La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

             M. Franciszka Popiel (1955-1963)


   Come ho già scritto nella mia prima lettera, del 31 luglio u.s., giorno della chiusura del XVI Capitolo Generale, il Capitolo ha deliberato tra l’altro, all’unanimità, che l’anno 2013/2014 sia vissuto nelle nostre comunità come l’Anno di Madre Francesca Popiel. Il motivo non è soltanto il fatto che il 16 agosto u. s. si sono compiuti cinquant’anni dalla sua improvvisa morte nell’incidente stradale nei pressi della località Września; ma era il desiderio di numerose suore che hanno conosciuto personalmente la Madre, e anche di quelle che la “conobbero” spiritualmente dalle lettere e dai ricordi di lei, non solo per onorare in modo particolare tali ricordi, ma per attingere dal suo spirito, dalla sua personalità e dalla sua vita, un magnifico esempio di realizzazione della vocazione di orsolina grigia. Abbiamo inaugurato l’Anno di Madre Popiel il 16 agosto u. s., a Węgierki, proprio dove è accaduto l’incidente, ricordato da una pietra, dove si è recato con il pullman il pellegrinaggio delle suore di Pniewy; anche lì, e la sera poi, al cimitero di Pniewy, abbiamo potuto ascoltare la relazione di sr. Bernadetta Sobczak e di sr. Agnes Masłowska che viaggiavano insieme alla Madre; attraverso la lettura dei testi abbiamo potuto anche metterci in ascolto delle parole della Madre ed unirci in preghiera intorno a Lei. Ci rallegra anche il fatto che erano con noi alcune nipoti di madre Francesca, le quali hanno accettato con commozione la nostra iniziativa.

Propongo che quest’Anno speciale sia vissuto, come ogni Giubileo, in spirito di rendimento di grazie. Ringraziamo Dio per averci donato madre Francesca Popiel, per il suo contributo all’edificazione della nostra Congregazione, per l’ardore della sua vita spirituale, che irradiava non soltanto sulla nostra Famiglia religiosa, ma su numerose congregazioni in Polonia e non solo là. Esprimiamo il nostro grazie per la sua semplicità e naturalezza, come san Francesco, che aiutava a scorgere la bellezza della vita umana in ogni dimensione di essa. Subito dopo la sua morte, una delle suore, scrisse così: “Madre Francesca ci ha lasciato l’esempio di un’autentica santità di orsolina, umile, quotidiana e perseverante sino alla fine. Tale esempio è per noi impegnativo - in un certo senso è la continuazione di ciò che ci diede la Madre Fondatrice. È l’applicazione dello spirito della Fondatrice nelle condizioni in cui viviamo in questo momento”. (M. Franciszka Sagun, Varsavia, 26 agosto 2013 )


nr. 3 / SETTEMBRE: Incontro con madre Franciszka Popiel Biografia


M. Francesca Popiel - Biografia

Popiel Antonia Maria, m. Francesca del Bambin Gesù, nata il 19 giugno 1016 a Wójcza (parrocchia Biechów, com. Busko Zdrój, prov. Kielce). Entrò in convento il 1.06.1937 a Varsavia. Emise i primi voti come coadiutrice, l’8.09.1939 a Mołodów, i voti canonici, il 6.01.1941 a Varsavia. Morì il 16.08.1963 all’ospedale di Września.

