ Lui l’unico assoluto. E’ Lui che dà senso alla nostra vita e che ci invita a vivere una spiritualità incarnata nella realtà, che sia vita nello spirito, che abbracci tutto, che comprenda anche l’azione.

Una spiritualità nutrita dalla Parola ascoltata nella Scrittura e nella vita, nella preghiera e nei sacramenti. Radicati in questa esperienza di Dio potremo scoprire vitalmente che “solo Dio basta” e tutto il resto passa, come ci ricorda santa Teresa D’Avila.

 

2.La  seconda sfida che la vita consacrata ha davanti a sé quella della fraternità in un mondo diviso dagli odii, dalle guerre, dalle ingiustizie e dall’oppressione. Vivere e testimoniare la comunione nella diversità, la possibilità di un dialogo multiculturale e mostrare la possibilità del dialogo e della pace fra i popoli, le razze e le culture. Nella esperienza della fraternità noi facciamo la esperienza del Dio Trinitario, comunione nella diversità.

 

3.Altra grande sfida per la vita consacrata è quella del profetismo. Senza avere il monopolio del profetismo perché tutto il popolo di Dio è profetico, lo stile di vita e gli impegni dei consacrati e delle consacrate possono e devono portare necessariamente ad evidenziare la dimensione profetica. La stessa consacrazione può essere in se stessa profezia in quanto testimonia valori evangelici che vanno spesso contro corrente nella società. Siamo interpellati a vivere la dimensione profetica dell’annuncio e della denuncia a servizio dei poveri e degli abbandonati, delle vittime della violenza e dell’ingiustizia, dei nuovi poveri, della difesa dei diritti umani, della promozione delle persone. Sfida grande è questa che ci sprona ad andare sempre al deserto, dove non c’è nessuno; alla periferia, dove si sperimenta la povertà e si condividono le necessità della gente; alle frontiere di situazioni difficili dove si corrono i rischi dell’annuncio del Vangelo (cf Sinodo VC, IL, 10). La sfida del profetismo ci aiuta a fare l’esperienza di un Dio liberatore da tutte le schiavitù del peccato personale e sociale.

 

4.Una sfida forte per la vita consacrata è pure quella di aprirsi in modo diverso da quello del passato a un laicato associato.

Questa condivisione del carisma e della spiritualità con i laici fa sì che il carisma di un Istituto riveli tutte le sue ricchezze, perché s’incarna nelle forme di una vita laicale. Può avere così la possibilità di essere ri-espresso in un linguaggio laicale, intelligibile dal punto di vista esistenziale per gli uomini e le donne del nostro tempo. Questo ci aiuta a mantenere la nostra identità. Solo quando guardiamo i volti degli altri e li vediamo differenti, prendiamo coscienza del nostro proprio volto. Questa sfida esige formazione, collaborazione e dialogo con i laici per giungere a una corresponsabilità nella vita, nella trasmissione del carisma e della spiritualità dell’Istituto, e non solo nel lavoro apostolico. In questa nuova apertura al laicato associato possiamo fare l’esperienza di un Dio presente nelle realtà terrene, un Dio che guida la storia e che ci parla negli avvenimenti e nelle situazioni positive e negative.

 

5.La quinta sfida è quella di offrire nuovi spazi alla donna. Il documento post-sinodale Vita consecrata sottolinea questa sfida quando dice: “non si può non riconoscere la fondatezza di molte rivendicazioni concernenti la posizione della donna in diversi ambiti sociali ed ecclesiali” (VC 57). Nella vita consacrata abbiamo la sfida di una collaborazione più efficace di consacrati e consacrate. Guardare la realtà dalla prospettiva femminile ci aiuta a fare la esperienza del volto materno di Dio.

 

6.La sfida del dialogo ecumenico e interreligioso che la vita consacrata è chiamata ad affrontare in modo speciale a partire dal dialogo e dalla condivisione della esperienza spirituale come risposta di spiritualità alla ricerca del sacro e alla nostalgia di Dio. A questo bisogna aggiungere la sollecitudine comune per la vita umana: difesa dei diritti delle persone, impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. In questo dialogo ecumenico e interreligioso possiamo fare l’esperienza delle vie del Signore e di un Dio che viene sempre all’incontro di chi cerca la verità e cerca di rispondere alle esigenze della propria coscienza.

