La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Le COMUNITA' in Italia        RITIRO ANNUALE 2022  Roma, 25 - 27 agosto


26 agosto

 

 

mattina:

 

L'omelia: Le vergini del vangelo sono solo un esempio narrativo per dirci cosa è il Regno dei Cieli.

Non basta lo slancio: andiamo dallo Sposo… non basta nemmeno fare come fanno le altre, nemmeno la verginità è certezza per incontrarlo, non è la forma che garantisce l’incontro! Io davanti a Cristo sono chiamata ad essere me stessa, nella mia pienezza.

E’ necessario dunque: “essere presenti a se stessi, sempre”! Perché vivere nell’ovvietà o nella distrazione, nel “si è sempre fatto così” dove alla fine uno vive senza cuore e senza memoria è la peggiore delle colpe che possiamo commettere. Quando la vita (mia) non dice più nulla, agli altri e nemmeno a me stessa, quando la vita degli altri non dice nulla alla mia… che disastro umano, prima che spirituale. Anestetizzata la vita dorme (e tutte si assopirono!).

A che serve alzarsi di notte per un viaggio se abbiamo dimenticato le chiavi dell’auto? O a che serve questa levataccia se siamo rimasti a secco di benzina e i benzinai sono chiusi?

Non basta lo slancio nella vita, è invece necessario, minuto per minuto, che la mia autocoscienza sveli continuamente a me stesso che la mia inadeguatezza è rilanciata da chi mi sta accanto.

Solo così la mia verginità sarà lampada  luminosa e non sacrificio contro natura. In fondo incontrare Lui che viene è quanto di più bello che ci possa capitare, e questo avviene sempre, anche ora che leggo, il punto è farne costantemente memoria!

 


 

1°Meditazione:

 

Lc18,18-30

 

Salmo 49 Ascoltate popoli tutti, porgete orecchio abitanti…

 

Che bello il salmo sapienziale che ci rimanda al senso del vivere.

Emerge uno sguardo appassionato e libero, libero anche dalle categorie religiose, che possono imbrigliarci. Se siamo perfetti non c’è bisogno del Signore, ma noi seguiamo il Signore perché ci accorgiamo della nostra imperfezione: pazienza, schemi mentali, rigidità. Insomma, cos’è il peccato? E’ il tentativo di farmi felice da solo!

Al centro del Vangelo c’è quanto difficilmente un ricco entri nel Regno di Dio, che è un altro modo per dire vita eterna.

I beni sono un bene in quanto sono un dono di Dio, e dunque dove sta allora il male? Nell’accumulo di essi per la non condivisione. Se diventano, infatti, il fine della vita sostituiscono Dio e allora ci si divide da Dio. E invece dell’aiuto che le cose mi danno per incontrare Dio (nel prossimo) esse divengono il motivo per il quale distanziarcene.

Abbiamo la figura di questo nobile che è molto ricco. Si domanda: “che fare?” che è la domanda tipica umana.

Cosa deve fare per ereditare la vita eterna. Ma scusate: l’eredità che è del padre come si deve fare per ottenerla? Nulla. Se sei figlio è automatico avere l’eredità. Quindi per accoglierla, per ottenerla bisogna solo vivere da figli.

Gesù risponde al notabile invertendo i comandamenti, è molto bello quello che fa. Infatti anticipa a tutti il peccato di adulterio, per dirci che è menzognero vivere anteponendo a Dio le cose. Significa idolatria, questo era il peccato fondamentalmente compiuto dai religiosi all’epoca di Gesù: gente che preferiva i soldi al culto.

La risposta del notabile pare essere quella di chi dice: tutto ho osservato dalla giovinezza eppure sa di non essere a posto, desidera qualcosa in più, ha intuito che in Gesù c’è un mistero che lo realizza.

Non basta l’osservanza delle regole (che a volte gonfia, è orgoglio) ciò che è necessario è l’incontro con Lui!

Gesù gli consigli di disfarsi di quel che ha fatto di quel che ha perché non è ciò che si ha che salva ma è ciò che siamo: siamo figli se viviamo da fratelli! Non è l’accumulare giustizia che ci fa meritare il Regno dei cieli.

Guardiamo anche tra noi: come ci trattiamo tra suore? Emerge il fatto di essere fratelli oppure le regole sono più importanti della persona che abbiamo di fronte? In questi giorni vi ho ripetuto più volte: non la pretesa verso l’altro, bensì la tenerezza!

La fede è fiducia in Dio, è la fede che ti salva e non invece la sufficienza di chi dice: ho osservato tutto, quindi sono a posto! E’ Qualcun altro che ci salva e capire ciò è vivere una vita nuova!

Allora viviamo tutto quanto abbiamo non come proprietà nostra (anche le cose personali, i così detti talenti, l’intelligenza, la giustizia ecc.)ma come dono di Dio si comprende come tutte queste cose mediano l’amore di Dio e in ogni cosa, in ogni relazione, hai molto di più della cosa che prendi, hai Dio stesso che si dona a te, hai già la vita eterna!

