La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Le COMUNITA' in Italia        RITIRO ANNUALE 2019  Roma - mercoledì, 28 agosto


 

 

Prima meditazione (5)

 

UN CUOR SOLO, UN’ANIMA SOLA: LA FRATERNITA’

 

“I credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune … erano un cuore solo e un’anima sola … Nessuno diceva suo quello che gli apparteneva, ma tra loro tutto era comune … nessuno tra loro era bisognoso” (cf. At 2,42-45; 4,32-35).

 

Il messaggio che ci giunge dalla chiesa primitiva di Gerusalemme appare chiaro ed esigente per i cristiani di ogni epoca: chi ha ricevuto il dono dello Spirito santo e ha conosciuto l’irrompere della forza di Dio nella propria vita, è generato a vita nuova. Tale novità deve esprimersi concretamente nella differenza cristiana, “differenza” rispetto al proprio passato da non credente, differenza rispetto a chi non è credente, una differenza che consiste soprattutto in un “bel comportamento” (1Pt 2,12), rivelato da un tratto ben preciso che siamo venuti riscoprendo a partire dal concilio Vaticano II: la differenza della koinonía, della comunione.

 

La chiesa è “casa e scuola di comunione”, secondo la profetica intuizione di Giovanni Paolo II.

La vita del cristiano e della chiesa deve perciò essere plasmata dalla comunione, la quale non è una tra le tante opzioni, bensì la forma ecclesiae fin dai primi passi compiuti dai discepoli all’indomani della resurrezione del Signore Gesù Cristo e della discesa dello Spirito santo: la chiesa è comunione, ovvero, “la comunione incarna e manifesta l’essenza stessa del mistero della chiesa” (Giovanni Paolo II).

 

Nella chiesa non c’è posto per l’atteggiamento di sufficienza di chi afferma di non avere bisogno dell’altro; non c’è alcuna possibilità di dominare come fanno i grandi di questo mondo; non si può partecipare alla vita ecclesiale senza che un vero sensus ecclesiae sia anteposto all’appartenenza al gruppo o al movimento; nella chiesa non è possibile contraddire quella comunione dei beni spirituali e materiali che il Signore ci ha chiesto come segno del nostro essere suoi discepoli.

In questo senso anche lo stile di vita dei singoli e delle comunità cristiane deve essere eloquente e manifestare che si ama la semplicità, la povertà bella, e che questa è sempre garantita e rinnovata ogni giorno dalla condivisione con gli altri, con i poveri.

 

Il cristiano è colui che si adopera per eliminare la situazione di bisogno che fa soffrire il suo fratello: questo avvenne nelle diverse forme di condivisione praticate dalle comunità primitive, questo è avvenuto lungo tutta la storia della chiesa, questo deve avvenire ancora oggi.

 

Il cristiano infatti sa bene che, come amava ripetere Giovanni Crisostomo, “il ‘mio’ e il ‘tuo’ non sono altro che parole prive di fondamento reale. Se dici che la casa è tua, dici parole inconsistenti, perché l’aria, la terra, la materia sono del Creatore, come pure tu che l’hai costruita, e così tutto il resto”. Il cristiano sa che nel giorno del giudizio la sua fedeltà al Signore, che ha condiviso la nostra condizione umana, verrà pesata anche su questa condivisione fraterna, che è il nome comunitario dell’amore.

Leggiamo nel Documento della Sacra Congregazione per gli istituti di vita consacrata, dal titolo “Vita fraterna in comunità”, questi essenziali concetti che devono diventare vita quotidiana per tutti, al n. 29: “Per diventare fratelli e sorelle è necessario conoscersi. Per conoscersi appare assai importante comunicare in forma più ampia e profonda. C'è oggi un'attenzione maggiore ai vari aspetti della comunicazione, anche se in misura e in forma diversa nei vari istituti e nelle varie regioni del mondo.