Questo nostro corso di esercizi spirituali sarà produttivo se sappiamo interpretare i segni dei tempi e a confrontarsi con le molteplici sfide che si presentano davanti a noi come persone consacrate: prima di tutto una esperienza profonda e vitale di Gesù Cristo; in secondo luogo la fraternità; poi il profetismo; poi, l’inculturazione della fede; inoltre l’unità nella diversità, il rapporto con il laicato associato;  l’apertura ai nuovi ruoli delle suore nella chiesa, il dialogo ecumenico e interreligioso. Ma soprattutto vi invito a trasformare tutte queste sfide in una rinnovata esperienza di Dio: il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, Padre pieno di bontà che per mezzo del suo Spirito ci ha dato la vocazione alla vita consacrata, il Dio comunione nella Trinità, il Dio liberatore, il Dio sempre più grande, il Dio che guida la storia, il Dio Madre, il Dio che viene all’incontro di chi cerca la verità.

 

Saluto alle virtù

Preghiera di San Francesco d’Assisi

 

Ave, regina sapienza, il Signore ti salvi con tua sorella, la santa e pura semplicità.

 

Signora santa povertà, il Signore ti salvi con tua sorella, la santa umiltà.

 

Signora santa carità, il Signore ti salvi con tua sorella, la santa obbedienza.

 

Santissime virtù, voi tutte salvi il Signore dal quale venite e procedete.

 

Non c'è assolutamente uomo nel mondo intero, che possa avere una sola di voi, se prima non muore [a se stesso].

 

Chi ne ha una e le altre non offende, tutte le possiede, e chi anche una sola ne offende

non ne possiede nessuna e le offende tutte, e ognuna confonde i vizi e i peccati.

 

La santa sapienza confonde Satana e tutte le sue insidie.

 

La pura santa semplicità confonde ogni sapienza di questo mondo e la sapienza della carne.

 

La santa povertà confonde la cupidigia, I'avarizia e le preoccupazioni del secolo presente.

La santa umiltà confonde la superbia e tutti gli uomini che sono nel mondo e similmente tutte le cose che sono nel mondo.

La santa carità confonde tutte le diaboliche e carnali tentazioni e tutti i timori carnali.

 

La santa obbedienza confonde tutte le volontà corporali e carnali e ogni volontà propria, e tiene il suo corpo mortificato per l'obbedienza allo spirito e per l'obbedienza al proprio fratello; e allora l'uomo è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono nel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dall'alto del Signore.

 

 

Seconda meditazione (4)

 

Dal Vangelo di Matteo 16, 21-27: In quel tempo, 21 Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22 Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». 24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27 Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Nel brano evangelico che vi propongo come testo di meditazione, parte da una premessa, che è quella affermazione fatta Pietro nei versetti precedenti, nei quali rispondendo a Gesù, che interrogava i suoi discepoli sulla sua identità, Pietro con una confessione di fede, unica nel Vangelo, dice parole profonde, che sono ispirate e che nascono da un cuore e da una mente davvero attenti alla voce di Dio, ai suggerimenti dello Spirito: “Tu sei il Cristo, il Messia, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Proprio per questa rivelazione ricevuta dal Padre che è nei cieli, Simone, il pescatore di Galilea, viene istituito da Gesù come Roccia, la prima pietra della costruzione della sua chiesa (cf. Mt 16,18).

Ma ecco l’ordine perentorio di Gesù di non svelare a nessuno la sua identità di Messia e, insieme, l’inizio di una nuova rivelazione.

Sta scritto infatti che “da allora Gesù cominciò non solo a dire, a insegnare, come annotano gli altri sinottici, ma a mostrare, dunque con le parole e il comportamento, che “era necessario per lui andare a Gerusalemme e patire molte cose da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”.

Matteo racconta che Gesù, dopo l’uccisione di Giovanni il Battista (cf. Mt 14,1-12) e le contestazioni e il rifiuto da parte di scribi e farisei (cf. Mt 15,1-20; 16,1-12), si era allontanato dalla Galilea verso le terre del nord, oltre le frontiere della terra santa, ma ora ritorna e decide di iniziare la salita verso Gerusalemme, la città santa, ma che egli conosce anche come “città che uccide i profeti” (Mt 23,37).

Gesù sente che “è necessario”, che “deve” intraprendere questo viaggio, non perché un fato lo decida per lui, ma perché la sua missione lo richiede, anche al prezzo della morte violenta.

