La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Scuola Primaria Paritaria  "S.Paolo"

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TEMA del LAVORO ANNUALE 2017/2018

 

 

 

V classe

ODISSEA
 IL VIAGGIO DI ULISSE

e le mie emozioni

(la presentazione di ppt)

 

 

 

   
         
   

 

IL MONDO INTORNO A ME

 

Crescere vuol dire anche cercare il proprio posto,  nel tempo e nel  luogo in cui vivi.

Telemaco, nell’attesa del padre Ulisse a Itaca, decide che guardare in faccia la realtà del mondo che ci sta intorno è la condizione per poter fare le scelte giuste.

 

ODISSEA  - IL VIAGGIO DI ULISSE

 

Ci fu un tempo una guerra lunga e sanguinosa. Per dieci anni i Greci cercarono di riprendere la bella Elena rapita e diconquistare la ricca città di Troia. Ma Troia possedeva le più alte mura di difesa che mai fossero state erette e decine di uomini, fra i più valorosi al mondo, la proteggevano con grande coraggio. Molti eroi parteciparono al conflitto e si distinsero per il loro valore, come Achille, Ulisse e Aiace da parte greca e Ettore, Paride ed Enea da parte troiana. Achille ed Ettore fecero strage di nemici e si fronteggiarono a duello: Ettore fu sconfitto dalla potenza di Achille, aiutato dalla dea Atena. Ma anche Achille, alla fine della battaglia, fu colpito a morte: una freccia scagliata da Paride, guidata dal dio Apollo, gli trafisse il tallone, suo unico punto debole. Ma la guerra non era stata ancora vinta. Troia non era stata conquistata. La forza e il valore dei Greci eguagliavano la forza e il valore dei Troiani. Ulisse fu il primo a capire che per penetrare nella città di Troia e vincerla, non bastavano la forza e le armi, ma serviva un’astuzia. Così, convinse Agamennone, il re di tutti i Greci, a salpare nella notte con le navi nascondendole dietro un promontorio per far credere ai Troiani di essersi arresi. Non prima però, di aver lasciato sulla spiaggia un enorme cavallo di legno dentro il quale si era nascosto Ulisse stesso, con una ventina fra i più valorosi guerrieri. La mattina i Troiani festeggiarono la partenza dei nemici e pensarono che il cavallo fosse un loro dono. Solo Laocoonte, un veggente troiano, aveva capito l’inganno e cercò di dissuadere i Troiani, ma subito due serpenti marini, inviati dalla dea Atena che parteggiava per i Greci, uscirono dall’acqua e lo stritolarono insieme ai suoi due figli. Così, il cavallo fu portato dentro le mura di Troia. La notte successiva i venti soldati si calarono dalla sua pancia e aprirono le porte della città per far entrare centinaia di Greci che misero a fuoco la città e la vinsero.

Qualche mese dopo, tutti i re Greci, con i loro soldati, partirono per fare finalmente ritorno alle loro terre dopo tanto tempo. Anche Ulisse salpò con la sua nave, ma il suo viaggio non sarebbe stato né breve né facile…

 

