La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Le COMUNITA' in Italia        RITIRO ANNUALE 2016 - Roma, 26 - 31 dicembre

 


 

la vigilia

il pranzo

le foto

 

Il Ritiro

ha iniziato con l'adorazione

e in seguito con il vespro

nella cappella della Casa Generalizia a Roma.

 

Quest'anno ci accompagna spiritualmente

il Padre Gian Matteo Roggio

Missionario di Nostra Signora De La Salette.

 


LunedÌ 26 dicembre: 18.00-Adorazione e Vespri e Introduzione / 19.30-Cena // MARTEDÌ  27 / MERCOLEDÌ 28 / GIOVEDÌ 29 / VENERDI 30: 8.00-Preghiere e Lodi mattutine, Colazione / 9.30-1° meditazione / 11.30-S.Messa / 13.00-Pranzo / 16.00-Merenda / 17.00-2° meditazione / 18.00-19.10 Adorazione, Vespri, Benedizione Eucaristica / 19.30-Cena // SABATO 31 / 8.00-Preghiere e Lodi mattutine, colazione / 9.30-1° meditazione /11.30-S.Messa / 13.00 Pranzo - NB. Per le suore che restano il 31 dicembre:  Adorazione fine dell’anno, dalle 23.00 alle 24.00


Veniamo a questo ritiro con tanti nostri pensieri, le esperienze...

E' bene, inserire in tutto questo nostro 'vivere'

alcuni, utili per la nostra vita dei consacrati.

 

il PRIMO pensiero

ci viene dal Vangelo della Liturgia di oggi, nella Festa di Santo Stefano, martire:  "Guardatevi dagli uomini,..." (Mt 10,17)

Che cosa vuol dire 'guardarsi dagli altri?

 

1. non manipolare gli altri,

2. non essere manipolato dagli altri.

 

Ad/1 - Quando è che io manipolo gli atri? Succede quando tratto gli altri in modo che essi non alterino i miei modi abituali di vivere; gli altri possono stare con me a condizioni dettate da me... che piacciono a me...

 

Ad/2 - Quando lasciamo agli altri di 'fare'... per 'quieto vivere...non 'ci pestiamo i piedi'...quando permettiamo a non essere un 'disturbo' agli altri... ma... attenzione:

 

Noi dobbiamo essere un sano disturbo per gli altri!

 

Viviamo, dunque, questi giorni chiedendo il dono della GUARIGIONE nel rapporto con gli altri; di non manipolare e di non essere manipolati.

 

 


27 dicembre 2016 1° meditazione / ore 9.30

Il nostro tempo sarà il cammino di riflessione, di riposo e di preghiera.

Affinché questo sia possibile nella maggiore possibile misura, attingeremo da alcuni suggerimenti del Concilio Vaticano II - che ha dato l’inizio a riformare e completare la vita consacrata -  alla Perfectae Caritatis, che è un decreto emanato dal Concilio Vaticano II sul rinnovamento della vita religiosa.

Siamo nel tempo in cui si ricorda i 50 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II.

A conclusione del grande Giubileo dell’anno 2000 il Vaticano II è stato additato dal Papa Giovanni Paolo II come «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo, una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre».

Questo ci ricorda che la vita consacrata vive veramente grazie al fatto che “sente con la Chiesa”; noi siamo portati a dire che la vita consacrata è viva se ha delle vocazioni, se risponde alle esigenze del tempo, se sa trovare i ‘nuovi apostolati’. Tutti questi criteri sono anche giusti ma, il criterio fondamentale se la vita consacrata è viva è il “sentire con la Chiesa”. Noi possiamo crescere nelle vocazioni se sappiamo ‘sentire con la Chiesa’, vivere la sua stessa vita.

Questa espressione è a largo raggio – il “sentire” ha tanti campi a cui si applica – qui si applica però come un criterio fondamentale alla vita della Chiesa.

Dunque, oltre alla guarigione dei nostri rapporti con gli altri, diamo importanza anche a guarire il nostro rapporto con la Chiesa, a questo “sentire con la Chiesa”.

Oggi abbiamo tanti criteri tecnocratici quali: fare e il numero che conta, ma la vita della Chiesa non si riduce a questo – se lo fosse, sarebbe vera l’affermazione di s.Giovanni Crisostomo: apostoli era 12 sarebbe da pazzi darsi da fare senza gli strumenti… “Come avrebbero potuto pensare una simile iniziativa dodici uomini, ignoranti, che vivevano vicino a laghi, fiumi e nel deserto? (...) Dunque è evidente: se non l’avessero visto risorto e non avessero avuto la prova della sua onnipotenza, non avrebbero corso tale rischio”.  E’ evidente che la predicazione è opera di Dio.

La vita consacrata è vera quando riproduce in se stessa le origini della Chiesa: il coraggio (gli apostoli che hanno ricevuto lo spirito di fortezza, di crescita in virtù), il profondo incontro con il Risorto (se gli apostoli hanno diffuso il messaggio di Cristo era perché Lo hanno visto), e tanta fantasia – può sembrare strano ma è così! La fantasia di creare le istituzioni nuove, i modi nuovi di diffondere il messaggio di Cristo.

Se la vita consacrata ritorna a tutto ciò che ha motivato le origini della Chiesa, allora si può dire che essa è viva.

Le nostre famiglie religiose e noi, consacrati non siamo delle isole solitarie,  ma viviamo nella Chiesa e camminiamo vivendo e sentendo con la Chiesa e ciò non è un ‘bisticcio’ di parole. Noi siamo il frutto e la manifestazione del sentire dei nostri Fondatori con la Chiesa.

Fare gli esercizi spirituali e cercare di vivere in noi tutto ciò che ci fa sentire con la Chiesa significa tornare alle origini della Chiesa.

Se noi impariamo a far crescere dentro di noi tutto ciò che ci fa vivere e sentire dentro di noi lo spirito dei Fondatori / il carisma dell’Istituto, impariamo a sentire con la Chiesa; questo ci porta al cuore della nostra vocazione che ci apre alle nuove esperienze e realtà, oltre che a delle persone. Non vivremo da ‘isole’ che non hanno bisogno delle altre realtà – ci farà ritornare alle origini dei nostri Fondatori / Fondatrici.

Il ‘sentire’ con la Chiesa esige delle virtù particolari :

1.   il Coraggio – la virtù di cui abbiamo un particolare bisogno (spesso questa oggi è in mano dei ‘pazzi’… come stampa, il terrorismo – persone che stanno distruggendo il coraggio che ha senso solo in misura in cui è orientato a creare qualcosa di positivo, altrimenti perde il suo significato originale). Noi nel nostro ‘sentire con la Chiesa dobbiamo riscoprire e coltivare il coraggio per no essere né caldo né freddo… Cfr. Apocalisse 3:15-19: “Io conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca. (…) abbi dunque zelo e ravvediti.” E’ necessario questa consapevolezza che ci viene dall’ammonimento per non cadere nella mediocrità - quel grande brodo, da cui esce di tutto e di più… e in cui si perde il controllo di far fronte. Se la mediocrità vince e se trova la sua nicchia, lo spazio di agire liberamente, sarà perché non ha trovato la resistenza di chi non l’avrebbe sopportata. Noi abbiamo il bisogno di essere guariti da quel comportamento che ci lascia manipolare – non lo dobbiamo sopportare e dobbiamo essere un “sano disturbo” agli altri. Si può essere di sano disturbo all’altro, sono se non si è mediocre! E quando uno è di sano disturbo per gli altri, allora la croce la porta da sé stesso e non la butta addosso agli altri (lo sport che ci vorrebbe per noi). Ricordiamo (o forse non ne eravamo allora coscienti), quando nel giorno della professione religiosa ci è stata chiesta la scelta contro la mediocrità? Gli apostoli non sono stati coraggiosi solo per il fatto che sono stati martirizzati ma perché hanno capito che una volta incontrato il Signore Risorto, la mediocrità è da escludere, che la vita con il Risorto è l’esatto contrario della mediocrità. Quando c’è la mediocrità, c’è l’indifferenza e quando c’è l’indifferenza allora c’è la mancanza totale di sensibilità verso la vita degli altri.

La santa indifferenza, di cui parla s. Ignazio è la disponibilità - e anche la capacità, di accogliere l’altro chiunque esso sia e qualunque sia la sua condizione.

Noi abbiamo bisogno di ricuperare tutta la tradizione ascetica, parlando del coraggio, senza darne necessariamente tutta questa lettura storicizzante che si è imposta lungo tutta la storia e, che spesso ha alterato l’immagine del coraggio.

I nostri Fondatori si sono distinti proprio per il fatto di aver reagito contro la mediocrità e in questo senso sono stati dei coraggiosi, proprio come gli apostoli che, dopo aver incontrato il Risorto, si sono accorti che non ci possono essere delle mezze misure nel proprio comportamento e nella vita e che non c’è posto per la mediocrità nella loro vita.