 

N.30. Tale comunicazione ampia e sollecitata ai vari livelli, nel rispetto della fisionomia propria del istituto, crea normalmente relazioni più strette, alimenta lo spirito di famiglia e la partecipazione alle vicende dell'intero istituto, sensibilizza ai problemi generali, stringe le persone consacrate attorno alla comune missione.

 

31. Anche a livello comunitario si è dimostrato altamente positivo l'aver tenuto regolarmente, spesso con ritmo settimanale, degli incontri ove i religiosi e le religiose condividono problemi della comunità, dell'istituto, della Chiesa e sui principali documenti della medesima. Sono momenti utili anche per ascoltare gli altri, partecipare i propri pensieri, rivedere e valutare il percorso compiuto, pensare e programmare assieme.

La vita fraterna, specie nelle comunità più ampie, ha bisogno di questi momenti per crescere. Sono momenti che vanno tenuti liberi da ogni altro impegno, momenti di comunicazione importanti anche per la corresponsabilizzazione e per collocare il proprio lavoro nel contesto più ampio della vita religiosa, ecclesiale e del mondo cui si è inviati in missione, oltre che della vita comunitaria. E' un cammino che va continuato in tutte le comunità, adattandone i ritmi e le modalità alle dimensioni delle comunità e ai suoi impegni. Tra le comunità contemplative questo richiede rispetto del proprio stile di vita.

 

32. La mancanza e la povertà di comunicazione genera di solito l'indebolimento della fraternità, per la non conoscenza del vissuto altrui che rende estraneo il confratello e anonimo il rapporto, oltre che creare vere e proprie situazioni di isolamento e di solitudine.

In alcune comunità si lamenta la scarsa qualità della fondamentale comunicazione dei beni spirituali: si comunica su temi e problemi marginali, ma raramente si condivide ciò che è vitale e centrale nel cammino di consacrazione.

Le conseguenze possono essere dolorose, perché l'esperienza spirituale acquista insensibilmente connotazioni individualiste. Viene inoltre favorita la mentalità di autogestione unita all'insensibilità per l'altro, mentre lentamente si vanno ricercando rapporti significativi al di fuori della comunità.

Il problema va affrontato esplicitamente: con tatto e attenzione, senz'alcuna forzatura; ma anche con coraggio e creatività, cercando forme e strumenti che possano consentire a tutti d'imparare progressivamente a condividere, in semplicità e fraternità, i doni dello Spirito perché diventino davvero di tutti e servano per l'edificazione di tutti (cfr. 1 Cor 12,7).

La comunione nasce proprio dalla condivisione dei beni dello Spirito, una condivisione della fede e nella fede, ove il vincolo di fraternità è tanto più forte quanto più centrale e vitale è ciò che si mette in comune. Tale comunicazione è utile anche per apprendere lo stile della condivisione, che poi, nell'apostolato, consentirà al singolo di "confessare la sua fede" in termini facili e semplici, perché tutti la possano capire e gustare.

Le forme assunte dalla comunicazione dei doni spirituali possono essere diverse. Oltre a quelle già segnalate - condivisione della Parola e dell'esperienza di Dio, discernimento comunitario, progetto comunitario - si possono ricordare anche la correzione fraterna, la revisione di vita e altre forme tipiche della tradizione. Sono modi concreti di porre al servizio degli altri e di far riversare nella comunità i doni che lo Spirito abbondantemente elargisce per la sua edificazione e per la sua missione nel mondo.

Tutto ciò acquista maggior importanza in questo momento in cui in una stessa comunità possono convivere religiosi non solo di diverse età ma di diverse razze, di diversa formazione culturale e teologica, religiosi provenienti da diverse esperienze compiute in questi anni movimentati e pluralistici.

Senza dialogo e ascolto, c'è il rischio di condurre esistenze giustapposte o parallele, il che è ben lontano dall'ideale di fraternità.