ITACA

Terminata la lunga guerra e vinta la città di Troia, gli eroi greci tornarono alle loro case. Tutti, tranne il re di una piccola isola del mar Ionio di nome Itaca, che ancora navigava: Poseidone, il dio del mare, sollevava tempeste e scatenava i venti del cielo per impedire il suo ritorno.
Quel re si chiamava Ulisse e la sua fedele sposa Penelope attendeva il suo ritorno con cuore è pieno di speranza. Molti fra i giovani nobili, chiamati Proci, volevano sposarla per diventare re, visto che Ulisse non tornava, ma ella faceva di tutto per rimandare la scelta e diceva: “Quando avrò finito di tessere questa tela, vi dirò chi sarà il mio sposo”, ma tutte le notti disfaceva il lavoro che aveva fatto durante il giorno per non completarlo mai: amava infatti ancora il suo sposo Ulisse. Alla fine, però, i Proci avevano scoperto ilo suo trucco e lei avrebbe dovuto scegliere al più presto.
Ma Ulisse era protetto da una specie di fata, la dea Atena, che decise di aiutarlo. Ella si recò da Zeus, il padre di tutti gli dei, e gli disse: “Tutti gli eroi della guerra di Troia hanno già fatto ritorno mentre Ulisse è ancora in mare. Penelope e suo figlio Telemaco lo aspettano con grande ansia. Padre di tutti gli dei, ascolta le loro preghiere”.
Zeus acconsentì e inviò Atena, travestita da straniero, da Telemaco; ella gli disse: “Telemaco, forse tuo padre non è morto come credono i Proci. Vai da Menelao, che non lui ha combattuto la guerra di Troia, forse saprà dirti dove cercarlo. Prendi una nave, trova cinquanta marinai e parti subito in segreto!”. Telemaco ascoltò la dea e partì.
Arrivò Menelao, il re della città di Sparta, che lo accolse con molto affetto perché voleva tanto bene a suo padre. Menelao gli disse: “Oh Telemaco! Tu sei il figlio di un grande eroe e di un grande guerriero” Egli era il più coraggioso e il più saggio di tutti noi”. “Dimmi Menelao, mio padre è ancora vivo?”, chiese il giovane. “Sì, rispose il re di Sparta “Ulisse è vivo, ne sono certo, l’ho saputo da un vecchio indovino del mare, che nel mare vive e del mare conosce tutti i segreti. Egli mi ha detto che Ulisse vive sull’isola di Ogigia, prigioniero di una ninfa di nome Calipso. Là egli piange per la nostalgia di casa, ma non ha nave né amici con cui tornare”.
Nel cuore di Telemaco rinacque subito la speranza: suo padre era vivo e quindi sarebbe potuto tornare a Itaca e liberarla dai Proci! Certamente uno fra gli dei lo avrebbe guidato e protetto nel viaggio di ritorno.
 

L’AMICIZIA

 

Essere amici non è solo star bene insieme,
condividere interessi e divertimenti.
Nausica nella reggia del padre che da ospitalità
ad Ulisse impara che l’amicizia è l’accoglienza
e ascolto del bisogno dell’altro
come hanno fatto i Feaci.
 

I FEACI
Il sole splendeva sull’isola di Ogigia. La bella Calipso cantava una dolce melodia mentre tesseva la tela con la spola d’oro. All’improvviso apparve Ermes, il messaggero alato degli dei. Ella rimase turbata e gli domandò: “Ermes, perché sei qui?”. Il messaggero rispose: “Mi manda Zeus, re di tutti gli dei. Egli ti comanda di lasciare libero Ulisse di tornare alla sua Itaca”. Calipso si rattristò: amava infatti Ulisse, ma sapeva che non poteva disobbedire a un ordine di Zeus. Così, raggiunse Ulisse sulla spiaggia e lo trovò molto triste perché tanta nostalgia aveva per Penelope, Telemaco e la sua isola. Lo guardò e gli annunciò: “Ulisse, non piangere. Sei libero se vuoi”. A quelle parole Ulisse ritrovò il sorriso e gioì: poteva davvero tornare a casa! Costruì una zattera con i tronchi degli alberi dell’isola e quando fu pronto, abbracciò per l’ultima volta Calipso e partì. Navigava da giorni e giorni quando finalmente scorse lontana la montagna dei Feaci. Ma proprio in quel momento, Poseidone, il dio del mare che tanto lo odiava, lo vide, lo riconobbe e urlò arrabbiato: “No! Non ti sarà tanto facile raggiungere la riva della terra dei Feaci!” e così dicendo scatenò la furia del mare che si alzò con onde altissime. Le vele furono strappate dal vento, la zattera sommersa dall’acqua e, infine, rovesciata. Ulisse finì in mare e lottò con tutta la sua forza quella furia. Finché, esausto, approdò a nuoto sulla riva e lì svenne per la stanchezza.
 