Poniamoci delle DOMANDE:

 -         sono una persona capace di sentire con la Chiesa?

-         ci sono delle resistenze nel mio sentire con la Chiesa? - quali? - da quale parte di me arrivano?

-         a che punto è il mio cammino nel coraggio di sentire con la Chiesa?

-         lascio agli altri il compito del coraggio al sentire con la Chiesa?

-         nelle mani di chi lascio questo coraggio? (forse nelle chi lo distrugge…)

-         come viviamo nelle nostre comunità questa virtù del coraggio di sentire con la Chiesa?

-         quanto ‘io’ coltivo in me e faccio crescere lo spirito del coraggio nella mia comunità?

 

Non abbiamo il motivo di abbandonare questo spirito, dal momento che abbiamo incontrato il Risorto;

-         Il mio incontro con il Risorto è un incontro che mi fa superare le mezze misure, o no?

-         Se non ho incontrato il Risorto, allora chi incontro nella mia vita?

Noi ritorniamo sempre più alle origini della nostra vita consacrata, che è - oltre che una chiamata - è una vera scelta nell’ascesi della vita quotidiana.

E’ un continuo cammino di tutti i giorni nella vita consacrata con il Risorto.

E’ un sentire con la Chiesa.

 

dall'omelia del giorno: San Giovanni, apostolo ed evangelista - Gv 20,2-8

 

Se noi incontriamo il Signore è perché Lui si fa incontrare... Vedere, riconoscere ed amare Cristo non accade nell'ombra perché Egli è la Luce e si fa vedere; Lui si fa trovare da noi - prende l'iniziativa.

Affinché si possa vedere il Signore, bisogna fare lo spazio agli altri - più delle volte bisogna saperlo raggiungere attraverso le parole e la testimonianza degli altri; se vogliamo raggiungere il Signore dobbiamo, come Giovanni, saper andare dietro la testimonianza di coloro che, a volte, non contano nulla (deboli e umili).

Lasciamoci toccare dall'umiltà del cuore di coloro che sono tante volte incapaci di avere alcun credito.

 

 


27 dicembre 2016  2° meditazione / ore 17.00

Questa mattina ci siamo soffermati sul ‘sentire con la Chiesa’. E’ un cammino dei Fondatori e può avere le tre caratteristiche:

 

1.       Coraggio;

2.       Incontro con il Risorto;

3.       La fantasia.

 

Ad 2/ Incontro con il Risorto

 

Prendiamo lo spunto dal Vangelo di oggi: il discepolo che Gesù ama è sempre capace di mettersi in ascolto e di seguire Gesù. Il discepolo che Gesù  ama va dietro a Gesù; è qualcuno che sa dare il credito alle parole degli altri. In che modo? Noi siamo andati dietro al Signore, perché qualcuno ce ne ha parlato. Noi siamo dunque coloro che si mettono in cammino dietro la testimonianza di coloro che ci hanno trasmesso. Noi ci muoviamo, generalmente, sulla parola e sulla testimonianza di coloro che Lo hanno visto.

 

Nel Vangelo di Giovanni, noi abbiamo tutto il racconto del ‘muoversi’ dietro a… “ECCO” significa che lo usa chi ‘sta vedendo’ che si muove / succede qualcosa; proprio perché lo vedo, lo trasmetto a te quello che vedo – te lo sto dicendo. Quando Giovanni Battista dice: “ecco l’Agnello di Dio…” (cfr. Gv 1,29) è come se volesse dirci: ecco è quello che sto vedendo e poiché quello che vedo non è il fatto privato, allora te lo faccio vedere. Proprio quel ‘vedere’ rende responsabili verso gli altri; “quello che abbiamo udito…”

 

Qui andrebbe sottolineata la teologia dello sguardo – c’è da chiedersi se i nostri sguardi ci spingono a condividere e a mettere in gioco ciò che noi stiamo vedendo o, se è uno sguardo che taglia i ponti e chiude la relazione. Dunque, si può affermare che il mio sguardo parla della qualità della nostra vita da consacrati.

Tornando a Giovanni che dice: “ecco colui…” e che si mette in cammino dando ascolto alle parole di Maria di Magdala – si muove insieme a Pietro, entra e vede – da l’adito alle parole di Maria. Vede la tomba vuota ma evidentemente non saccheggiata e danneggiata. Non lo è perché tutto ciò che era a garanzia della dignità del morto (il sudario) non è buttato come nel caso di una profanazione ma è in ordine, è piegato. Si tratta dunque non di una tomba vuota qualunque, di un uomo qualunque ma… di Gesù – uomo / Dio. Questo è il messaggio che Gesù è sullo stesso piano di Dio.

 

Il discepolo che Gesù ama da il credito alla parola del profeta (Giovanni il Battista) e poi alla parola di chi non conta (la parola della donna).

Purtroppo nella storia, il ruolo della donna ha avuto il ruolo secondario; per poter dire che la parola della donna ha un importanza equivalente, sostanziale a quella del maschio, nascono le congregazioni femminili. La vita consacrata femminile è una sfida per la parità dei sessi. La battaglia per la parità dei sessi è una cosa buona nella Chiesa per testimoniare la dignità della persona creata da Dio. Un tempo si faceva suora perché non si aveva da mangiare oppure voleva fare del bene all’umanità, ma oggi queste motivazioni hanno perso di attualità, ma oggi non è più così e nella nostra realtà rimane il compito profondamente scolpito nella vita religiosa femminile e cioè che la parola della donna è insostituibile, che la parola della donna vale tanto, quanto la parola degli uomini; che la donna deve, insieme all’uomo realizzare l’immagine di Dio che “maschio e femmina li creò”. (cfr. Gen 1,26-28)

 

Attenzione: bisogna che la donna consacrata si ricorda di non portare avanti il discorso della ‘mentalità sostitutiva’ – il grande tarlo della realtà di oggi. La sostituzione dispensa dalla responsabilità, ma le consacrate hanno il ruolo diverso dal maschi ed è un ruolo unico, non sostitutivo.

La vita consacrata ha la sua dimensione profetica, però non la esaurisce; la profezia nella Chiesa è un dono particolare. La vita consacrata ha bisogno di individuare i veri profeti. E’ una sequela dei profeti di cui i primi sono i nostri Fondatori hanno detto a qualcuno ciò, che essi stessi hanno visto e che ce lo hanno riferito / tramandato. La vita consacrata ha un grande compito: il vero aggiornamento che ci è stato richiesto dal Concilio Vaticano II, oltre che alla revisione delle proprie Regole e del proprio patrimonio, perché affinché attraverso a questo Patrimonio si potesse raggiungere i nostri Fondatori a livello dei Profeti.

Da questo punto di vista gli esercizio sono sicuramente un momento buono per tornare ai nostri Fondatori per riscoprire in loro i Profeti.

 

Chi è il Profeta nella Chiesa?

 

Il Profeta è colui che vede l’Agnello di Dio.

San Giovanni ci da la risposta – è colui che vede l’Agnello di Dio.

Il  Profeta è colui che vive nel deserto, che vive libero da ogni forma di condizionamento – è immune da ogni forma di manipolazione. Proprio per il fatto che il profeta, Giovanni Battista vive nel deserto, tutto ciò che dice non lo dice in favore di qualcuno, per far piacere a qualcuno.

Nell’immagine del deserto la vita consacrata ha visto sempre la propria identità; la vita consacrata non è certo vissuta per far piacere a qualcuno… Il deserto ha da sempre dato il messaggio e l’immagine della libertà ma, sempre legata alla verità.

Dall’altra parte il deserto, nel Nuovo Testamento vuol dire per Battista il suo sacerdozio – il suo posto era nel tempio di Gerusalemme, così come del suo padre Zaccaria – e cioè del sacerdozio nuovo, quello di ‘incontrare Dio’.

 

Se noi vogliamo conoscere bene i nostri Fondatori come Profeti, dobbiamo andare a cercare il loro deserto che va oltre le regole cultuali a cui essi erano esposti. Dobbiamo vedere loro nella loro ‘solitudine’ con Dio e nella loro responsabilità per l’incontro con l’Agnello di Dio.

 


28 dicembre 2016  1° meditazione / ore 9.30

Dovremmo continuare questa mattina lasciandoci guidare da ciò, che il Vangelo di Giovanni ci ha suggerito: il discepolo amato, colui che è chiamato da Gesù, si mette nel cammino per seguire Gesù. All’inizio il discepolo amato si mette in cammino sulla parola di Battista ma alla fine si mette nel cammino sulla parola di chi non contava: una donna - Maria Maddalena.

Abbiamo cercato di vedere quali sono le caratteristiche del Profeta e ne abbiamo individuato almeno due:

-         Immagine del sacerdozio / il Battista era il figlio del sacerdote, ma non ha esercitato il suo sacerdozio secondo gli schemi cultuali del tempo, bensì nel modo inusuale;

-         Immagine del deserto / libertà dove non si è manipolati e dove cresce la relazione autentica con l’altro.

