La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante |
M. Franciszka Popiel (1955-1963)
Come ho già scritto nella mia prima lettera, del 31 luglio u.s., giorno della chiusura del XVI Capitolo Generale, il Capitolo ha deliberato tra l’altro, all’unanimità, che l’anno 2013/2014 sia vissuto nelle nostre comunità come l’Anno di Madre Francesca Popiel. Il motivo non è soltanto il fatto che il 16 agosto u. s. si sono compiuti cinquant’anni dalla sua improvvisa morte nell’incidente stradale nei pressi della località Września; ma era il desiderio di numerose suore che hanno conosciuto personalmente la Madre, e anche di quelle che la “conobbero” spiritualmente dalle lettere e dai ricordi di lei, non solo per onorare in modo particolare tali ricordi, ma per attingere dal suo spirito, dalla sua personalità e dalla sua vita, un magnifico esempio di realizzazione della vocazione di orsolina grigia. Abbiamo inaugurato l’Anno di Madre Popiel il 16 agosto u. s., a Węgierki, proprio dove è accaduto l’incidente, ricordato da una pietra, dove si è recato con il pullman il pellegrinaggio delle suore di Pniewy; anche lì, e la sera poi, al cimitero di Pniewy, abbiamo potuto ascoltare la relazione di sr. Bernadetta Sobczak e di sr. Agnes Masłowska che viaggiavano insieme alla Madre; attraverso la lettura dei testi abbiamo potuto anche metterci in ascolto delle parole della Madre ed unirci in preghiera intorno a Lei. Ci rallegra anche il fatto che erano con noi alcune nipoti di madre Francesca, le quali hanno accettato con commozione la nostra iniziativa.
Propongo che quest’Anno speciale sia vissuto, come ogni Giubileo, in spirito di rendimento di grazie. Ringraziamo Dio per averci donato madre Francesca Popiel, per il suo contributo all’edificazione della nostra Congregazione, per l’ardore della sua vita spirituale, che irradiava non soltanto sulla nostra Famiglia religiosa, ma su numerose congregazioni in Polonia e non solo là. Esprimiamo il nostro grazie per la sua semplicità e naturalezza, come san Francesco, che aiutava a scorgere la bellezza della vita umana in ogni dimensione di essa. Subito dopo la sua morte, una delle suore, scrisse così: “Madre Francesca ci ha lasciato l’esempio di un’autentica santità di orsolina, umile, quotidiana e perseverante sino alla fine. Tale esempio è per noi impegnativo - in un certo senso è la continuazione di ciò che ci diede la Madre Fondatrice. È l’applicazione dello spirito della Fondatrice nelle condizioni in cui viviamo in questo momento”. (M. Franciszka Sagun, Varsavia, 26 agosto 2013 )
nr. 3 / DICEMBRE: Incontro con madre Franciszka Popiel – il 'concreto' della fede
Sr. Renata R.
INCONTRI CON IL NOVIZIATO
Di m. Francesca Popiel per la prima volta ho sentito e ho visto la sua foto, poco dopo il capitolo del 1955. Una delle suore mi fece vedere la foto dicendo: “È la nostra nuovo Madre, tanto brava, siamo così liete per la sua elezione”. Non dissi nulla, ma la Madre sulla foto non mi piaceva. Dopo la m. Rodziewicz mi sembrava poco “distinta”.
(…) Nel 1956 mi recai a Pniewy e allora ho visto la Madre per la prima volta. Stava in un gruppo di suore. Con un abito molto chiaro e rammendato, ridente e così semplice, alla mano in questo primo contatto personale, mi rimase nella memoria sino ad oggi.
Passarono alcuni anni. Entrai nella Congregazione.
(…) Nella camera della Madre le suore si recavano con gioia, senza timore, come da una persona molto cara, con grande fiducia e senza alcun imbarazzo. Io non avevo coraggio di occupare la Madre con la mia persona, non cessavo, tuttavia, in quanto mi era possibile, di osservarla. Sapevo, per esempio, che la mattina, prima che fossi pronta a lasciare la camera, la Madre già si stava recando in cappella. Tornando dal bagno, ancora semi vestita, incontravo la Madre nel corridoio, che con il suo passo caratteristico, energico ma padrona di sé, si affrettava verso la cappella.
La sera, la Madre ci raccontava nel refettorio diverse cose interessanti. Di solito ridevamo gioiosamente. Già allora, in quel primo anno della mia permanenza nel convento, notai, che mai era capitato che la Madre ci intrattenesse a spese di un’altra persona. Né con una parola, né con il tono della voce mancò mai all’amore del prossimo. E tuttavia ci raccontava moltissime storie, in modo così vivace e spiritoso, mai però udii da lei una parola che prendesse in giro qualcuno o che scoprisse qualche debolezza di qualcuno. Le parole della Madre erano sempre pure, colme di bontà verso gli altri. Vi era nulla di “artificiale”, ma tutta la verità del rapporto della Madre verso gli altri e ciò era così bello, da colpire e da destare ammirazione in me, “una fresca candidata”.