 

33. Ogni forma di comunicazione comporta itinerari e difficoltà psicologiche particolari che possono essere affrontate positivamente anche con l'aiuto delle scienze umane. Alcune comunità hanno tratto vantaggio, per esempio, dall'aiuto di esperti in comunicazione e da professionisti nel campo della psicologia o della sociologia.

Sono mezzi eccezionali che vanno prudentemente valutati, e possono essere utilizzati con moderazione da comunità desiderose di abbattere il muro di separazione che qualche volta si erige dentro la stessa comunità. Le tecniche umane si rivelano utili, ma non sono sufficienti. Per tutti è necessario avere a cuore il bene del fratello coltivando la capacità evangelica di ricevere dagli altri tutto quello che essi desiderano dare e comunicare, e di fatto comunicano con la loro stessa esistenza.

"Abbiate gli stessi sentimenti e un medesimo amore. Siate cordiali e unanimi. Con grande umiltà stimate gli altri migliori di voi. Badate agli interessi degli altri e non soltanto ai vostri. I vostri rapporti reciproci siano fondati sul fatto che siete uniti a Cristo Gesù" (Fil. 2,2-5).

E' in questo clima che le modalità e tecniche di comunicazione compatibili con la vita religiosa, possono raggiungere i risultati di favorire la crescita della fraternità.

 

34. Il considerevole impatto dei mass media sulla vita e la mentalità dei nostri contemporanei tocca anche le comunità religiose e ne condiziona non raramente la comunicazione interna.

La comunità quindi, conscia del loro influsso, si educa ad utilizzarli per la crescita personale e comunitaria con la chiarezza evangelica e la libertà interiore di chi ha imparato a conoscere Cristo (cfr. Gal 4,17-23). Essi, infatti, propongono e spesso impongono una mentalità e un modello di vita che va confrontato continuamente con il Vangelo. A questo riguardo da molte parti si richiede una approfondita formazione alla recezione e all'uso critico e fecondo di tali mezzi. Perché non farne oggetto di valutazione, di verifica, di programmazione nei periodici incontri comunitari?

In particolare quando la televisione diventa l'unica forma di ricreazione, ostacola e a volte impedisce il rapporto tra le persone, limita la comunicazione fraterna, e anzi può danneggiare la stessa vita consacrata.

Si impone un giusto equilibrio: l'uso moderato e prudente dei mezzi di comunicazione, accompagnato dal discernimento comunitario, può aiutare la comunità a conoscere meglio la complessità del mondo della cultura, può permettere una recezione confrontata e critica, ed aiutare infine a valorizzare il loro impatto in vista dei vari ministeri per il Vangelo.

 

Coerentemente con la scelta del loro specifico stato di vita, caratterizzato da una più marcata separazione dal mondo, le comunità contemplative devono sentirsi maggiormente impegnate nel preservare un ambiente di raccoglimento, attenendosi alle norme stabilite nelle proprie costituzioni sull'uso dei mezzi di comunicazione sociale.

 

Preghiera

 

Signore, ti preghiamo: perché ci conosciamo sempre meglio e ci comprendiamo nei nostri desideri e nei nostri limiti. Perché ciascuno di noi senta e viva i bisogni degli altri. Perché a nessuno sfuggano i momenti di stanchezza, di disagio, di preoccupazione dell'altro. Perché le nostre discussioni non ci dividano, ma ci uniscano nella ricerca del vero e del bene. Perché ciascuno di noi nel costruire la propria vita non impedisca all'altro di vivere la sua. Perché viviamo insieme i momenti di gioia di ciascuno e guardiamo a Te che sei la fonte di ogni vera gioia. Perché soprattutto ci amiamo come Tu, o Padre, ci ami e ciascuno voglia il vero bene degli altri. Perché la nostra Fraternità non si chiuda in se stessa, ma sia disponibile, aperta, sensibile ai bisogni degli altri. Perché ci sentiamo sempre parte viva della Chiesa in cammino e possiamo continuare insieme in cielo il cammino cominciato quaggiù alla scuola di Francesco e sotto lo sguardo di Maria, Madre di Gesù e Madre nostra.