Questa mattina ci muoviamo su ciò che ha indicato Maria Maddalena. Ai tempi di Gesù, ricordiamocelo, le donne contavano solo tanto, quanto in funzione degli uomini. Gesù ha sovvertito questo: “come è possibile che Lui parli con la donna?” E per giunta quella era samaritana. E non solo: Lui le ha chiesto addirittura da bere – cosa che nessuno dei giudei l’avrebbe mai fatto. Lo sgomento degli uomini / ebrei praticanti, era grandissimo di fronte all’agire di Gesù.

Ebbene, nonostante questo il discepolo amato si mette in cammino.

Si mette in cammino almeno per due ragioni:

 

-         Teologica

-         Psicologico / spirituale

 

RAGIONE TEOLOGICA:

 

Perché il discepolo amato si mette in cammino? Lui sa, che la Scrittura racconta storie di donne, nelle quali si è manifestata la storia di Dio; sa, che la scrittura tramanda il fatto che di Dio abbiamo effettivamente parlato le persone che non ne era autorizzate; sa bene, che in alcuni momenti della storia Dio ha parlato ed agito attraverso persone, che secondo il senso comune non potevano essere né porta parole di Dio e nemmeno i trasmettitori della sua presenza se. Il senso comune del pensare. Giovanni sa, che Dio ha parlato attraverso le donne, che non avevano alcun diritto di parlare di Dio.

Qui sorge per noi un’indicazione: noi per incontrare il Risorto siamo chiamati ad asco latere coloro che ‘nessuno ascolta’ – ascoltare coloro, che non hanno diritto di parola. Attenzione: questo certamente è possibile solo quando ‘si esce dal tempio’, cioè ascoltare Dio dall’ambiente diverso da quello in cui siamo soliti stare: chiesa chiusa, ma fuori chiesa – chiesa in periferia. Appello di papa Francesco è proprio questo: uscire! Vediamo, che questa invocazione suona anche in Giovanni come se fosse una trasgressione: il saper uscire da certe regole e spezzarle. – i cristiano sono andati oltre la sinagoga e il tempio e lo hanno fatto proprio perché hanno ascoltato la parola di chi non è stato ascoltato nel tempio. Negli Atti degli Apostoli si trovano anche dei passi in riferimento a chi aveva l’autorità di parlare di Dio: chi era maestro o dottore della legge: Capitolo 4, 1-2 “Stavano ancora parlando al popolo, quando sopraggiunsero i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei, irritati per il fatto che essi insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti.” Dunque apostoli non autorizzati poiché lontani dai canali dell’educazione nel tempio e secondo la Tradizione: , come anche le donne: In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna,” cfr. Gv 4,27).

La Chiesa è nata proprio perché ci sono state delle persone che hanno ascoltato chi ne era ‘fuori’ del tempio. La chiesa nasce quando si cerca chi è in grado di accogliere Dio, ma non si limita ai suoi ambienti; noi siamo il segno, che i nostri Fondatori non hanno trovato Dio nei luoghi che era destinati a conservare la Sua presenza. Le nostre famiglie religiose sono il frutto di una ricerca che ha portato i nostri Fondatori fuori determinati confini e fuori delle istituzioni e lì hanno trovato luoghi e le persone alle quali si poteva parlare di Dio; anche se queste persone non erano’riconosciute’ dall’autorità prestabilite dei tempi.

Attenzione: spesso ci accorgiamo di aver speso la nostra vita invano, quando il nostro amore per gli altri si limita a far del bene, ma l’altro ci risponde con una pernacchia. Noi dobbiamo essere coscienti di spendere sì, la nostra vita nell’amore del prossimo ma, perché quell’altro ci ‘parla’ di Dio – è Dio incarnato nella sua debolezza… il mistero del Natale è tutto qui: quale Parola di Dio ci può arrivare da un bambino? Quale Parola di Dio ci può venire da un ammalato? Quale Parola di Dio ci può trasmettere un detenuto? E’ davvero per noi una grande sfida!!! Noi siamo abituati ad essere noi unici autorizzati a parlare di Dio e spesso dal ‘piedistallo’.

I nostri Fondatori si sono mossi in direzione completamente opposta.

 

La parola di Dio può essere una parola di aiuto; la parola di Dio può essere la richiesta di conversione; la parola di Dio può essere il bisogno di comprensione – è Dio che ce lo chiede. Ricordiamoci che tra la religiosità naturale e la fede c’è una grande differenza.

I Fondatori hanno riconosciuto che Dio ha parlato alla chiesa attraverso questi ‘deboli e non considerati’ dagli schemi abituali.

 

Dunque, se noi vogliamo incontrare il Risorto, dobbiamo essere pronti e disponibili ad uscire dai determinati spazi del tempio e delle sinagoga; qui si attiveranno sicuramente dei meccanismi di difesa per non permetterci questa uscita o, per lo più, ritardarla o rallentarla.

(l’angelo a Cornelio: proprio questi non abili porteranno alla tua casa la salvezza – cfr. At 10, 1-8)

Se i nostri Fondatori avessero pensato che ‘questa’ Parola di Dio era indirizzato solo a loro – sarebbe finita con loro e noi non saremmo qui; ma loro hanno ritenuto che questa Parola di Dio era anche indirizzata alla Chiesa e in modo permanente.

 

Le famiglie  religiose hanno dalla convinzione dal fatto che la Parola di Dio era indirizzata alla Chiesa in modo permanente; era affinché ‘quella’ Parola di Dio fosse incarnata e trasmessa in modo permanente alla e nella Chiesa.

Uno dei compiti della vita consacrata è quello di ricordare alla Chiesa la Parola di Dio; attraverso il nostro esserci in determinati luoghi e in modi concreti. La vita consacrata deve ricordare alla Chiesa la Parola di Dio, che la Chiesa potrebbe sostituire o, addirittura dimenticare.  

I padri del deserto hanno avuto le origini dal fuga mundi (fuga dal mondo) e vorrebbero dire con questa loro scelta dire che i cristiani non si diventa per delle forme e nei meccanismi del mondo.

Anche per noi vale questo; fino a qualche hanno fa si nasceva cristiani in una determinata area geo/politica. Oggi, la vita consacrata ha il compito di rendere visibile ‘altro’ modo in cui si diventa cristiani, fuori dagli schemi del mondo. Non dobbiamo piangerci addosso ma riscoprire ciò da cui la vita consacrata è stata generata: la sua fuga dal mondo. Lode a Dio! Che può essere autentica nella misura in cui si cerca concretamente i modi in cui si diventa propriamente cristiani – questo è il compito di vita consacrata.

Papa Giovanni Paolo II nella sula Esortazione Apostolica “Vita Consecrata” parla della realtà educativa della vita consacrata.  – esiste per educare a diventare cristiani non secondo le regole del mondo.

Dobbiamo sottolineare che l’incontrare davvero Gesù non è solamente un’esperienza storica; bisogna percorrere anche un itinerario di fede che richiede di imparare a desiderare il dono di Dio, e imparare a riconoscere l’identità vera di Gesù.

 

Quindi, oggi è importante porci degli interrogativi:

 

-         Come si diventa cristiani?

-         Chi sono coloro che ascolto per diventare cristiana?

 

Consiglio per la preghiera:

 

1. Cosa la Fondatrice, sant’Orsola ha percepito come Parola di Dio indirizzata alla Chiesa?

Come Lei l'ha messo in pratica?

Verso chi è andata?

 

2. Come, per la mia identità della consacrata oggi, mi metto nel cammino ed ascolto coloro che, nell’opinione comune, non mi possono dire nulla di particolare di Dio, e invece sono proprio loro la Parola di Dio indirizzata a me?

 

 

dall'omelia del giorno: Santi Innocenti, martiri - Mt 2,13-18

 

Possiamo chiederci oggi in che senso Dio può essere glorificato con il sangue?

Dio non è assetato di sangue ( le belve sì). La gloria di Dio si manifesta nell'uomo vivente. Quando l'uomo uccide è per la sua propria volontà; non può mai chiamare Dio a garante / complice di ciò che sta facendo. Dio è la vita. Dio è la luce - e questa è la sua identità profonda. Dio è l'Amore che perdona; Dio è glorioso, perché l'Amore fa il primo passo.

Chiediamo la grazia di non dare mai il minimo motivo al male... neanche di un sospetto del male... di poter dire al mondo, con la nostra vita dei consacrati, che Dio è glorioso perché è l'Amore.

 

 


28 dicembre 2016  2° meditazione / ore 17.00

 

Riprendiamo il discorso di questa mattina: il discepolo che Gesù amava- Giovanni – sa che nella bibbia sono presenti le persone che, secondo la tradizione e il costume dei tempi, ci sono delle persone che non avrebbero il diritto di parlare di Dio – e tra queste ci sono delle donne.