Questa necessità è innanzitutto umana, inscritta nella storia umana, nelle vicende del mondo: in un mondo ingiusto, il giusto può solo ricevere rifiuto, persecuzione e persino la morte. Se Gesù vuole compiere la sua missione in parole e opere secondo la volontà del Padre suo, se resta coerente con ciò che ha predicato, deve compiere la sua missione anche andando nella città santa, anche affrontando l’odio e il rifiuto dei sacerdoti, degli scribi, degli uomini religiosi muniti di autorità e potere nel popolo del Signore. Questa necessità umana diventa così anche necessità divina.

Quante volte anche noi religiosi ci siamo chiesto davanti al mistero della croce e della morte di Gesù: perché Dio, il Padre di Gesù che è nei cieli, desideri la morte del Figlio, ma perché vuole che Gesù lo narri fedelmente come Dio di amore, Dio disarmato e mite, Dio che accetta di essere colpito piuttosto che colpire.

Facciamo attenzione a non proiettare su Dio l’immagine perversa di un Padre che vorrebbe la morte e la sofferenza del Figlio. Non è affatto così. Questo è il modo di ragionare secondo il mondo, o satana, ma non secondo Dio, come aveva letto e profetizzato l’autore del libro della Sapienza, smascherando i ragionamenti degli empi e la loro persecuzione del giusto e povero credente nel Signore, il quale confessa Dio come Padre (cf. Sap 1,16-2,20).

Il grande paradosso della storia, di ogni esperienza umana sta in questa constatazione di fatto: in un mondo ingiusto, il giusto può solo conoscere la sofferenza, e Gesù, da quell’ora immediatamente successiva alla confessione di Pietro, lo mostra.

Si noti che Gesù fa per tre volte questo annuncio dell’imminente passione, durante la salita a Gerusalemme (cf. Mt 16,21; 17,22-23; 20,17-19), dunque con un’insistenza e un’intenzione precise: i discepoli che lo seguono devono comprendere che nella sua vocazione, nella sua identità di Messia è contenuta tutta la vocazione del Servo del Signore, che conosce sofferenza e morte (cf. Is 52,13-53,12).

L’essenziale dell’annuncio-profezia è la necessità della passione quale sofferenza patita, quale rifiuto da parte dell’autorità religiosa legittima, quale morte violenta, esito umanamente fallimentare di una vita e di una missione.

Proprio dopo questa fine, però, vi sarà la resurrezione dai morti il terzo giorno, come azione del Padre su di lui, il Figlio: resurrezione non come vendetta sulla morte, ma come frutto della passione e della morte. E non vi sono solo parole da parte di Gesù, ma anche il suo comportamento insegna ai suoi discepoli tale necessità: vita e parole concorrono nel suo “annunciare la parola apertamente (parrhesía)” (cf. Mc 8,32).

Di fronte a questo annuncio, la Roccia della chiesa, Pietro, appena istituito tale e proclamato da Gesù “beato” (cf. Mt 16,17-19), reagisce. Prende con sé Gesù, quasi in disparte dagli altri discepoli, e comincia a rimproverarlo dicendogli: “(Dio) ti preservi, Signore! Ciò non ti accadrà mai!”.

Pietro invoca Gesù quale Signore, lo riconosce nella sua identità, ma proprio per questo lo rimprovera ritenendo le sue parole insensate, perché la passione e la morte non possono accadere al Messia.

Non scandalizziamoci delle parole di Pietro: anche Gesù provava rifiuto e ripugnanza per ciò che lo attendeva e nel Getsemani lo mostrerà ai discepoli con un’angoscia vissuta visibilmente e con una preghiera al Padre affinché allontanasse da lui il calice di quella misera fine (cf. Mt 26,36-46)!

La sofferenza e la morte, nostra e di chi amiamo, ma anche degli altri, ci fanno male e ci ripugnano. Pietro sta dicendo questo.

Ma per Gesù quelle parole suonano come una tentazione rinnovata da parte di Satana. Colui che l’aveva tentato nel deserto, offrendogli una via messianica senza croce e senza morte, ma fatta solo di successo e di potere (cf. Mt 4,1-11), si manifesta ora nelle parole del discepolo da lui istituito come Roccia. Per questo Gesù gli grida: “Opíso mou, sta alla mia sequela, dietro a me, non prendermi in disparte, non essere un ostacolo sulla mia strada, perché i tuoi pensieri sono umani, non sono pensieri di Dio”. Ecco perché la Roccia può essere chiamato Satana! Nessuna smentita della precedente investitura e della beatitudine rivolta a Pietro, ma un chiaro avvertimento: anche alla Roccia è possibile finire per ragionare mondanamente ed essere un ostacolo sulla via del Signore.