 

 

Seconda meditazione (6)

 

TESTIMONI DELLA VERA GIOIA

 

La gioia nasce dalla gratuità di un incontro […]. Non abbiate paura di mostrare la gioia di aver risposto alla chiamata del Signore, alla sua scelta di amore e di testimoniare il suo Vangelo nel servizio della chiesa. E la gioia, quella vera, è contagiosa.

Nel magistero di papa Francesco la parola gioia ricorre molto frequentemente quando si rivolge a tutti i credenti e, in particolare, ai consacrati e alle consacrate. Per costoro, la parola gioia viene riproposta con varie declinazioni e sfumature in riferimento all’identità della vita consacrata, all’origine e al fondamento della vocazione delle persone consacrate coinvolte nell’azione missionaria della chiesa.

Per il Papa, la gioia è necessariamente l’espressione pregnante del vissuto fondamentale di coloro che, consacrandosi, scelgono di seguire il Signore «in modo speciale, in modo profetico».

Nell’incipit dell’Evangelii gaudium, rivolta a tutti i credenti, viene affermato che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia».

Quando papa Francesco si rivolge ai consacrati: “Questa è la bellezza della consacrazione: è la gioia, la gioia… Nel chiamarvi Dio vi dice: «Tu sei importante per me, ti voglio bene, conto su di te». Gesù, a ciascuno di noi, dice questo! Di là nasce la gioia! La gioia del momento in cui Gesù mi ha guardato. Capire e sentire questo è il segreto della nostra gioia. Sentirsi amati da Dio, sentire che per lui noi siamo non numeri, ma persone; e sentire che è lui che ci chiama.

Nella lettera apostolica con cui papa Francesco apre l’anno dedicato alla vita consacrata, alla constatazione che «dove ci sono i religiosi c’è gioia», ci ricorda pure che “la vita consacrata non cresce se organizziamo delle belle campagne vocazionali, ma se le giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se ci vedono uomini e donne felici! Ugualmente la sua efficacia apostolica non dipende dall’efficienza e dalla potenza dei suoi mezzi. È la vostra vita che deve parlare, una vita dalla quale traspare la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e di seguire Cristo.

 

Nell’Evangelica testificatio, Paolo VI, insistendo sull’importanza decisiva dell’impegno e slancio personale interiore, richiama i valori essenziali e l’autenticità. In questo documento si parla in modo diretto della gioia: “La gioia di appartenergli per sempre è un incomparabile frutto dello Spirito Santo, che voi avete già assaporato. Animati da questa gioia, che Cristo vi conserverà anche in mezzo alle prove, sappiate guardare con fiducia all’avvenire. Nella misura in cui si irradierà dalle vostre comunità, questa gioia sarà per tutti la prova che lo stato di vita da voi scelto vi aiuta, attraverso la triplice rinuncia della vostra professione religiosa a realizzare la massima espansione della vostra vita in Cristo” (ET 43; 53).

Il sentimento della gioia, quindi, non è un superficiale stato interiore emotivo, ma è il segno della fede e della speranza e giunge, come frutto di grazia, dall’incontro con Cristo, già nel percorso della vita attuale e nella prospettiva escatologica.

Il tema della gioia viene riproposto anche nel fondamentale documento Vita consecrata: La gioia è dono dello Spirito e diviene il segno della testimonianza della vita in Cristo, scelto come unico orizzonte esistenziale di chi si consacra. Infatti, nel documento viene ribadito che la testimonianza viva, segnata dalla gioia, è essa stessa il loro compito missionario rivolto alla chiesa intera. Si ricorda «che al primo posto sta il servizio gratuito a Dio, reso possibile dalla grazia di Cristo, comunicata al credente mediante il dono dello Spirito» (VC 25). L’annuncio ha come oggetto il messaggio «che la pace discende dal Padre, la dedizione è testimoniata dal Figlio e la gioia è frutto dello Spirito Santo» (VC 25).