 

2 Sm 21, 1-14

La grande carestia e l'uccisione dei discendenti di Saul

[1]Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni; Davide cercò il volto del Signore e il Signore gli disse: «Su Saul e sulla sua casa pesa un fatto di sangue, perché egli ha fatto morire i Gabaoniti». [2]Allora il re chiamò i Gabaoniti e parlò loro. I Gabaoniti non erano del numero degli Israeliti, ma un resto degli Amorrei, e gli Israeliti avevano giurato loro; Saul però, nel suo zelo per gli Israeliti e per quelli di Giuda, aveva cercato di sterminarli. [3]Davide disse ai Gabaoniti: «Che devo fare per voi? In che modo espierò, perché voi benediciate l'eredità del Signore?». [4]I Gabaoniti gli risposero: «Fra noi e Saul e la sua casa non è questione d'argento o d'oro, né ci riguarda l'uccidere qualcuno in Israele». Il re disse: «Quello che voi direte io lo farò per voi». [5]Quelli risposero al re: «Di quell'uomo che ci ha distrutti e aveva fatto il piano di sterminarci, perché più non sopravvivessimo entro alcun confine d'Israele, [6]ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo davanti al Signore in Gàbaon, sul monte del Signore». Il re disse: «Ve li consegnerò». [7]Il re risparmiò Merib-Bàal figlio di Giònata, figlio di Saul, per il giuramento che Davide e Giònata, figlio di Saul, si erano fatto davanti al Signore; [8]ma il re prese i due figli che Rizpà figlia di Aià aveva partoriti a Saul, Armonì e Merib-Bàal e i cinque figli che Meràb figlia di Saul aveva partoriti ad Adrièl il Mecolatita figlio di Barzillài. [9]Li consegnò ai Gabaoniti, che li impiccarono sul monte, davanti al Signore. Tutti e sette perirono insieme. Furono messi a morte nei primi giorni della mietitura, quando si cominciava a mietere l'orzo.

[10]Allora Rizpà, figlia di Aià, prese il mantello di sacco e lo tese, fissandolo alla roccia, e stette là dal principio della mietitura dell'orzo finché dal cielo non cadde su di loro la pioggia. Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte. [11]Fu riferito a Davide quello che Rizpà, figlia di Aià, concubina di Saul, aveva fatto. [12]Davide andò a prendere le ossa di Saul e quelle di Giònata suo figlio presso i cittadini di Iabès di Gàlaad, i quali le avevano portate via dalla piazza di Beisan, dove i Filistei avevano appeso i cadaveri quando avevano sconfitto Saul sul Gelboe. [13]Egli riportò le ossa di Saul e quelle di Giònata suo figlio; poi si raccolsero anche le ossa di quelli che erano stati impiccati. [14]Le ossa di Saul e di Giònata suo figlio, come anche le ossa degli impiccati furono sepolte nel paese di Beniamino a Zela, nel sepolcro di Kis, padre di Saul; fu fatto quanto il re aveva ordinato. Dopo, Dio si mostrò placato verso il paese.

 

TEMPO di DAVIDE:

La figura del re Davide preannunzia la Figura del Messia.

Carestia che va avanti da tre anni è evidente che il popolo ha commesso il peccato. Il compito del re è la preoccupazione di evitare il peccato, mentre il Messia doveva toglierlo.

Davide cerca il volto del Signore e il Signore gli risponde – ma il testo non ci dice per mezzo di chi Davide ha trovato il contatto con il Signore; certamente aveva il privilegio di parlare direttamente con il Signore e chi era colui che aveva la ‘linea’ diretta con Dio? Era il Messia.

La radice di tutto questo è che Davide rappresenta il Messia, in quanto parla direttamente con Dio, senza gli intermediari.

“un fatto di sangue” Dio viene glorificato, quando il misfatto non viene coperto dalla complicità con Saul.

[3]Davide disse ai Gabaoniti: «Che devo fare per voi? In che modo espierò, perché voi benediciate l'eredità del Signore?». Davide riconosce il guaio, la colpa commessa da un altro ed è disponibili addirittura a rispondere di persona per il misfatto di Saul.

 

TEMPO del Messia:

Cosa fa il Messia per togliere il peccato del mondo? E’ Lui in prima persona a rispondere a Dio: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti,  perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. (Mt 26, 27-28). Pur non avendo commesso nessuna colpa, paga per noi.

Fino a questo momento i due tempi: di re Davide e quello del Messia coincidono perfettamente sia nel rapporto con Dio, sia nel rapporto con gli altri.

 

I Gabaoniti chiedono che nei confronti di Saul e di tutta la sua discendenza venga applicata la legge del taglione. Chiedono: [6]ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo davanti al Signore in Gàbaon, sul monte del Signore».

Per espiare la colpa di Saul, eliminiamo tutti i discendenti di Saul – applicando la legge del taglione, credono di espiare certamente la colpa di Saul – facciamo ciò che Dio ci chiede. Il re Davide non oppone alcuna obiezione alla legge del taglione. Riesce comunque a salvare qualcuno: [7 ]Il re risparmiò Merib-Bàal figlio di Giònata, figlio di Saul, per il giuramento che Davide e Giònata, figlio di Saul, si erano fatto davanti al Signore…

Da questo momento le strade di Davide e di Messia si differenziano – il Messia, Gesù non applicherà la legge del taglione – non acconsentirà mai a richieste come questa.

Gesù dirà: “perdona non sette ma settanta volte sette” e ancora: “ama il tuo nemico”.

Noi non ci rendiamo conto del rovesciamento che Messia ha operato - [8] il re prese i due figli che Rizpà figlia di Aià aveva partoriti a Saul, Armonì e Merib-Bàal e i cinque figli che Meràb figlia di Saul aveva partoriti ad Adrièl il Mecolatita figlio di Barzillài. [9]Li consegnò ai Gabaoniti, che li impiccarono sul monte, davanti al Signore. Tutti e sette perirono insieme.

Davide lascia che tutti i discendenti di Saul fossero uccisi (è come le scene dell’Isis di oggi).

Da questo momento entriamo nel punto che a noi interessa maggiormente: ecco che una donna interrompe il crudele rituale: [10]Allora Rizpà, figlia di Aià, prese il mantello di sacco e lo tese, fissandolo alla roccia, e stette là dal principio della mietitura dell'orzo finché dal cielo non cadde su di loro la pioggia. Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte. E non era solamente l’istinto di una madre; infatti di quei sette figli solo i due erano i suoi veri figli. Rizpà si prende cura di tutti i sette. Con questo gesto irrompe sulla scena, dove tutto era già deciso e fatto ma lei ‘manda all’aria’ tutto il rituale prestabilito; Essa non permise agli uccelli del cielo di dilaniare i corpi di tutti e sette.

 

Questa figura ci rievoca la Figura di Maria sotto la croce: perde il suo figlio per ‘acquistare’ tutti.

 

Rizpà con il suo comportamento rischia di far saltare l’accordo tra Davide e i Gabaoniti. Cosa farà Davide? Prende l’esempio da questa dona e andò a prendere le ossa di Saul e quelle di Giònata suo figlio… in modo tale che fossero sepolte nel sepolcro di Kis, padre di Saul.

Questo gesto era importante perché Davide anziché condannare questa concubina / donna, ma per fare ciò doveva superare la legge del taglione correndo il rischio di entrare in conflitto con i Gabaoniti. Fu fatto quanto il re aveva ordinato. Dopo, Dio si mostrò placato verso il paese (v.14) Si è fatto qualcosa, che non era venuto né per le preghiere, né per la persona del sacerdote, ma per il gesto di una donna. Davide ha dato credito all’operato di una concubina che non aveva nessuna carta in regola per essere la rappresentante di Dio; Davide compie gesti nuovi e questi gesti nuovi sono la condizione per cui Dio possa concedere la fertilità.

 

E noi?

 

I nostri Fondatori hanno colto questa possibilità e ci hanno lasciato questo compito nella nostra vita consacrata.

 


29 dicembre 2016  1° meditazione / ore 9.30

 

Ieri mattina parlando del vangelo di Giovanni, di come Giovanni descrive l’incontro con il Risorto, abbiamo visto il sua valore teologico; segni e luoghi dell’azione di Dio attraverso ‘gli insignificanti’, ossia le persone non autorizzate di ‘parlare’ di Dio o… addirittura delle donne..

 

Questa mattina dedicheremo alla parte psicologico / spirituale.

Cercheremo di vedere tutte e due le componenti: la componente umana e la componente spirituale, dell’azione di Dio.

Cercheremo di vedere in che cosa consiste la maturità umana che permise a seguire la parola di un altro, prettamente di una donna.

Ci sono necessari di accentuare alcuni punti e passaggi necessari affinché questa maturità avvenga:

 

1.    Relativizzare le proprie esperienze, non renderle tali da dare a loro il valore assoluto. Il discepolo amato di aver vantato il merito delle parole ricevute da Gesù, di aver ricevuto addirittura la Sua Madre; solo lui rimane sotto la croce e potrebbe essere sicuro di conseguenza a dire: “non ho bisogno delle parole degli altri, perché ho avuto direttamente da Gesù le parole…,” dunque potrebbe essere una tentazione per dire: “ho già tutto, quanto mi basta e non ho bisogno delle parole degli altri!”