Proprio su quella spiaggia, Nausicaa stava giocando con le sue amiche. La palla rotolò lontana e le fanciulle  la rincorsero fino a un cespuglio dietro al quale trovarono Ulisse, sporco e con i vestiti strappati. Tutte ebbero paura e scapparono, tranne Nausicaa. Ulisse le chiese: “Chi sei dolce fanciulla? E dove mi trovo?”. Ella gli rispose: “Questa è la terra dei Feaci, governata dal re Alcinoo, e io sono sua figlia Nausicaa. Ti porterò da lui, ma non prima di averti lavato e rivestito”.  Più tardi Nausicaa gli disse ancora: “Ora che sei pronto, seguimi, ti condurrò in città, al palazzo del re e della regina”. Ulisse arrivò a palazzo e, inchinandosi, si presentò ad Alcinoo e a sua moglie Arete: “Sono uno straniero e vengo dall’isola di Ogigia dove la bella Calipso mi teneva prigioniero. Per giorni ho viaggiato in mare e infine la tempesta mi ha portato sulla spiaggia della vostra terra dove Nausicaa mi ha trovato. non ho nave, non ho uomini, vi prego, aiutatemi a tornare in patria”. A quelle parole la regina si commosse e fece subito preparare del cibo e un letto per Ulisse. La sera Alcinoo lo fece sedere accanto a sé e ai suoi cortigiani nella grande sala del focolare: il cantore e poeta Demodoco stava narrando le vicende della famosa guerra di Troia in cui valorosi uomini avevano combattuto. Ulisse, non riuscì a trattenere le lacrime. Il re se ne accorse e gli chiese: “Straniero, perché il canto di Demodoco ti commuove così tanto?”. Rispose: “Perché egli narra di una guerra che io ho combattuto… Io sono Ulisse e sotto le musa di Troia ho perso molti amici. Quando la guerra fu vinta da noi greci, ripartimmo per le nostre terre, ma il mio viaggio non è ancora terminato a causa dell’odio di Poseidone, e tante avventure ho vissuto”. Allora Alcinoo disse: “Ti prego valoroso Ulisse, narraci il tuo viaggio e le tue peripezie”. E così, Ulisse iniziò il suo racconto.
 

IL CARATTERE E I TALENTI
 
Ognuno di noi ha doti naturali
e capacità da sviluppare.
Ulisse lo sperimenta nella grotta del Ciclope Polifemo.

Se conosci te stesso, il tuo carattere e i tuoi talenti, trovi dentro di te la soluzione ai problemi più difficili.

 

POLIFEMO

Partimmo dalla città di Troia con la mia nave puntando verso Itaca. Dopo una settimana di tranquilla navigazione, una improvvisa tempesta e un vento contrario ci gettarono fuori rotta. Finalmente avvistammo terra e decisi di sbarcare per fare rifornimento di acqua e viveri. Ordinai a tre uomini di addentrarsi oltre la spiaggia per conoscere il paese; gli abitanti li accolsero e offrirono loro da mangiare il fiore di loto, un fiore dolce come il miele ma terribile. Chi lo assaggiava, perdeva la memoria: essi infatti ne mangiarono e ci dimenticarono. Dovetti allora raggiungerli, farli prigionieri e riportarli alla nave. Fuggimmo subito e finalmente giungemmo al porticciolo di una bella e verde isola abitata dalle capre. Era l’isola dei Ciclopi. Presi con me dieci valorosi rematori e mi addentrai fra la vegetazione con una scorta di cibo e di buon vino. Incuriosito davanti a una strana caverna, decisi di entrare per esplorarla: non c’era nessuno, ma c’era una gran quantità di formaggi di capra, otri pieni di latte e ceste con carne essiccata.

“Ulisse”, mormorarono a voce bassa i miei uomini, “portiamo alle navi tutto ciò che sta nelle nostre braccia e scappiamo!”. Ah, se li avessi ascoltati! Ma io volli rimanere per conoscere l’abitante di quella grotta. Ed egli non si fece attendere: con un gran tonfo, una gigantesca creatura, con lunghi capelli e un solo occhio in mezzo alla fronte entrò con un fascio di rami sulle spalle e un gregge di montoni e capre. Si accorse subito di noi: “Stranieri, chi siete?”. Io risposi: “Siamo Greci, ci siamo persi in mare, ti chiediamo ospitalità”. Il gigante ci annusò: Io sono il Ciclope Polifemo e sono figlio di Poseidone, il dio del mare”. Non fece in tempo a finire di parlare che subito afferrò due dei miei uomini, li sfracellò al suolo e li divorò. Terrorizzati ci nascondemmo. Pensai di sguainare la mia spada per affrontarlo, ma se lo avessi ucciso, come avremmo fatto a uscire dalla caverna che il Ciclope aveva chiuso con una pesantissima pietra?