(…) In seguito vedevo la Madre nel noviziato, ascoltavo le sue conferenze. Ricordo un lungo tavolo nella sala delle riunioni dove scrivevamo i “compiti in classe” per la Madre. E come teneva conto delle nostre opinioni! leggeva attentamente ogni nostro foglio e dopo discuteva con noi il tema in questione, riportando anche le nostre opinioni. Ricordo come dopo un certo “compito in classe” sulla povertà, ci disse: “Oggi ho imparato molto da voi, suore”. Poi continuò: “La cosa più essenziale è quella che la nostra vita deve essere imitazione della vita del Signore Gesù. Lui stesso deve proclamare nella nostra anima queste verità profonde, Lui stesso deve condurre nella nostra anima una vita povera. La povertà è basata sulla speranza. Anche tutta la nostra vita interiore si basa sulla speranza. La povertà dà la gioia, protegge contro la sfiducia. La libertà, la pace, la gioia sono dei doni divini, sono tre tesori della povertà”. Vedendo come la Madre realizzava con la propria vita il programma a noi presentato, tutto diventava chiaro e semplice. (…) Era anche allora, durante queste lezioni per il noviziato, quando la Madre parlò di “legge della soglia” nella vita interiore: “Il Signore esige molto da noi. Nella vita interiore esiste una legge della soglia. Dopo averla raggiunta essa va superata. D’altra parte attende Dio con tutta la grazia ed è allora che possiamo entrare nei misteri di Dio. In quel momento, forse il più difficile di tutti, bisogna sforzarci molto, ma “dall’altra parte” ci aspetta una grande forza, Dio ci aiuterà. Davanti a Dio bisogna presentarsi con le mani libere e aperte”.
(…) Come spesso vedevamo la Madre durante l’esposizione del Santissimo Sacramento nell’inginocchiatoio, nella cappella della Madonna a Pniewy, di dove si vedeva l’altare principale e l’immagine della Madonna (…). La Madre entrava silenziosamente, si metteva in ginocchio e pregava, in modo che ci aiutava a guardarla. Per lei, nella cappella esisteva soltanto Gesù nel Santissimo e ciò si intuiva e vedeva guardando il suo raccoglimento.
(…) Verso la fine dell’Avvento dell’anno 1962, la Madre tenne una conferenza per noi. Sembrava molto presa da qualcosa. Poco prima di finire ci disse: “Ci tocca una grande gioia”. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Siamo rimaste immobili per l’impressione. La Madre ci disse con la voce tremante dalla commozione, che per le feste natalizie sarebbe arrivata da noi l’immagine della Madonna che visita le diocesi e le parrocchie in Polonia; che ciò è una grande grazia, che dobbiamo preparare i nostri cuori a quest’incontro con la Madonna, che nella notte di Natale cercherà rifugio sotto il nostro tetto. Parlava come di una persona vivente e molto amata. Conoscevamo l’amore che la m. Francesca aveva per Maria, in quel momento abbiamo visto, quanto esso era filiale e tenero. La Madre trattò quella Visita come qualcosa con cui la Santissima Madre voleva manifestarci un riguardo particolare, consolarci dopo la perdita della scuola (…). Madre Francesca cercava di preparaci spiritualmente, di aiutarci ad aprirci alla grazia della Visita.
Il giorno precedente alla vigilia di Natale, ricevetti la notizia della morte di mio cognato nella sciagura aerea. La Madre mi diede il permesso di recarmi a Varsavia. Chiesi quando avrei dovuto tornare. Rimasi stupita quando lei mi disse: “Rimani per una settimana, lì hanno bisogno di te. Dovesse essere necessario, rimani oltre. Vedrai sul posto”. Che fiducia dava alle persone, come comprendeva il dolore altrui, la disgrazia altrui. Fu la Madre stessa a scegliere il treno, era emozionata come se si trattasse di una persona a lei molto cara. Congedandomi da lei dissi di essere dispiaciuta di non essere a Pniewy quando il noviziato avrebbe fatto l’atto di affidamento alla Madonna. La Madre rispose risolutamente: “La Madonna ti sta mandando là, La imiterai nella sua visitazione. Sarà la tua visitazione. Si vede che la Madonna ha fiducia in te. E noi ti ricorderemo qui” (…).