Il discepolo amato non si comporta, però così. Pur avendo ricevuto la parola del Signore, pur avendo ricevuto Sua Madre è disposto a percorrere altre strade. Il discepolo amato sa bene che non gli è sufficiente in senso assoluto la sua esperienza personale di Dio ma si apre alle proposte ed esperienze degli altri. E’ disposto a  percorrere altre strade, pur se queste possano rivelarsi pericolose o incerte. Inoltre, rischiando così ha dimostrato il coraggio di mettere a repentaglio la propria reputazione – è un uomo libero, e libero da se stesso. Questo è un grandissimo segno della maturità umana, poiché la prima grande libertà è quella da se stessi; io non sono il centro di tutto! Questo non significa affatto che il discepolo amato non valorizzi la propria importanza che gli viene dall’esperienza con Dio anzi, ne è consapevole e sa di essere in questo ‘prediletto’ e rivestito della grande dignità. Non dice: ‘io non sono niente’, non disprezza ciò che Dio gli ha dato, ma non fa di questa propria esperienza e dei doni ricevuti il centro dell’universo.

 

Il tipico esempio di questo atteggiamento è la Madonna, Maria serva del Signore in cui l’Onnipotente ‘ha fatto grandi cose e per questo santo è il Suo Nome’. Antico testamento non parla mai delle serve del Signore ma dei servi o, addirittura del servo del Signore. Dunque, nell’annunciazione Maria riconosce che nei doni che Dio le da, lei può rispondere con la stessa consapevolezza e la stessa dignità dell’uomo. Maria si appropria del ruolo tipicamente maschile (servo), ed è cosciente che questo manda in frantumi tutto ciò che la cultura dei temi biblici riteneva come fondamentale nella divisione dei ruoli e nelle differenze tra l’uomo e la donna. Paolo dirà che in Cristo – che è una realtà immensamente grande – tutti i ruoli vanno ripensati in campo dell’uguaglianza; in Cristo tutti sono fratelli e sorelle, membri di un’unica famiglia – così le donne hanno il diritto di stare davanti a Cristo allo stesso modo e misura in cui stanno gli uomini e cioè come serve. E’ arrivato, in Maria, il tempo in cui gli uomini e le donne possono ‘stare’ davanti a Dio allo stesso modo. Dopo aver detto “eccomi, sono la serva del Signore” si mise in cammino e va da Elisabetta; ‘perché tu, che sei superiore a me, vieni a me che sono inferiore a te?’ E’ il dialogo che rimanda a Giovanni Battista. Elisabetta con questa domanda ci fa capire, che la scelta di Maria non era una scelta scontata. Elisabetta si stupisce precisamente del fatto che Maria non rispetta la gerarchia, che non sta a suo posto, ma ciò che Elisabetta intuisce è il fatto che Maria non si ritiene né si comporta come un essere superiore agli altri, il centro del mondo. Maria è per questo umile, proprio per il fatto che non fa della sua esperienza il centro del mondo. E’ vero che nel Magnificat Maria dirà: “tutte le generazioni mi chiameranno beata”,  ma lo dirà per il fatto che è consapevole del fatto che “l’Onnipotente ha fatto in me grandi cose”.

 

Il discepolo amato, anche lui non dice: io sono il centro del mondo” ed è proprio per questo che è capace di dare il credito alla parola di Maria Maddalena.

Per noi è importante di saper innanzitutto allontanare l’accidia;  non considerarsi niente perché non valiamo niente, dobbiamo riconoscere i doni che Dio ci ha dato ma non vantarsi per questo. Il mondo non deve ruotare attorno a me e ai miei doni, ma attorno alla condivisione dei doni.

La vita consacrata nella sua forma comunitaria consiste nella consapevolezza e con la condivisione dei doni che Dio ci ha elargito. Molti nostri problemi nella vita comunitaria vengono dal fatto che noi non sappiamo riconoscere i doni ricevuti da Dio e non li sappiamo nemmeno condividere né a parole né a gesti.

Il cammino della vita comunitaria è una lunga strada di pedagogia nella crescita e nella maturità intesa nella chiave di umiltà.

Chi si considera il centro del mondo – finche si è prigionieri di sé stessi – si è immaturi e questa immaturità se non viene educata secondo il Vangelo, diventa la responsabilità e può portare al peccato. Bisogna che abbiamo il coraggio di diventare persone mature in Dio.

 

 

dall'omelia del giorno: 1Gv 2,3-11; Lc 2,22-35

 

Nella sua prima lettera, san Giovanni ci parla degli elementi costitutivi della conoscenza di Cristo.

 

Essa è innanzitutto il dono che si riceve da Dio; il primo passo non è quello dell'uomo ma è Dio che prende l'iniziativa. Dio illumina l'uomo con la sua grazia, affinché questi possa conoscerlo. Nasce così il sentimento di gratitudine  verso di Lui e consapevolezza che questa 'conoscenza' di Dio è un vero 'affare'... il bisogno di comportarsi come Lui si è comportato - bisogna avere gli stessi sentimenti di Cristo; io non posso comportarmi con altre persone secondo il cuore di Cristo, se non coltivo in me i sentimenti di Lui e non sono in sintonia con il suo cuore e quello dell'altro. La conoscenza di Cristo si nutre del cuore - il nostro e quello del Signore.

 

il Vangelo ci lancia molti messaggi:

 

si compiono non solo le scritture ma anche i 'movimenti' dei profeti; loro ci illuminano in ciò che Gesù fa e ciò che Egli è. Se la nostra conoscenza di Gesù vuole essere veramente di cuore e fare / vivere come Lui, dobbiamo conoscere i profeti.

Giuseppe e Maria portano Gesù al tempio - questo ci rimanda all'esperienza dell'Esodo, dove Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù e ha contratto con lui l'alleanza. Ciò che noi cogliamo è che Maria e Giuseppe vanno all'essenziale della fede: al Suo amore.

Anche noi, non dobbiamo fermarci alle apparenze, ma domandiamo la grazia perché sappiamo andare al cuore della fede e affinché manifestiamo questo con la nostra vita dei consacrati - nell'autentica testimonianza di tutti i giorni e in ogni circostanza.

 

 


29 dicembre 2016  2° meditazione / ore 17.00

 

Dopo aver compiuti in questi giorni alle ricerca del sentire con la Chiesa – la ricerca originale dei nostri Fondatori e dopo aver visto alcuni meccanismi nella nascita della Chiesa:

 

-          La direzione del coraggio;

-          La direzione dell’incontro con Cristo;

 

C’è un’altra direzione:

-          La direzione della fantasia.

 

Il papa Francesco ci propone una realtà particolare gesuitica: la capacità della parola nel suscitare l’immaginazione. I nostri non sono però gli esercizi ignaziani. Sicuramente nel nostro  caso c’è grande spazio per la fantasia – così come lo era ai tempi di Ignazio, dove la immaginazione era sollecitata dalla scoperta degli ‘altri mondi’.

Fino al 500 la vita consacrata apostolica era sconosciuta; esisteva quella monacale (p.es. francescani, domenicani). E’ proprio Ignazio di Loyola che, possiamo dire, invento una forma di vita consacrata nuova – utilizza il campo dell’immaginazione – dove l’elemento dominante non è quello della vita monastica (anche se non si rinuncia alle esigenze della vita monastica come preghiera e lo studio), ma entra nella storia di vita consacrata il modello apostolico. Le nostre congregazioni sono come le ‘figlie’ di sant’Ignazio.

Il papa Francesco si rende benissimo conto che l’elemento della fantasia ha un potere fondamentale nella dinamica della vita della Chiesa e nelle forme dell’apostolato e della testimonianza.

Sant’Ignazio si accorge che è necessario cambiare qualcosa, non tanto per la via dottrinale, quanto per la via dell’immaginazione – anche se quella certamente nutrita dalla dottrina. E’ stato il suo modo di proporre un immagine della Chiesa e delle sue forme, diversa da come era tutt’ora.

Forse, se questi uomini, come anche gli apostoli, non avessero immaginato ‘diversamente’ la chiesa saremmo ancora dei ‘circoncisi’? Chi lo sa?

Papa Francesco chiede alla vita consacrata il luogo dove si coltiva il potere dell’immaginazione.

Forse questo ci può provocare delle perplessità, rievocando gli anni 60, dove si rievoca l’immaginazione al potere e i danni che tutto questo ha creato. Gli anni successivi al concilio Vaticano II sono stati difficili proprio a questa ‘immaginazione al potere’. Dunque, le parole di papa Francesco non sono tanto facili da comprendere e la reazione potrebbe essere tipo: “sì”… “ma”… ma se papa Francesco fa questa scelta, ha certamente dei suoi buoni motivi. Anche il Vangelo ci propone il potere dell’immaginazione: che cosa ha fatto Gesù quando ha incontrato le persone? In fondo Gesù, incontrando le persone ha permesso loro di immaginarsi in una situazione diversa; il suo primo dono è stato per loro il dono dell’immaginazione e della fantasia. E’ come se dicesse loro: ‘prova a pensarti in un altro posto / modo. Prova a immaginarti diverso/a da quello che sei e che puoi diventare’. Questo suo modo di parlare Gesù offre all’altro un'altra realtà, un potere di immaginarsi diverso.