 

La mattina dopo Polifemo si svegliò, iniziò a mungere due capre per bere il loro fresco latte e per colazione si divorò altri due uomini, poi portò con sé il gregge a pascolare richiudendo l’entrata della grotta con il masso. Rimanemmo soli e impauriti. Bisognava uscire da quel posto, ma solo il Ciclope aveva la forza per spostare la grossa pietra: ci voleva un’astuzia per sfuggire a una morte così crudele… Mentre pensavo, scorsi proprio in fondo alla grotta un lungo tronco d’albero e mi venne un’idea! Comandai ai miei uomini: “Presto! Prendete quel tronco e assottigliate una estremità come fosse una punta di lancia! Intanto, io preparo del vino”.  Gli uomini abbonirono. Poco dopo, arrivò Polifemo con il gregge, entrò e si mise a sedere. Io mi avvicinai e gli dissi: “Ciclope, vedo che sei stanco; ti offro del buon vino portato con me: ti ristorerà”. Egli lo guardò e mi chiese: “Qual è il tuo nome, straniero?” così saprò il nome di chi mangerò per ultimo”. Io risposi, mentendo: “Il mio nome è Nessuno” e Polifemo bevve e il vino lo fece addormentare. Subito feci cenno ai miei uomini e tutti insieme afferrammo il grosso tronco appuntito e lo conficcammo nell’unico occhio del gigante, rendendolo cieco. Il Ciclope si svegliò per il dolore e urlando chiamò i suoi fratelli Ciclopi delle altre grotte: “Fratelli, aiuto! Mi stanno uccidendo!” ed essi: “Chi ti fa del male?” “Nessuno mi sta uccidendo! Nessuno mi sta accecando!”.

Allora i suoi compagni allontanandosi gli risposero: “Se nessuno ti fa male, vuol dire che sei ubriaco o che stai sognando Polifemo!”. Il Ciclope senza più occhio passò la notte a gemere e a cercare di afferrare gli uomini, ma non li vedeva. Giunga l’alba, sapevo che Polifemo avrebbe aperto l’entrata della grotta per far uscire il gregge; legai a tre a tre i montoni più grossi e feci aggrappare sotto quello centrale ogni mio uomo. Polifemo che si era seduto sull’uscio aperto della grotta e con la grossa mano palpava il manto dei montoni, non ci vide e non ci trovò. Appena fuori ci legammo e fuggimmo di corsa alla nave. Mi misi al timone e ordinai agli uomini di remare il più velocemente possibile. Dal mare urlai: “Polifemo, tu hai ucciso degli innocenti! A chi ti chiederà chi ti ha ingannato, di’ che è stato Ulisse, il figlio di Laerte!”. Infuriato, il Ciclope raggiunse la scogliera e gettò un enorme masso in mare che sfiorò la nave sollevando un’onda gigantesca. Ma orami eravamo in salvo…

 

CIRCE
Partiti con la nostra nave giungemmo all’isola di Eolo, dio e custode dei venti, che ci accolse benevolmente. Alla nostra partenza disse a me soltanto: “Ulisse, poiché ti voglio bene, ti regalo questo vaso: esso contiene tutti i venti delle tempeste. Custodiscilo e non aprirlo o sarà peggio per te. Lascia libero solo il dolce Zefiro che ti spingerà fino in patria”.
Come promesso, Zefiro ci sospinse nella giusta direzione tanto che Itaca si vedeva all’orizzonte. Ma proprio in quel momento, la curiosità dei miei uomini li spinse ad aprire il vaso per vedere quali tesori contenesse… tutti i terribili venti si liberarono scatenando una furiosa tempesta che ci portò fuori rotta.
Dopo giorni, approdammo all’isola Eea. Radunai subito un gruppo di uomini con a capo Eurìloco e li mandai ad esplorare l’isola. Due giorni dopo, Eurìloco tornò alla nave solo e sconvolto raccontando una terribile storia: lui e i suoi compagni erano arrivati fino alle porte di un alto palazzo e una donna bellissima di nome Circe li aveva fatti entrare offrendo loro del cibo prelibato; tutti mangiarono tranne Eurìloco che non si era fidato. Infatti nel vino ella aveva mischiato un filtro magico e con una bacchetta aveva toccato gli uomini trasformandoli in porci!
 