Come spesso, con il gelo, nelle mattine invernali, prima della meditazione, incontravamo la Madre con il secchio, alla pompa d’acqua nel cortile. La Madre era così dura per se stessa. Le sue mani malate certamente le facevano male immerse nell’acqua ghiacciata, mentre lavava il secchio. Già dopo la morte di m. Franciszka, la maestra delle novizie ci raccontò come, una volta, si guastò nella casa di Pniewy un gabinetto. Le suore ivi riunite discutevano il modo per sturare lo scarico. Portarono un pezzo di fil di ferro, inutilmente. In quell’istante vi giunse la Madre. Senza una parola alzò la manica del vestito e mise la mano nella tazza WC, in un attimo il problema venne risolto. Lei, come se nulla fosse accaduto, si mise a lavare le mani, e poi tornò tranquillamente nella sua camera.
(…) Giunse il 15 di agosto 1963, il giorno dei voti. La Madre era molto raccolta, seria. Nella cappella dominava una grande calma, atmosfera di preghiera, estremamente solenne. La Madre riceveva le professioni delle suore. Con un gesto deciso, forte, posava la mano sulla spalla di colei che stava emettendo i voti. Al termine della cerimonia abbiamo cantato: “Esultano i nostri cuori” e dopo “Con fiducia stendiamo le mani per ricevere la Tua volontà, indipendentemente se illuminerai col sole i nostri giorni, o se ci farai sperimentare la passione…”. Con quale sincerità risuonavano queste parole sulle labbra delle suore e degli ospiti, che insieme a noi, rendevano grazie al Signore per le grazie ricevute quel giorno. Dopo la cerimonia le suore stavano con i propri ospiti. La Madre passava da un gruppo a quello successivo, salutando tutti e con tutta la sua cordialità e semplicità conversava con tutti. Era a disposizione di tutti, non aveva neanche un istante per se stessa. Vedevamo che era molto, molto felice. Le suore più anziane dicevano di non ricordare simili cerimonie a Pniewy – così colme di gioia e di indisturbata serenità, come se Dio stesso si fosse chinato sulla nostra casa e in quell’ultimo giorno ci sorridesse rafforzandoci per quello successivo – il giorno della morte della Madre.
La sera, la Madre venne nel noviziato, dove si radunò tutta la gioventù religiosa. La sala delle riunioni era piena. Come di solito in casi simili, stavamo sedute per terra, strette intorno alla Madre. Condivideva le impressioni di questo giorno e di ultimo periodo precedente. Sr. Orsola Kulesza, iniziò la conversazione accusando scherzosamente le professe perpetue del desiderio di morire dopo i voti. La Madre divenne seria e rispose seriamente, con espressione meditabonda negli occhi, come sempre quando parlava di Dio, disse che il desiderio di morire non è cattivo, se è provocato dalla nostalgia di Dio, dell’incontro con Lui, ma sarebbe un peccato se esso fosse la voglia di fuggire dalle difficoltà che la vita porta con sé. Dopo, la Madre cominciò a ricordare il suo soggiorno in Polessia. Raccontò come, nel 1939, l’esercito polacco stava lasciando quella terra, per cui ordinarono alle suore di fuggire, poiché esse non volevano abbandonare la gente locale, fidandosi delle persone per le quali avevano fatto tanto e quanto terribile fu invece la loro delusione. A malapena salvarono la loro vita, circondate da ogni parte da persone nemiche. La Madre parlò del vagare, insieme alle suore, tra le case incendiate, sotto una grandine di proiettili, con la fame e col freddo. Ma la cosa più terribile non era questa. La Madre diceva che il loro dolore era causato prima di tutto dalle persone di cui le suore si erano fidate e che le avevano deluso. Quando, per la prima notte, le suore si fermarono in una casa, si erano sdraiate per terra stanche morte. E lì, in quella notte, la Madre, sdraiata per terra sotto un tavolo, dopo quei giorni terribili, per la prima volta si mise a piangere. Tanto dolore si era accumulato nel suo cuore, che, come diceva lei stessa, pensò di morire di pianto. Ricordo le sue parole: “Dopo di me rimase là, sotto quel tavolo, una pozzanghera di lacrime”.
(…) Nel racconto della Madre passarono molte persone, numerosi eventi, un pezzo di vita piena di fatica, ma prima di tutto di amore per gli esseri umani. La Madre come se avesse dimenticato il passar del tempo. E noi, immerse nell’ascolto, saremmo rimaste sedute fino alla mattina (…). Stavamo così bene insieme e forse anche lei con noi. Penso che sentiva quanto le volevamo bene e ci ricambiava con lo stesso amore. Fu l’ultima serata della sua vita.