 

Cosa faceva il sistema cultuale d’Israele? Escludeva qualsiasi possibilità di cambiamento; se sei il pubblicano, pubblicano rimarrai per sempre. Se sei un peccatore, peccatore rimarrai. E le regole della riammissione erano talmente tante e tanto strette, che nessuno si azzardava a provarci di cambiare qualcosa nella propria condizione di vita. Per es. Matteo il pubblicano, come poteva cambiare di fronte alla vita che faceva e come era giudicato: ‘tu non puoi cambiare’. Anche gli sguardi di chi gli stava attorno erano pieni di odio giustificato dalla legge – drammaticamente giustificato. Tutto ciò che era intorno a Matteo, era qualcosa che lo privava del potere di immaginazione – così era il perfetto pubblicano e come tale era condannato ad essere. Era schiavo come di chi rimane per quello che è, perché non ha altre possibilità.

 

Gesù gli dice: “seguimi” e con questo non solo lo chiama alla sequela ma gli dà il potere di immaginarsi diverso – di potercela fare e cambiare la sua vita.

Anche quando la donna prostituta viene da Gesù, allora il fariseo cosa dice: «Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice» (Lc 7,39) e allora un profeta mai si lascerebbe toccare da una prostituta. E’ una frase terribilmente vera. E Gesù risponde «Simone, ho qualcosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di' pure». (v.40). E’ come se Simone volesse banalizzare l’intervento di Gesù: … parla, parla pure… e non appena finita la serata, la casa mia non sarà il posto per ‘quella’. E Gesù continua: «Tu non mi hai dato un bacio; ma lei, da quando sono entrato, non ha smesso di baciarmi i piedi. 46 Tu non mi hai versato l'olio sul capo; ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi» (vv.45-46). – lei l’ha fatto – si è comportata come te,  dunque come puoi dire che lei è una prostituta? Lei si è comportata come tu avresti dovuto comportarti e cioè da osservante della legge. Così Gesù le dà il potere ad essere altra – addirittura il potere come quello dei farisei: donna dedita alla legge, donna osservante della legge. Riceve il potere di immaginarsi a non essere più come una prostituta ma come un fariseo osservante della legge.

Gesù a tutti coloro che incontra consegna il potere di essere diverso e che sia un potere, lo dice l’evangelista Giovanni: «A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12)

 

Noi, nel nostro linguaggio comune diamo il significato piuttosto negativo alla parola ‘immaginazione’, ma nel linguaggio biblico l’immaginazione viene accostata al sogno. Il sogno è la garanzia di cambiare le idee: «Giuseppe, non temere…» (cfr.Mt 1,18). Giuseppe riceve non tanto una conoscenza su Maria, ma riceve la possibilità di essere lui un altro e cioè lo sposo di Maria, mentre la conformità alla realtà l’hanno escluso. Il potere che viene da Dio di immaginarsi essere diversi, è tremendamente vero e non è fantasia, poiché proprio Dio ne è il garante.

Proprio questo tipo del potere di immaginazione che noi siamo chiamati a coltivare nella nostra vita consacrata.

 

Per concludere attingiamo dalla Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium del santo Padre Francesco:

 

286. Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza. Lei è la piccola serva del Padre che trasalisce di gioia nella lode. È l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore trafitto dalla spada, che comprende tutte le pene. Quale madre di tutti, è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la giustizia. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita, aprendo i cuori alla fede con il suo affetto materno. Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio. Attraverso le varie devozioni mariane, legate generalmente ai santuari, condivide le vicende di ogni popolo che ha ricevuto il Vangelo, ed entra a far parte della sua identità storica. Molti genitori cristiani chiedono il Battesimo per i loro figli in un santuario mariano, manifestando così  la fede nell’azione materna di Maria che genera nuovi figli per Dio. È lì, nei santuari, dove si può osservare come Maria riunisce attorno a sé i figli che con tante fatiche vengono pellegrini per vederla e lasciarsi guardare da Lei. Lì trovano la forza di Dio per sopportare le sofferenze e le stanchezze della vita. Come a san Juan Diego, Maria offre loro la carezza della sua consolazione materna e dice loro: «Non si turbi il tuo cuore […] Non ci sono qui io, che son tua Madre?».

 

Se noi dovessimo dire con una sola frase che cosa è il potere dell’immaginazione potremmo citare:

Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù”.

E noi di questo tipo di potere dobbiamo riappropriarci.

         


30 dicembre 2016  1° meditazione / ore 9.30

 

Questa giornata sarà dedicata per aiutarci nella preghiera, concentrandoci sul alcune parole che noi troviamo nel Proemio della Perfectae Caritatis.

In questi giorni ci siamo accorti che i nostri Fondatori hanno vissuto ‘sentendo’ con la Chiesa e ne hanno contribuito alla sua crescita.

L’abbiamo visto ciò sostanzialmente in tre immagini ispirate dalla PC:

 

-         Il coraggio;

-         L’Incontro con Cristo;

-         L’immaginazione.

 

Noi abbiamo il compito di vivere pienamente (non a metà) ed ecclesialmente (nel senso, che non basta viverlo solamente per fare il bene alla chiesa – come succede nel caso delle opere specifiche delle congregazioni).

Bisogna ricordare, che le nostre attività sono le attività che hanno il compito di ‘partecipazione attiva’ alla vita della Chiesa; è una realtà molto pratica in quanto tocca il modo in cui noi pensiamo a noi stessi, alla nostra comunità. Noi spesso pensiamo che la nostra attività è per aiutare la chiesa e questo può portarci al pensare che la Chiesa è qualcosa che si trova fuori di noi – pensiamo al nostro carisma come a ciò che noi offriamo alla Chiesa e se la Chiesa l’ha bisogno, lo accoglie e basta. Ma le cose non stanno così; forse questo poteva funzionare negli anni passati, ma oggi non è più cosi. Noi incontriamo la Chiesa nelle chiese locali e a seconda dell’atteggiamento che abbiamo nei confronti delle chiese locali, la chiesa reagisce nei nostri confronti – i nostri carismi diventano proprietà della Chiesa e non nostri solo (come nel caso della logica di mercato: io do alla chiesa e la chiesa da a me…).

Siamo di fronte ad una situazione molto complessa, ma dobbiamo chiederci di quanto anche noi abbiamo contribuito a questa situazione. Le nostre attività dovrebbero esprimere la forza evangelizzatrice della chiesa locale. Quando noi siamo nella chiesa locale, dobbiamo esprimere con e attraverso le nostre opere che siamo ‘immerse’ nella realtà della chiesa locale – chi ci vede dovrebbe dire: “è la Chiesa” e dopo verrà il fatto che noi siamo le orsoline del S.C.G.A.

Ieri dicevamo di come alle sue origini, la vita consacrata risponde alla domanda: “come si diventa cristiani?” E rispondendo a questa domanda ci viene spontaneo a porci la seconda domanda: “come è la Chiesa?”

 

I Padri della Chiesa che sono vissuti in un particolare momento di trasformazione dell’umanità - la fine dell’impero romano – dove la società ha dovuto necessariamente trovare nuovi assetti istituzionali e, di conseguenza, anche i cristiani hanno dovuto elaborare un nuovo rapporto tra fede e cultura, tra fede e politica e via dicendo, per cui talvolta si è stati costretti a fare dei compromessi a scapito della rivelazione della fede, potremmo dire che sec. loro i cristiani si diventa secondo le regole di mondanità.

 

La vita consacrata non esiste all’infuori dalla missione evangelizzatrice della Chiesa. Il carisma è ‘roba’ di tutti i consacrati – è fonte di uguaglianza. Guai se ci fossero consacrati che lo conoscono chi più, chi meno e chi quasi per niente. Inoltre, non esiste un ceto che si possa appropriare del carisma tipo: chi lo ha studiato, lo possiede… L’unica via per non lasciare a vivere il carisma a metà è il ricordarci che tutte lo abbiamo ricevuto e in misura eguale!  Dunque: vivere il carisma ecclesialmente e in pienezza, cioè viverlo insieme e in maniera equlibrata, senza le supremazie delle persone o dei gruppi (anche se in buona fede). Se il carisma rimane limitato alla propria comunità, non compie la sua funzione.

 

Riflettiamo sul Proemio del decreto Perfectae Caritatis:

 

…(1) “Fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici vollero seguire Cristo con maggiore libertà ed imitarlo più da vicino, e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio”.

 

·        seguire Cristo con maggiore libertà: e cioè, non soccombere a dei ricatti delle aspettative del mondo; chi si mette su questa via entra in realtà molto pericolosa e bisogna far fronte con tutte le sue conseguenze.  