Infuriato, presi la spada e mi incamminai verso il palazzo di Circe, mentre i miei uomini piangevano temendo per la mia sorte. Lungo il tragitto incontrai Ermes, il messaggero alato degli dei, che volle aiutarmi: mi diede da mangiare un fiore bianco che gi dei chiamano moli, che mi avrebbe protetto dall’incantesimo. Arrivato a palazzo, una donna di una bellezza mai vista mi accolse e io rimasi incantato: era Circe che mi diede un calice di vino. Io bevvi e Circe mi toccò con la bacchetta, ma nella accadde grazie al moli. Allora la maga mi guardò stupita: “Chi sei tu? Perché i miei incantesimi non hanno effetto? Perché non ti trasformi in porco? Sei forse Ulisse?... Io so infatti che Ulisse dovrà venire qui”.  “Sono Ulisse, e ti chiedo di restituirmi e miei compagni”. Circe, che non volva contrastare il volere degli dei, si recò nel porcile e liberò gli uomini dall’incantesimo. Poi, preparò un lauto banchetto per tutti. Per un anno restammo nell’isola Eea, ospiti di Circe, divenuta buona e gentile. Ma la nostalgia per la mia patria tornò a farsi sentire e decisi di riprendere il viaggio di ritorno. Salutai Circe ed ella, baciandomi, mi disse “:Parti pure Ulisse, ma ancora altre sventure ti attendono prima di arrivare a Itaca. Io vedo nel futuro”. E mi svelò le peripezie che avrei ancora dovuto affrontare e che vi racconterò.

 

IL CORAGGIO E LA CURIOSITA’
 
Affrontare problemi e porsi domande: il tuo viaggio per diventare grande assomiglia al ritorno che Circe concede a Ulisse dopo un anno nella sua isola…

Coraggio e curiosità insieme servono ad apprendere, anche quando costa fatica: a Ulisse sono serviti per affrontare le Sirene, Scilla e Cariddi.

 

SCILLA E CARIDDI
Lanciammo la nostra instancabile nave sul mare e ben presto, grazie a un vento propizio che Circe ci aveva regalato con il suo ultimo incantesimo, giungemmo sulle sponde della città dei Cimmeri. Era la terra dei morti. Affascinati da quel luogo tenebroso, traemmo la nave sulla riva e scendemmo.
Vidi allora apparire le ombre dei morti, degli eroi e dei poeti. Vidi l’ombra dei miei amici Achille e Aiace che con me avevano combattuto la guerra di Troia; vidi Minosse, re dei morti e il gigante Orione con la sua clava. Vidi, infine, mia madre, morta di dolore per la mia lontananza; ella mi raccontò che Telemaco era cresciuto molto da quando ero partito e che Penelope mi aspettava ancora. Volevo stringerla a me, ma l’ombra era impossibile da afferrare. La sofferenza era troppo grande, e così mi incamminai verso la nave per abbandonare quel triste luogo.
Partimmo. Circe aveva predetto che avremmo costeggiato le rive dell’isola delle Sirene: “Attento Ulisse”, si era raccomandata la maga, “non ascoltate il loro canto perché esso strega chi lo ascolta e lo conduce alla morte!”. Allora, presi della sera e la ficcai nelle orecchie dei rematori perché non udissero e io, che morivo dal desiderio di sentire quel canto, mi feci legare con stretto all’albero maestro della nave. Comandai ai miei uomini di non slegarmi per nessun motivo. Così, io solo potei sentire quel canto ammaliatore: era dolcissimo e diceva: “Ulisse! Ulisse! Vieni con noi!”. Io, impazzito, urlai agli uomini di slegarmi, ma essi obbedirono ai miei ordini e non lo fecero.
Lasciata alle spalle l’isola delle Sirene, gli uomini mi slegarono. Ma non appena sfuggito quel pericolo, un altro ancor più terribile ci stava attendendo… Circe mi aveva predetto che saremmo passati fra due mostri, Scilla e Cariddi. Ella mi aveva messo in guardia: “Passerete in un tratto di mare chiuso fra due coste opposte. Da un lato vive Scilla, un orrendo mostro con quattro braccia e sei colli che afferra chi le passa vicino, e dall’altro vive Cariddi, un mostro marino che beve l’acqua a grandi sorsi e poi la vomita… Attento Ulisse a non essere a non essere là mentre beve perché risucchierà anche la tua nave!” Ed ecco una strana nebbia avvolgeva il mare che iniziava ad agitarsi. Andammo avanti con molto timore e subito scorgemmo a sinistra Scilla che agitava le sue braccia e da destra Cariddi che stava bevendo con la sua enorme bocca. Eravamo in preda alla paura. Pensai che sarebbe stato impossibile evitarli tutti e due. Decisi allora di non avvicinarmi troppo a Cariddi, perché se avesse risucchiato la nave saremmo morti tutti; quindi mi avvicinai a Scilla che si allungò sul mare e afferrò quattro dei miei rematori per divorarli. Essi invocarono il mio aiuto, ma io non potei fare nulla per loro: avevo scelto, infatti, di sacrificare quattro uomini a Scilla per non perdere l’intera nave finendo nella bocca di Cariddi.
Alla fine, riuscimmo a passare lo stretto e a riprendere la navigazione. Il mare davanti a noi era tranquillo, ma quali nuovi pericoli ci attendevano ancora?
 