Figlia di Michał Stanisław Ignacy e di Jadwiga Mańkowska. Proveniva da una famiglia di proprietari terrieri, nota per la sua religiosità e per le collimazioni con insigni famiglie polacche. La sua famiglia diede numerosi sacerdoti e religiosi, tra questi Wincenty Teofil Chościak-Popiel, arcivescovo di Varsavia (1825-1912). Ebbe 5 fratelli e sorelle. Giovanni, suo fratello maggiore, divenne gesuita, una sorella minore, Maria – sr. Teresa, anch’essa entrò nella nostra Congregazione. Dopo aver conseguito il Ginnasio delle Suore Sacré Coeur, di Zbylitowska Góra, per un anno studio a Bruxelles (Belgio) la catechetica e le scienze sociali. Tramite don Konstanty Michalski, conobbe la nostra Fondatrice e si recò per alcuni mesi a Roma, dove soggiornò sotto la sua guida. Probabilmente la Fondatrice intuiva in lei la vocazione religiosa, poiché l’introduceva personalmente nella spiritualità della Congregazione facendole conoscere le Costituzioni. A 21 anni, a Częstochowa, venne ammessa nella Congregazione. Dopo un mese trascorso a Pniewy, venne inviata a lavorare in una fattoria, a Mołodów in Polessia, nella proprietà offerta alla Congregazione dai fratelli Skirmuntt. Lì fece anche il noviziato per le coadiutrici ed emise i voti, come coadiutrice. Dopo l’occupazione, da parte dell’Armata Rossa, dei territori orientali della Polonia, le suore furono costrette ad abbandonare Mołodów. Si trovò a capo di un gruppo di suore che tentavano di raggiungere Varsavia. Dal 7.11.1939 sino al 4.09.1944, soggiornò nella casa di Varsavia e in quella di Ożarów. Fece il noviziato canonico ed emise la professione religiosa. Studiò clandestinamente alla facoltà di pedagogia del Libero Ateneo a Varsavia, nella sezione Socio-Educativa. Dopo aver presentato la tesi: Lavoro sociale di suora parrocchiale, valutato come eccellente e dopo aver superato l’esame, conseguì il 4.07.1944 il diploma del corso biennale. Insegnò nella scuola clandestina magistrale (liceo pedagogico), gestita dalla Congregazione. Durante l’insurrezione di Varsavia, lavorò al soccorso sanitario per gli insorti, organizzato nella nostra casa a Wiślana, sotto la direzione di dott.ssa sr. Edwarda Wojno. Per tutto il tempo dell’occupazione tedesca prese parte all’azione clandestina del Servizio Militare delle Donne nel rango di sottotenente. Fu decorata con la Croce d’Oro al merito con le Spade (1944), con la Croce dell’Esercito Nazionale (Londra 1972) e quattro volte con la Medaglia dell’Esercito (1948). Dopo l’insurrezione di Varsavia, insieme alle suore venne sfollata. Soggiornò a Milanówek, occupandosi dei malati deportati dalla capitale. Il 15 ottobre 1944 partì per Kielce, dove svolse l’incarico di prefetta (1944-1946) di un nuovo posto di lavoro della Congregazione, in via Buczek, e successivamente come direttrice della casa in via Panny Maryi (1946-1948). Dal mese di febbraio 1948 fu anche membro del Comitato Municipale del Servizio Sociale e segretaria dell’Unione Caritas. Dal 29.05.1948 soggiornò a Pniewy, fu assistente della superiora della casa, e negli anni 1950-1954, dopo la statalizzazione della fattoria di Pniewy, insieme con un numeroso gruppo di suore intraprese il lavoro nell’azienda agricola statale. Nel capitolo generale del 1953, venne eletta come quarta assistente generale, e nel 1954 assunse inoltre l’incarico di superiora della casa e del centro di Pniewy. Nel 1955 si sottopose all’intervento chirurgico di ghiandola surrenale, per contenere lo sviluppo del morbo di Reynaud. In seguito alla morte della superiora generale, m. Brigida Rodziewicz, l’11.12.1955 venne eletta superiora generale della Congregazione, e dopo 6 anni il capitolo le affidò nuovamente questo incarico. Nel 1960 divenne presidente della Consulta delle Superiore Maggiori delle Congregazioni Femminili in Polonia. La sua attività, in tutti questi incarichi coincidesse con i grandi eventi nella vita della Chiesa universale e di quella polacca. Era il tempo di intensa preparazione al Concilio Vaticano II e del movimento accomodata rennovatio ad esso unito, e in Polonia il tempo della Grande Novena in preparazione al Millennio del Battesimo. Questi impegni occuparono molto spazio nella sua attività. Per lei, del resto, la Chiesa e la Congregazione non furono delle realtà alternative. Seguendo le indicazioni della Fondatrice, voleva vedere la Congregazione nel cuore della Chiesa. Voleva renderla quanto più possibile utile alla Chiesa ed adattarla alle necessità del mondo contemporaneo. La interessavano i nuovi trends nella Chiesa. Cercava di conoscere da vicino le varie forme della vita consacrata e di quella religiosa in genere, molte delle quali nacquero nei paesi dell’Europa Occidentale. Voleva attuare nel modo più opportuno ed utile per la Chiesa, gli immutabili e stabili valori della vita consacrata. Condivideva con altre congregazioni i suoi progetti e le sue esperienze. Era molto impegnata sul terreno intercongregazionale. Guidava la Congregazione in tempi in cui la situazione socio-politica richiedeva numerose trasformazioni nello stile di vita e di lavoro delle suore. Decideva velocemente e non temeva cambiamenti, non indietreggiava di fronte alle difficoltà. Intendeva la vita religiosa come un dono totale di sé al servizio di Dio e del prossimo. Lei stessa era una religiosa modello, esigente verso se stessa e capace di chiedere sacrifici agli altri. Come superiora generale, soggiornava nella case della Congregazione in Italia e in Francia (1957, 1959-1960). Partecipò alla prima esumazione delle spoglie della Fondatrice e alla traslazione solenne di esse nella cappella della casa generalizia a Roma. Trapiantò sul terreno polacco un tipo di canti, ivi ancora quasi sconosciuto, diffusosi in seguito come il Vangelo nel canto. Portava in Polonia i dischi con le opere di don J. Gélineau, di padre Duval, di Cocagnac e di Suor Sorriso. Tradusse in polacco i loro testi e fece pervenire la musica sia alle suore, che ai chierici nei seminari. Nonostante i suoi problemi con l’udito, volentieri si inseriva nel canto, specialmente in quello gregoriano, e dirigeva personalmente il coro della casa madre. Traduceva i testi di Michel Quoist, pubblicati poi sul settimanale cattolico “Przewodnik Katolicki”. Il segreto della sua ricca e fervente attività era la sua unione con Dio. Il motto della sua vita: Dio mio e mio tutto – di san Francesco, non rimase una teoria. Dotata di qualità umane e soprannaturali della mente e del cuore, era una persona umile, amante della povertà e della semplicità, e prima di tutto immersa in modo particolare in Dio. Fu una donna di preghiera e di atto. Ogni giorno, indipendentemente dal tipo e dalla quantità di lavoro, dedicava alcune ore alla preghiera. Succedeva che trascorresse le notti intere in veglia orante; nella sua vita interiore un posto particolare occupava la devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna di Jasna Góra, alla protezione della quale affidò la Congregazione (24.05.1956). Sua fu l’iniziativa di proclamare Maria Regina degli ordini religiosi (11.11.1961) e promosse la visitazione delle case religiose con l’immagine della Madonna di Częstochowa. La sensibilità ai problemi sociali, l’amore per la Chiesa e per la Polonia e l’atteggiamento nella vita, cattivavano i cuori sia delle suore che del clero, e anche dell’ambiente meno vicino. Era in pienezza di forze creative, quando la morte improvvisa la portò via a 47 anni di vita. Viaggiando in automobile da Poznań a Varsavia (sin dal 1959 era in possesso della patente di guida), ebbe un incidente nella località Węgierki presso Września. Trasportata all’ospedale, morì dopo tre ore, munita dei sacramenti. Insieme a lei perse la vita la sua assistente, sr. Urszula Kulesza. I funerali si svolsero il 23.08.1963 a Pniewy, con la partecipazione di 7 vescovi, 116 sacerdoti, 120 religiose di 30 congregazioni e dei familiari di entrambe le suore morte tragicamente. Il rimpianto era comune, comunemente anche veniva espressa l’opinione sulla sua santità. Il card. Stefan Wyszyński, primate di Polonia, scrisse: Ha conservato nel nostro cuore una profonda gratitudine. A metà della vita L’ha reclamata per sé l’Altissimo Signore e Datore della vita… Ne aveva il diritto, poiché questa fedele Serva della Congregazione del S. Cuore di Gesù Agonizzante raggiunse l’ideale che serviva. Come il suo Maestro – Via verità e Vita – dipartì trovandosi in cammino. Riposa nel cimitero delle orsoline a Pniewy.