I nostri voti ci vengono in aiuto nell’essere ‘liberi pienamente’: il voto di povertà per essere libere dalla corruzione. Così altri voti come il celibato / la castità, l’obbedienza che ci dovrebbe dare la capacità di essere pronte a tutto per il Vangelo, anche al martirio.  

 

Noi abbiamo bisogno di ricuperare una serie di lati e delle realtà di vita consacrata, che le erano proprie alle sue origini; è un martirio incruento  (la vita religiosa nasce, quando è scomparsa la chiesa dei martiri e delle persecuzioni fino al martirio). Si deve ricuperare questo lato del prolungamento della vita di primi cristiani – reagire con la vita e far fronte a tutti i ricatti che la vita ci procura. La vita consacrata dovrebbe avere una maggiore disciplina e la consapevolezza a che cosa essa è chiamata e il motivo per cui è nata; e non sprecare la vita.

La vita consacrata, inoltre, è una possibilità di vivere in modo da non essere ricattata dal punto di vista affettivo, materiale e del potere.

 

Noi non siamo più libere rispetto alle persone sposate. Non è la maggiore libertà intesa come confronto ad altri ceti e stai di vita ma in modo di cui parla il concilio Vat II; il termine riferisce all’atteggiamento di chi non cede, per nessun motivo, a dei ricatti di qualunque genere essi siano e da qualunque parte essi vengano – vivere permanentemente in una situazione nella quale io non sono ricattabile nella vita del Vangelo; io non ho motivo per cui io non debba annunciare il Vangelo, in qualunque situazione di vita o di condizione io mi trovi.

 

Per la riflessione:

 

1.     Il carisma è affidato a tutti noi; nessuno se ne può impadronire – non può essere vissuto a metà.

2.     Come viviamo noi il nostro servizio ecclesiale? Come operaie (all’esterno) o, come parte della chiesa locale che entra in noi e che si esprime attraverso di noi?

3.     Tornare e riscoprire le origini della vita consacrata; la libertà di non essere ricattate, nella dimensione dei voti. Lascio tutto per Vangelo di Cristo così da essere pronta ad affrontare perfino il martirio?

 

 

dall'omelia del giorno: SANTA FAMIGLIA DI GESÙ MARIA E GIUSEPPE - Mt 2,13-15.19-23

 

Nella colletta dell'inizio della s.Messa abbiamo chiesto a Dio,  che il suo Figlio, divenisse membro dell'umana famiglia. Maria e Giuseppe ci sono da modello di questa famiglia e della nostre famiglie religiose; in che senso? solo per il fatto che non si sono scelti come sposi ma sono stati scelti secondo il rituale vigente e in obbedienza alle regole sono diventati una famiglia? Loro hanno superato questa legge obbedendo a Dio e amandosi in Dio - hanno così venerato il dono e il mistero della vita nell'esperienza di Dio.

Ed è proprio ciò che ci si pone dinanzi: o 1/ stiamo insieme perché queste sono le regole della nostra realtà e guai sarebbe ribellarci ad esse oppure 2/ stare insieme perché facciamo esperienza di Dio, che è l'esperienza di ognuna di noi.

E' l'amore che ci lega per vivere e testimoniare in virtù dell'esperienza di Dio; ci sentiamo partecipi della fecondità del suo amore!

La famiglia di Nazaret è un modello di riconciliazione; Erode non solo ha costretto loro di fuggire in Egitto ma ha anche sterminato degli innocenti - non rimarrebbe altro che applicare le legge del taglione ma, di quella - nella vita di Giuseppe e di Maria - non vi è neppure un'ombra!

Si aprono alla nuova realtà / giustizia che supererà quella degli scribi e farisei. Sono le persone pacifiche e pacificanti e ci anticipano la legge dell'amore: "Avete sentito che fu detto... ma io vi dico" (Mt 5,21-48) - si può amare, perfino i nemici.

Preghiamo, affinché le nostre famiglie, le nostre comunità e i giovani "crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome" e siano guarite le tante ferite.

 

 

 


30 dicembre 2016  2° meditazione / ore 17.00

 

Proseguiamo nella lettura del Proemio  della Perfectae Caritatis

 

La vita consacrata è un dono e un compito. La maggiore libertà di cui si parla deve essere compresa non in confronto ad altri stati ecclesiali ma come la maggiore disponibilità e nella prontezza perfino al martirio.

L’evangelizzazione si dovrebbe considerare come un grande dono dell’esorcismo; la parola del Vangelo obbliga ad uscire il male allo scoperto – il Vangelo proclamato e vissuto. Il maligno è violenza e la morte; è distruzione, dunque la Parola di Dio smaschera il maligno.

Dunque, la vita consacrata deve riscoprirsi e rileggersi sotto la categoria dell’esorcismo – la vita consacrata non a caso ha le sue radici nel sacramento del Battesimo (le rinunce a satana, alle sue forme…) che è un esorcismo. La vita consacrata è la realizzazione delle promesse e dell’esperienza battesimale.

Quando dunque la vita consacrata evangelizza diventa effettivamente uno strumento reale dell’esorcismo.

 

dal Proemio del decreto Perfectae Caritatis: …(1) “Molti di essi, (Fondatori e Fondatrici) sotto l'impulso dello Spirito Santo, vissero una vita solitaria o fondarono famiglie religiose che la Chiesa con la sua autorità volentieri accolse ed approvò. Cosicché per disegno divino si sviluppò una meravigliosa varietà di comunità religiose, che molto ha contribuito a far sì che la Chiesa non solo sia atta ad ogni opera buona e preparata al suo ministero per l'edificazione del corpo di Cristo (cfr. Ef 4,12), ma attraverso la varietà dei doni dei suoi figli appaia altresì come una sposa adornata per il suo sposo (cfr. Ap 21,2), e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio (cfr. Ef 3, 10).”

 

Motivi che hanno principalmente spinto i Fondatori alla vita religiosa:

 

-         Essere attrezzati per ogni opera buona; La vita consacrata esiste per ricordare alla Chiesa il cap.25 di Matteo: “quello che avete fatto ad uno…”. La vita consacrata ha come scopo è quello di non far mai dimenticare alla Chiesa la centralità della Parola di Dio. A causa della riforma protestante, la vita consacrata se ne era dimenticata e ha portato avanti delle particolare devozione – noi lo abbiamo nel Scaro Cuore. Si pensava ai tempi che lo scopo della vita consacrata era quello di cui il laico cristiano aveva il bisogno e cioè delle devozioni. Non è che quello era tanto sbagliato, perché la devozione è anche una forma di preghiera e porta un eco della scrittura. Il cristiano laico dell’800/900 è colui che ha molte devozioni che lo portano a molte azioni e le offre come la sua preghiera. Per es. Pier Giorgi Frassati è il modello ideale del laico della Chiesa del primo 900.  Dunque, le devozioni dovevano ricordare al laico che cosa doveva fare.

Il cambiamento nel proprio modo di vedersi della Chiesa stessa è stato repentino ai tempi del Vat II, dopo che anche l’istruzione è stata diffusa a titolo di scolarizzazione di massa – tutti erano in grado a leggere e a scrivere. Il concilio si trova di fronte a questa scolarizzazione di massa e la discussione con la riforma protestante; il concilio mette in mano a tutti la sacra Scrittura. Cambia l’immagine del ‘laico’ che viene visto come uno stato nella Chiesa, e non più come uno che non è ‘religioso’ o prete.

Si avverte che la Chiesa non ha più bisogno delle devozioni per educare i fedeli nella fede, si ha invece bisogno di lettura e di Scrittura. Una volta che questa entra a pieno titolo nella vita della Chiesa, c’è bisogno degli uomini e delle donne che educhino alla lettura di questa Scrittura, portando alla scoperta della presenza di Dio, alla luce dello spirito santo.

 

Il Vat II ci dice che “l’opera buona” si può comprendere solo alla luce della Scrittura, per noi religiosi questo significa di impegnarci sul doppio fronte:

 

1.     Che la scrittura sia al centro della vita consacrata;

2.     Che la scrittura sia al centro e il motore della maturità e della vita dei laici, dei cristiani.

La vita consacrata deve compiere il passaggio dalle devozioni alla Scrittura e poiché lo possa fare, deve impegnarsi a fare della Parola di Dio il centro e il motore della propria vita dei consacrati.

 

Nella nostra vita consacrata il ritorno alla Parola  è anzitutto il ritorno alla celebrazione della Liturgia delle Ore e proporlo al popolo di Dio, che partecipa al sacerdozio di Cristo. Aiutare così a noi stesse e agli altri di maturare come cristiano attraverso il contatto diretto con la Scrittura / la Parola di Dio. E questo riguarda sia per la nostra vita comunitaria, sia per la nostra vita personale.

 

E’ bene porsi delle domande:

-         Come contribuiamo comunitariamente alla maturazione cristiana?