LE MIE EMOZIONI
 
Gioia, rabbia, stupore, paura:
non farsi trascinare è difficile.
Zeus interviene punendo Ulisse e i suoi uomini,
chiavi dell’istinto sull’isola del Sole…

 

L’ISOLA DEL SOLE

Giungemmo in vista dell’isola di Sicilia, la terra tanto cara al dio Sole. I miei uomini mi pregarono di farli riposare su quei bellissimi campi verdi sui quali pascolavano giovenche dalle grandi corna. Io risposi pronto: “Compagni, Circe mi ha raccomandato di non fermarci su questa terra perché incontreremo nuove sventure.”. ma essi, stanchi, piangevano. Andammo quindi a terra, ma feci loro giurare solennemente che non avrebbero toccato le giovenche del dio Sole. Presto, però, le scorte di cibo si esaurirono. Di nascosto da me, gli uomini si radunarono: “Moriamo di fame e non possiamo prendere le belle giovenche che pascolano sui prati. Che cosa mai potrebbe succederci? Ulisse sicuramente si preoccupa per niente!”. Disubbidirono agli ordini, catturarono le giovenche, arrostirono le loro carni sulla spiaggia e si sfamarono. Quando mi accorsi di ciò che avevano fatto, prefai Zeus, il re degli dei, di calmare il dio Sole; poi, ripresi il viaggio verso Itaca.

Ma il dio Sole, offeso e adirato, pretese che Zeus punisse quegli uomini che avevano ucciso gli animali sacri. Giurò che se Zeus non avesse sprofondato la nave nel mare, lui non avrebbe più illuminato la Terra.

Allora Zeus scatenò la più furiosa delle tempeste e lanciò un potente fulmine che colpì in pieno la nave distruggendola. Tutti caddero in acqua, la corrente era fortissima e ci trascinava indietro, verso l’enorme bocca di Cariddi. Tutti i miei uomini vennero inghiottiti dal mostro marino e anche io stavo per fare la stessa fine. Mi salvai appena in tempo aggrappandomi a un fico selvatico dalle forti radici. Per giorni, però, rimasi in balìa delle onde. Ero salvo, ma stavo morendo di fame e di sete.

Fu Zeus a salvarmi: impietosito, mi lasciò approdare sull’isola di Ogigia, l’isola della bella Calipso.

Caro Alcinoo, il resto della storia la conosci: partito dall’isola di Ogigia, tua figlia Nausicaa mi ha trovato stremato sulla spiaggia della tua terra, e ora sono   qui davanti a te a chiederti aiuto.

Alcinoo, il re dei Feaci, commosso dal racconto di Ulisse, lo guardò con le lacrime agli occhi e disse: “Caro Ulisse, le tue sofferenze sono finite. Tu tornerai finalmente a Itaca  e riabbraccerai Penelope e Telemaco. Ho già fatto preparare una nave con più di cento rematori che ti attende al porto. Beviamo insieme l’ultimo calice di vino, pioi domani mattina partirai!”.