 

Il documento Ripartire da Cristo, che segna un punto fermo nella riflessione sistematica della vita consacrata, alla luce degli insegnamenti conciliari e di Vita consecrata, ribadisce i concetti della gioia come testimonianza dell’amore a Cristo. Assumendo lo stile che egli scelse per sé, indicato nei consigli evangelici della castità, povertà e obbedienza, i consacrati sono orientati a ricercare e testimoniare con la vita la totalità per Dio, disponendosi alla missione con gioia profonda (cf. RDC 5; 13; 16; 26).

 

Nell’enciclica di Benedetto XVI, Spe salvi, il Papa citando il Vangelo di Giovanni: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (16,22), dice che “dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo (SS 12). Così, per i consacrati, le parole «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), sembrano assumere una pregnanza di valore esistenziale e profetico.

 

Un’attenta lettura della gioia nella vita consacrata

Dobbiamo riconoscere che nel pensare comune non è così scontato abbinare la parola e l’espressione della gioia con un consacrato. Eppure è provato che coloro che credono mostrano un livello di sicurezza e di felicità maggiore rispetto a chi è privo di credenza religiosa. Tuttavia la gioia si può trasformare in certe situazioni in  depressione,  in esaurimento nervoso.

E allora: come annunciare una «buona notizia» o essere «collaboratori della gioia» (2Cor 1,24) o «compiere opere di misericordia con gioia» (Rm 12,8) combinando l’annuncio con l’ansia del quotidiano?

La condizione di fatica e di stress, probabilmente, accomuna tutte le categorie di persone. Tuttavia, questo sembra impedire talvolta una disponibilità gratuita e serenità che si attende trovare nei religiosi e religiose, nei sacerdoti impegnati nell’annuncio del Vangelo e del suo valore esistenziale.

Per chi annuncia e testimonia la fede in Gesù Cristo la gioia diviene un indicatore infallibile e uno strumento di mediazione comunicativa efficace. In questa visione non può essere fatto un uso strumentale della gioia, alla pari delle forzature dei messaggi pubblicitari che ostentano un ottimismo superficiale a fini commerciali.

La gioia cristiana, poiché proviene dall’intimo, offre ragioni di fede e di vita con Dio, non è esibizione o forzatura e nemmeno un’espressione puramente comportamentale, da manifestare sempre e ovunque all’esterno, rischiando la sua banalizzazione. Infatti, è così evidente che le vicende della vita fanno sperimentare momenti felici e tristi, scoprire debolezze e limiti propri e altrui, così come le fatiche previste e impreviste. È comprensibile, quindi, come non sempre sia possibile offrire espressione evidente ai sentimenti della gioia interiore.

Si tratta di un sentimento profondo, non superficiale, che persiste nell’intimo anche quando non può manifestarsi e persino resistente anche innanzi alle situazioni che potrebbero sottrarre i motivi della gioia.

La gioia del credente, che fonda la sua speranza e il suo cammino umano sulla fiducia in Dio e nella sua parola, va considerata non come una realtà psicologica in senso stretto, ma spirituale: mentre coinvolge la psiche e i sensi, va oltre questi due orizzonti, poiché attinge ed esprime il mistero dell’uomo.

 

La dimensione trascendente

La gioia cristiana è un frutto dello Spirito e non può essere ricercata per se stessa. È gratuita e dono inaspettato. Essa, infatti, è la conseguenza del raggiungimento di qualcosa di importante per il soggetto (il «tesoro in mezzo al campo» o la «perla preziosa» delle parabole evangeliche).

La consapevolezza della gratuità giunge in un percorso di progressione o di conversione continuo. Infatti, la perla preziosa, la relazione con Gesù, diventa il valore centrale attorno al quale tutto prende forma e orientamento. Ogni credente impara a riconoscere la gioia e la sicurezza che questo il cammino di conversione porta con sé: la gioia come evento di trascendenza.