-         Come io conosco la Sacra Scrittura e come mi impegno nella sua conoscenza?

-         Come vivo, incarno quotidianamente le parole del Vangelo?

-         Sono pronta ad impegnarmi nel’evangelizzazione attraverso la Scrittura?

-         Come educo me stessa e gli altri alla lettura della Scrittura.

 

La maestria della Chiesa sta nel fatto di saper: Leggere – comprendere – spiegare la Scrittura (cfr. Filippo ed eunuco: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?» At 26,30).

La vita consacrata è a servizio della maturità del popolo di Dio, a servizio della maturità dei cristiani – la vita consacrata serve offrendo la sua capacità di leggere la Parola di Dio.

 

L’identità della Chiesa dipende dalla Scrittura, dipende dal Vangelo e noi religiosi abbiamo il compito di ricordare questa verità, incarnando nella nostra vita il Vangelo e testimoniare sempre al mondo il nostro incontro con Gesù, il Risorto.

 


31 dicembre 2016  meditazione / ore 9.30

 

Vogliamo continuare a vedere che cosa il concilio suggerisce perché la vita consacrata sia all’altezza di oggi e quale forma dell’evangelizzazione le sia più propria.

Ieri abbiamo visto che la vita consacrata religiosa esiste affinché sia attrezzata per “ogni opera buona”. Abbiamo riflettuto che essa oggi non è più a servizio delle devozioni (ed era anche giusto) ma oggi è a servizio di educare i cristiani al gusto della Scrittura – Parola di Dio. Esiste, dunque, affinché la Chiesa non dimentichi la Parola di Dio e la metta al centro della propria vita.

 

Una grandissima importanza è anche il motivo dell’esistenza della vita consacrata affinché sia parte del Corpo mistico di Cristo.

La vita consacrata esiste anche perché è la sposa della Chiesa - esiste come un segno della sponsalità della Chiesa. Come lo si può intendere?

Parlando della sponsalità della Chiesa - qui si possono individuare delle diverse e varie vedute, ma in particolare ci possono essere da indicatore le lettere paoline. Notiamo che la sponsalità e/o la verginità della Chiesa, viene intesa come la multiforme attesa del Signore (cfr. 1Cor 7, 1-40).

L’immagine della sponsalità indica il desiderio del ritorno del Signore. Non è un’attesa ‘strana’, anche se può apparire strana, dato che il Signore è già venuto, ma la Chiesa dedica a questo evento tutto un periodo liturgico dell’Avvento con in seguito del Natale. Il Natale nasce per ricordare ai cristiani, che quando parliamo al popolo di Gesù - vero Dio e vero uomo - lo intendiamo che lo è veramente, sin dal concepimento. L’Avvento, dunque è più che guardare al passato, un guardare al futuro: noi non siamo più in attesa del bambino, ma siamo in attesa desiderosa del ritorno del Risorto.

La Chiesa è sposa proprio perché desidera il ritorno del Signore.

 

Perché desiderare il ritorno del Signore?

 

Possiamo rispondere a questa domanda tenendo presente la liturgia e tenendo presente la regalità del Signore. Il Signore, Re dell’universo che inizia il tempo dell’attesa indica Gesù Re che annoveri alla sua regalità (finalmente) tutto l’universo con tutte le sue situazioni e tutte le realtà che lo compongono. Noi questa presenza del Signore nel universo lo sappiamo per educazione nella fede, lo sperimentiamo nella fede, ma non vediamo questa sua regalità in tutto l’universo. Noi non vediamo questa sua pienezza, perché il regno di Cristo si manifesterà in tutta la sua pienezza nella risurrezione dai morti e la resurrezione della carne. Questa resurrezione è possibile nella misura in cui si vive nella vita di Cristo - l’unica realtà che ha sconfitto la morte.

 

Il Signore è risorto perché era ‘capace’ di assumere una morte che porta alla resurrezione!

Contrariamente alla nostra morte, il Signore non ha conosciuto la corruzione del sepolcro. Dunque, quando noi parliamo della regalità del Signore noi parliamo del cammino del Signore, fino a quando tutta la realtà sia la manifestazione del Regno di Dio, in cui tutto verrà redento alla sua gloria. Questo anche fa capire, che la realtà ‘risorta’ è inondata tutta dello Spirito del Signore Risorto.

Perché desiderare la risurrezione del Signore? E’ proprio perché io desidero che l’anima del mondo diventi la realtà di  Risurrezione di Cristo – tutta trasformata.

Può desiderare la risurrezione solo chi porta nel proprio corpo la passione di Gesù; questo significa: non scappare dalla malvagità degli altri, esorcizzandola con la propria presenza e la reazione nell’affrontarla; sentire e toccare con mano quelli che sono gli effetti del male ci porta a vivere veramente la realtà e facciamo uscire il male allo scoperto, lo costringiamo che si dimostri per quello che è – così l’affrontiamo con il Risorto: ‘se noi predichiamo il Vangelo, evitabilmente poteremo nel nostro corpo la passione del Signore’.

 

Tante volte abbiamo delle domande (anche se lecite) tipo: perché il male? Perché mi hanno fatto questo o quello mentre io io fatto del bene?, ecc., ma con esse non  dobbiamo farci portare via tutta la nostra vita sponsale che abbiamo ricevuta attraverso i nostri voti. Non dobbiamo trarci nell’inganno ed evitare di applicare la legge del taglione. Dobbiamo desiderare ardentemente la trasformazione / risurrezione dell’universo, e non rimanere prigionieri delle nostre paure, rancori (anche se drammaticamente fondati). La scelta è ‘secca’: se io non vivo desiderando che il Signore arriva qui, adesso, sarò soltanto una rancorosa che vuole vedere il giudizio del Signore sugli altri. L’insegnamento è profondo: non si può scoprire il mistero della persona di Cristo senza entrare “nello spessore della croce”, come diceva san Giovanni della Croce. Perché la croce, vissuta con Cristo e nell’amore, diventa il cammino di un’autentica e piena redenzione dell’uomo.

Costitutivo della esperienza della Chiesa, sposa di Cristo è il desiderare che il Signore torni QUI / ADESSO e non tra qualche tempo… e ciò è possibile soltanto attraverso la passione di Cristo che noi tocchiamo con la mano; siamo immersi in essa. Bisogna ricordare che nessuno di noi scappi o chiuda gli occhi di fronte a ciò che è conseguenza del male – così ce ne rendiamo complici del male. Chi non accetta la dimensione della sofferenza e della croce non può vivere con il Risorto. Dobbiamo affrontarlo con l’umiltà e la grazia che ci accompagna: portare la passione di Gesù nel nostro corpo è farsi solidali con tutte le vittime del male e non scappare né fisicamente né mentalmente né, tanto più spiritualmente. Dobbiamo identificarci con le vittime del male.

Noi viviamo la passione di Gesù nella nostra vita, nel nostro corpo, quando facciamo spazio alle vittime innocenti del male – la famiglia di Gesù Risorto sono proprio tutti quelli che vengono sfigurati dal male.

Desiderare e aspettare il Signore Risorto

è desiderare che il Signore RITORNI

proprio oggi  e qui, in tutte queste realtà e che le trasformi!!!

 

La Chiesa chiede alla vita consacrata, di superare la visione individualista: che il Signore Risorto si manifesterà al momento della nostra morte e vedere che il ritorno del Signore non è la mia morte personale, ma è quando il Signore abbraccia tutta la realtà, in cui finisce la deturpazione e il dolore, quando finalmente cessi il grido dei poveri.

Dobbiamo essere capaci dire con verità: “Signore, vieni qui e adesso”.

Quali sono le condizioni?

E’ portare la croce con Gesù ed entrare a pieno titolo nella sua Passione e nella sua Risurrezione. Ricordare che la nuda verità del credente non è la fuga dal male ma di essere solidale con chi soffre; la vita consacrata è una realtà dove non si scappa dall’altra parte, laddove non via è il male ma rimanere laddove il male è il più virulento, dove è la necessità di ‘stanare’ il male ed esorcizzarlo – è la Vita del Vangelo.

La sponsalità del cristiano è il desiderio del ritorno del Signore; è il vivere nella preghiera: “Signore, vieni qui ed ora!”

VENGA adesso, per tutti

 

MARANATHA

 

 

dall'omelia del giorno: 1Gv 2,18-21; Gv 1,1-18

 

Il compito del profeta Giovanni Battista, come anche il compito della Chiesa è quello di indicare il Signore che viene per manifestare la sua gloria nei poveri, negli ultimi; sulla croce, perché la gloria del Signore è l'amore che dà la vita - l'Amore del Risorto; il compito del profeta è quello di combattere coloro che lo negano.

 

Chiediamo la grazia di essere i profeti che indicano la 'carne' dove è presente la gloria del Risorto.

Chiediamo la grazia di desiderare il Signore, che è la Luce e desiderare affinché questa luce illumini ogni uomo. 

 

 


 

 

RITIRI ANNUALI