 

RITORNO A ITACA

Icinoo tenne fede alla promessa e il mattino seguente Ulisse, dopo aver salutato e baciato la regina Arete e la dolce Nausicaa, partì sulla nave dei Feaci. Stanco, si addormentò subito. Già la sera la nave giunse nei pressi di un porticciolo di un’isola: era Itaca! I Feaci non svegliarono Ulisse dal sonno, ma lo trasportarono a braccia e lo depositarono sulla spiaggia insieme all’oro e all’argento che Alcinoo gli aveva donato. Poi, la nave riprese il viaggio del ritorno…, ma ahimè, che sciagura l’attendeva! Infatti Poseidone, il dio del mare, adirato con Ulisse per aver accecato suo figlio Polifemo, punì i Feaci per averlo aiutato: toccò la nave col suo dito e subito essa e i suoi rematori si trasformarono in una roccia che sprofondò nel mare.

Ben presto Ulisse si svegliò. Non capì subito di essere a Itaca. Fermò un pastore lì vicino: “Buon uomo che posto è questo?”, ed egli, che in realtà era la dea Atena che aveva sempre vegliato su di lui, rispose rivelando le sue sembianze: “Straniero, come puoi non conoscere l’isola su cui stai? Essa è conosciuta in tutto il mondo. È Itaca!” allora Ulisse riconobbe Atena, si inginocchiò, la ringraziò e baciò commosso la terra della sua patria. La dea gli disse: “Presto Ulisse, nascondi in quella grotta i doni dei Feaci. Sarà bene che io ti camuffi in modo che nessuno ti riconosca, così potrai vedere tu stesso chi ti ama e chi ti odia nel tuo palazzo e punire chi ti ha fatto del male e premiare chi ti ha fatto del bene”. Detto questo, lo toccò e lo trasformò in un vecchio mendicante perché nessuno lo riconoscesse, poi si avviarono.

Ulisse decise  per prima cosa di andare a trovare Eumeo, il capo dei suoi pastori, sperando che gli fosse rimasto fedele e potesse raccontargli qualcosa della sua famiglia. Eumeo lo accolse con gentilezza credendolo un povero mendicante. Lo sfamò e gli raccontò quanto gli mancasse il re di quell’isola che tutti credevano morto in mare nel viaggio di ritorno da Troia. Gli disse che il figlio Telemaco lo stava cercando, che la sua sposa Penelope lo aspettava sempre, che il padre Laerte soffriva per la sua mancanza e che i Proci abitavano nel suo palazzo e che uno di loro avrebbe presto sposato la regina.

Proprio alla fine di quel racconto che Ulisse aveva ascoltato in silenzio, apparve un giovane sulla porta della capanna. Subito Eumeo si alzò e con grande gioia si buttò ai piedi del ragazzo: “Telemaco! Sei tornato! Hai notizie del re, tuo padre?”. “Caro e fedele Eumeo, Menelao mi disse che mio padre era prigioniero di Calipso, ma appena giunto sull’isola di Ogigia, già mio padre era ripartito e non l’ho più trovato. Nascondimi qui con te Eumeo, non posso tornare al mio palazzo perché i Proci mi vogliono uccidere per prendere il posto di mio padre”. La dea Atena, invisibile, aveva assistito a quella scena, si avvicinò a Ulisse e gli disse che era arrivato il momento di farsi riconoscere e d’improvviso egli perse le sembianze del vecchio mendicante, Telemaco rimase sorpreso e non lo riconobbe perché erano trascorsi vent’anni! Ma Ulisse gli disse: “Figlio mio, sono tuo padre e sono tornato! Mi riprenderò Itaca e scaccerò dal palazzo i Proci. Vieni e abbracciami”. Telemaco scoppiò a piangere per la felicità: finalmente non era più solo, il re era tornato. Ulisse aveva già in mente un piano. Disse a Telemaco: “Con l’aiuto di Atena uccideremo i Proci. Ora vai a palazzo, Telemaco, non dire a nessuno che sono tornato. Prendi le armi della grande sala e nascondile perché i nostri nemici non possano difendersi, ma tieni per noi due lance e due spade”. Poi, riprese le sembianze del vecchio mendicante, disse a Eumeo: “Presto, conducimi alle porte del palazzo”.