 

Sal 48 (49)

Il cap. 3 di Filippesi

Lc 6,20-26

Lc12,32-34

Lc 25,33

Lc 16,9-13

Mt 13,44-46

 

 


pomeriggio:

 

2°Meditazione:

 

Sal 16-15 Proteggimi o Dio in te mi rifugio

 

Lc 10,38-42

 

Il salmo è messo sulle labbra del Levita che serve i sacerdoti del Tempio. In Dio trova tutta la sua vita, il centro della sua esistenza. Sono questi primi versetti un riconoscimento, perché il Signore è parte di eredità, è ciò per cui vivo. Tutto l’interesse, il cuore dell’esistenza, come ha capito Maria.

Il Vangelo ci propone due forme  di religiosità, Maria alla quale piace il Signore e Marta che al Signore vuole piacere!

La prima è tutta presa da ciò che Lui fa per lei, la seconda da ciò che lei deve fare per Lui.

Se non accogliamo l’amore il nostro fare rischia di essere quello dello scriba.

Il testo di oggi ci chiede: cosa dobbiamo fare? Stare! Questo è il primo impegno pastorale. Piuttosto che inventarci cose sconclusionate, mostriamo al mondo come è bello riconoscersi in Cristo.

Il vero fare non è un fare è un ascoltare. Ci può essere un fare cose buone e buonissime, che è un fare perverso!

Il testo ci dice cosa non dobbiamo fare!

Maria cosa fa? Lei sta. E’ la sposa, la sposa è colei che accoglie lo sposo. La nostra missione è quella di essere sposi, In Maria è rappresentato il vertice dell’umanità.

Il fine della nostra vita è accogliere lo sposo. Noi siamo fatti per la sua presenza!

Marta mostra l’atteggiamento di colei che invece sa cosa deve fare, ha l’iniziativa ed è risucchiata a destra e a manca, un vortice di iniziative buone, il peggio delle nostre parrocchie.

Cosa fa? Molti servizi. Si deve servire no? Ma trasuda in lei l’immagine che per lei la presenza del Signore è solo fatica! (Quante volte noi comunichiamo esclusivamente la fatica del seguirlo? Questo genera sterilità, fossimo capaci di trasmettere quanto siamo realizzati da questo incontro!).

Emerge il tema paolino: chi vuole salvarsi con le sue opere non accetta che la salvezza venga dall’amore gratuito di Dio.

Marta si sente trascurata. Non ti curi di me! Mi abbandoni da sola! Quella invece, guardala lì, quieta, quieta! e tu sei qui con lei! Insomma emerge un bel rimprovero anche al suo Signore!

“Marta calmati, sei troppo agitata, non disturbare tua sorella, lasciati educare dal rapporto con Me di tua sorella, tu che pensi sempre di essere e soprattutto di dover essere la migliore, la più indispensabile.

Anche noi quando ci raggiunge un giudizio, uno sguardo che ci rivela una posizione inappropriata nella nostra vita, un giudizio che ci corregge, che spesso sul principio non ci è chiaro, è normale che ci faccia male.  Eppure ci fa bene.

Una cosa sola è necessaria, di una cosa sola c’è bisogno.

Sua sorella Maria lo sta già accogliendo, e forse anche Lazzaro e sicuro i discepoli che sono venuti con lui ed hanno riempito la casa. Questo dono è già condiviso con tutti coloro che, dalla Vergine Maria a Marta, lo hanno già ricevuto e accolto.

E noi cosa dobbiamo fare?

Bastano due o tre persone che scoprono di condividere che Cristo è la risposta unica, totale e universale al bisogno del cuore umano per riempirci di stupore, di stupore che questa coscienza accada a noi, a me!

Se non accolgo la realtà come luogo concreto della Sua presenza non Lo accolgo e finisco per vivere come Marta.

Anche noi dobbiamo capire come questa parola rivota a Marta venga a salvarci ora, ciascuno di noi, ora nella situazione in cui ci troviamo.

Marta ha cominciato ad accorgersi che quella parola di Gesù la rivelava a se stessa, le rivelava il suo cuore, che è ben diverso rispetto al suo modo di fare.

Sapeva che a Gesù il suo temperamento piaceva, che Gesù il suo temperamento lo guardava con simpatia e ci scherzava su con lei! Altrimenti non avrebbe frequentato spesso la casa di Betania.

Marta, Marta, di una cosa sola c’è bisogno. Questa parola le rivelava il suo cuore, lo metteva a nudo nel suo bisogno profondo, essenziale e totale, lei lo ingannava, non se ne curava. O meglio: lo intasava di cose.

Il nostro cuore, come quello di Marta, è una domanda che si interroga, una domanda che ci riempie di stupore anzitutto come domanda, come mancanza: “Ma come, ti do tutto, come puoi Signore aver bisogno di altro?”

 

Lasciamoci guardare da Cristo e lasciamoci dire, con le parole che vogliamo, con le parole con cui ci ha incontrato un giorno, che il nostro cuore ha bisogno di una cosa sola: di Lui presente.

 

Lasciamoci chiamare per nome, come Abramo, Mosè, Samuele o Saulo di Tarso, col nostro nome chiamato due volte per riaccorgerci dell’attenzione rivolta a noi.

E invito ad accorgervi di quello che succede in voi, e in voi nel rapporto con tutto quello si cui vi eravate lamentati anche giustamente.

Insomma vi invito a scoprire come cambia la vita, tutta la vita, alla luce del Suo sguardo e della grazia di aver coscienza che il nostro cuore ha bisogno di lui.

 


RITIRI ANNUALI