 

Per tutti i consacrati è sempre aperto, quindi, il cammino della conversione. Il dono e la gratuità della gioia non esime dall’impegno e dalla fatica di riporre continuamente al centro della propria identità e del proprio desiderio la relazione con Cristo, l’identificazione a Cristo e l’assunzione della sua passione per il regno.

Anche la stessa relazione di Gesù è costruita sulla totale disponibilità a ricercare la volontà del Padre, unica sorgente di amore. Essa è una relazione fonte di gioia per il Figlio: compiere la volontà del Padre, che ama il Figlio, è assumere e vivere del cuore stesso di Padre. Nello stesso tempo è fonte di gioia del Padre stesso: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17). La vita ricevuta dal Padre è la vita stessa del Figlio e, quindi, anche di coloro che pongono nel rapporto con Cristo il senso del proprio vivere. Gioia cristiana è un cammino di formazione che accompagna il crescere nella sensibilità umana che come «figli nel Figlio», si nutrono della relazione stessa di Cristo.

 

La tua legge è la mia gioia (Sal 119,77)

Cogliendo alcune definizioni che la vita consacrata dice di sé nei documenti del magistero  si evidenzia che nelle persone consacrate la gioia indica la qualità del dono della propria esistenza.

 

La gioia è la coordinata evidente della scelta di appartenere a Dio con tutto se stessi e lo strumento di efficacia della testimonianza aperta alla chiesa e alla comunità umana, esercitando il servizio secondo il carisma proprio di ogni gruppo di consacrati. La bellezza della vita in Cristo non appare senza la gioia. Al contrario, tutte le forme di accidia e di insoddisfazione appariranno contrarie a ogni testimonianza della vita buona del Vangelo.

Ma in quale senso si può intendere la testimonianza? L’idea della vita consacrata come scelta eccellente, unica e fatta dai consacrati come categoria di perfetti, separati dal mondo, non ha avuto più continuità. È stata una rivoluzione di mentalità per le persone consacrate che ha interessato, e coinvolge ancora, il modo di percepirsi come uomini e donne prima che come discepoli dentro classi predefinite. È un modo di pensarsi nuovo. Così «la rivoluzione cui dobbiamo far fronte, come consacrati, insieme a tutti i nostri fratelli e sorelle in umanità, non riguarda più il cielo delle stelle, ma il cuore degli uomini e delle donne».

Preghiera:  “Signore Gesù, tu conosci la tristezza che affligge il mio cuore e ne conosci l’origine. Oggi mi presento davanti a te e ti chiedo di aiutarmi, perché non posso più andare avanti così. So che mi chiami a vivere in pace, con serenità, gioia e allegria, anche tra le difficoltà quotidiane. Per questo oggi ti chiedo di mettere le tue mani benedette nelle piaghe della mia psiche che mi rendono tanto sensibile ai problemi e di liberarmi dalla tendenza alla tristezza e alla malinconia che si annida in me. Oggi ti chiedo ce la tua grazia restauri la mia storia, per non vivere schiavizzato dal ricordo amaro degli avvenimenti dolorosi del passato. Visto che sono passati non esistono più. Ti offro ciò che ho passato e quello che hanno passato le persone care; ciò che abbiamo vissuto e sofferto. Voglio perdonarmi e perdonare, perché la tua gioia inizi a fluire in me. Ti offro le tristezze unite alle preoccupazioni o ai timori del domani. Questo domani non è nemmeno arrivato, e quindi esiste solo nella mia immaginazione. Devo vivere solo oggi e solo oggi devo camminare nella tua gioia. Aumenta la mia fiducia in te, perché aumenti la gioia nella mia anima. Tu sei Dio e Signore della storia e della vita, della nostra vita. Per questo prendi la mia esistenza e quella delle persone amate, con tutti i nostri dolori, con tutte le nostre necessità, e con l’aiuto del tuo amore potente di sviluppi in noi la virtù della gioia. Amen” (Gustavo Jamut).

 


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