 

LA STRAGE DEI PROCI

Ulisse arrivò al palazzo con Eumero. Nessuno lo aveva riconosciuto. Ma proprio in qul momento, un cane vecchio e morente lì sdraiato, alzò la testa e levò le orecchie: era Argo, il cane fedele di Ulisse. La bestiola riconobbe il suo padrone, agitò subito la coda e fece per avvicinarsi ma non ci riuscì, tanto era vecchio. Ulisse si commosse: nessuno si era preso cura di lui durante la sua assenza.

Ulisse entrò nella grande sala in cui i Proci stavano banchettando. Decise di metterli alla prova mendicando del cibo a ognuno di loro. Essi si spazientirono subito: “Ma chi è questo straccione che viene alla nostra tavola?”. “Come puzza questo vecchio mendicante!”. Ulisse riceveva insulti da molti e qualche tozzo di pane da qualcuno. Il più inferocito era Antinoo: “Che Zeus maledica Eumeo che ti ha portato in questa casa! Vattene da qui!”.

Ulisse per tutta risposta disse: “Sembri nobile ma non devi esserlo se non mi dai nemmeno un pezzo di pane”. Antinoo, adirato, gli scagliò addosso un pesante sgabello. Tutti si chiedevano chi fosse quel vecchio che osava parlare in quel modo, ma a un tratto si fece silenzio: Telemaco e sua madre stavano entrando nella stanza richiamati da quel trambusto. Penelope guardò i Proci e poi il mendicante con tristezza: “Mi hanno detto che lo straniero è stato percosso e insultato. Ciò non deve accadere nella casa del mio sposo Ulisse! Ogni straniero è sacro e va accolto, chiunque sia!”. Poi, fece un sorprendente annuncio: “Ascoltatemi tutti! Ho deciso. Sposerò chi fra voi riuscirà a flettere il potente arco del mio Ulisse e farà passare la freccia fra i dodici anelli delle asce”. Allora, tutti i Proci si fecero avanti e, uno dopo l’altro, presero l’arco per tentare l’impresa ma nessuno, nemmeno Antinoo con tutta la forza che aveva, riuscirono a flettere l’arco di Ulisse. I Proci erano infuriati. Il mendicante si fece avanti e chiese di poter provare lui stesso. Tutti risero: “Vecchio, tu non ce la farai mai! Ma prova pure, così ci faremo una bella risata!”. Ulisse afferrò l’arco, Telemaco lo guardava con gli occhi brillanti, lo tese senza fatica fino a fletterlo e scagliò la freccia che attraversò uno a uno tutti i dodici anelli!

I Proci rimasero senza parole…nello stesso momento la dea Atena aveva ridato a Ulisse le sue vere sembianze e tutti riconobbero il re! Ulisse urlò: “La gara è finita e adesso il bersaglio delle mie frecce sarete voi!”. Anche Telemaco e Eumeo, insieme ai pochi nobili rimasti fedeli al re, impugnarono la spada e diedero battaglia; i Proci cercarono di difendersi, ma non avevano armi, allora si rifugiarono sotto i tavoli e tentarono la fuga ma tutti, uno a uno, caddero a terra trafitti. Telemaco abbracciò forte il padre. Ulisse strinse la mano ai suoi fedeli che lo avevano aiutato, poi girò lo sguardo sulla scalinata dove Penelope, con le sue ancelle, si era rifugiata durante la lotta. Attese che fosse lei per prima a parlare. Ma Penelope faticava a riconoscerlo, e non poteva credere che quell’uomo fosse davvero il suo sposo che attendeva da vent’anni! Telemaco le disse: “Madre, perché non abbracci il tuo sposo?”. E lei: “Se davvero quest’uomo è Ulisse, allora lo riconoscerò facilmente perché ci legano molti segreti”. Poi chiamò la serva e le ordinò: “Prepara il letto per quest’uomo e portalo fuori dalla mia stanza”. Ma Ulisse, che conosceva il segreto di quel letto speciale, rispose: “Nessuno può spostare quel letto perché io stesso l’ho costruito dal ceppo di una possente quercia che afonda ancora le radici nella terra e questa intera casa è stata costruita attorno ad esso”. Penelope aveva messo alla prova il falso mendicante e ora riconobbe in lui il suo sposo: “Ulisse, sei proprio tu! A lungo ti ho aspettato, ma non ho mai abbandonato la speranza del tuo ritorno”. I due finalmente si abbracciarono dopo tanto tempo. Ulisse era tornato alla sua Itaca.

 

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