E affinché questo “mostrare” la necessità della passione sia una parola definitiva, a questo punto Gesù, secondo Marco, chiama addirittura a sé la folla (cf. Mc 8,34), e secondo Matteo dice ai discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, smetta di conoscere solo se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

Ecco come il discepolato si precisa per tutti: non è solo seguire un maestro sapiente e autorevole, non è solo seguire un profeta capace di compiere miracoli, ma significa essere coinvolti con la vita di Gesù, significa rinunciare a conoscere e affermare se stessi, significa prendere la propria croce, lo strumento della morte dell’uomo mondano, dell’“uomo vecchio” (Rm 6,6; Ef 4,22; Col 3,9), e seguire Gesù ovunque egli vada (cf. Ap 14,4).

Discepolato a caro prezzo! Discepolato che non rende esenti dallo scandalo, dalla prova, dalla sofferenza.

Discepolato che pone dalla parte di Gesù, il Servo sofferente, e dalla parte di tutti quelli che soffrono in questo mondo. Sì, beati i poveri, i miti, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati (cf. Mt 5,1-12)…

La perdita di sé, del sé mondano, è necessaria perché possa emergere il proprio autentico sé, quello che si trova in Cristo Gesù.

I cristiani, e soprattutto i consacrati, che proclamano la vera identità di Gesù quale Figlio del Dio vivente, non dimentichino, non occultino mai il crocifisso. Infatti, la gloria di ogni cristiano sta tutta in quel prendere la propria croce e seguire il suo Signore nella passione, morte e resurrezione.

Ecco allora, di seguito, alcune sentenze di Gesù imperniate sulla parola “vita”.

La vita è innanzitutto non quella che uno cerca di conservare a ogni costo, seguendo l’impulso a vivere anche senza e contro gli altri, in una logica di autoconservazione, logica che non riconosce la dinamica del dono di sé a Dio e agli altri. Al contrario, si può addirittura spendere la vita fino a perderla nel darla, e in questo caso la si ritrova nella potenza della resurrezione che Dio opera come parola ultima e intima sulle nostre vite.

 

La vita vera, inoltre, non significa guadagnare il mondo, non si identifica con l’avere, con il possedere, perché nessuno può pagare a Dio la propria redenzione e salvare la propria vita (cf. Sal 49,8-9). Questa verità sarà manifesta quando verrà il Figlio dell’uomo nella gloria del Padre, con tutti i suoi angeli, in quello che sarà “il giorno del Signore”, annunciato dai profeti e confermato da Gesù come giorno del Figlio dell’uomo (cf. Mt 24,44; 25,31). Allora, mediante un giudizio ultimo e definitivo, apparirà la verità della vita di ciascuno di noi e ognuno riceverà da Dio un giudizio conforme a ciò che avrà vissuto e operato sulla terra. All’orizzonte ultimo della storia sta dunque per tutti noi la venuta nella gloria di Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio del Dio vivente, colui che è stato crocifisso ed è stato risuscitato il terzo giorno.

E se noi abbiamo tentato di seguire Gesù, ma come Pietro, la Roccia, di fronte alla persecuzione abbiamo riconosciuto solo noi stessi, fino a dire di Gesù: “Non lo conosco” (cf. Mt 26,69-75), nel pentimento conosceremo lo sguardo misericordioso di Gesù. Come è accaduto a Pietro (cf. Lc 22,61-62)!

 

Preghiera

 

Eccoci, Signore, davanti a te.  Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.  Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.

È perché purtroppo molti passi li abbiamo consumati sulle viottole nostre e non sulle tue:  seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera,  e non le indicazioni della tua Parola;  confidando nella riuscita delle nostre estenuanti manovre  e non sui moduli semplici dell’abbandono fiducioso in Te. 

Forse mai come ora sentiamo nostre le parole di Pietro: Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla.  Ad ogni modo vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo fare nulla. Ci agitiamo soltanto. Grazie Signore perché continui a scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Anzi, ci metti nell’anima un così vivo desiderio di recupero. Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza.  Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. (T. Bello)

 


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