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Sr. Orsola Górska

Amore per Gesù Cristo

La mia conoscenza con madre Popiel ha inizio al momento del suo arrivo in convento, a Pniewy, nel giugno 1937. Ero allora nel noviziato e la maestra delle novizie, sr. Stanisława Czekanowska, mi raccomandò di occuparmi della nuova candidata. Ricordo fino ad oggi, la snella figura di Tosia, in un completo grigio e un cappello di feltro, con un’enorme valigia, ferma, un po’ imbarazzata dopo essere scesa dall’automobile, con la quale era giunta da Poznań insieme alla nostra Fondatrice. Come è ovvio, l’attenzione di tutte le suore si concentrò sulla persona dell’amata Madre, e non sulla giovanissima candidata. Con un sollievo visibile, Tosia accettò dunque la mia proposta di occuparmi di lei e di trasferire la sua roba.

Già mentre stavamo aprendo il bagaglio, notai che l’ultima arrivata sarebbe stata, come si usava dire nel nostro linguaggio conventuale, una “buona vocazione”. Aveva portato con sé un grande messale romano, che era allora una rarità. Tosia ricordò fino alla morte il mio accenno di approvazione alla vista del messale. In quel momento ebbe la conferma del fatto che nella nostra Congregazione, già allora, si attribuiva importanza alla liturgia, che lei amava moltissimo.

Tutti avevano notato che Tosia trascorreva in cappella ogni momento libero e che gradiva le cose semplici e povere. Era molto contenta di una cassetta di legno grezzo che le avevo portato con un certo imbarazzo, per tenervi piccoli oggetti personali; le piacque anche il fatto di dover dormire per terra su un pagliericcio, insieme ad un gruppo numeroso di altre candidate, poiché i nostri letti erano allora occupati dai bambini delle colonie estive che avevamo organizzato. Anche con allegria accettò il lavoro assegnatole: aiuto nella fattoria. Si mise un fazzoletto sulla testa come tutte le contadine, le donne che lavorano nei campi e ciò le piacque, tanto che si doveva ricordarle di toglierlo dalla testa recandosi in cappella e per i pasti nel refettorio. Quando con una nota di preoccupazione, tipica per chi è sempre vissuto in città, le domandai se aveva paura dei cani grandi, rispose col sorriso: “Oh no, sono sicura che appena li avrò pettinati qualche volta per eliminare le pulci, vivremo in grande amicizia”. Quando i lavori nei campi diventavano più intensi, specialmente durante il tempo della mietitura, il pranzo per le suore veniva portato nei campi e anche lì si faceva la lettura spirituale comune. Entrambi questi doveri furono affidati alla nuova candidata. Durante la ricreazione, le fu chiesto come andavano questi impegni, rispose contenta: “Molto bene, le mie suore hanno buonissimo appetito!” La responsabile delle candidate, un po’ preoccupata della sicurezza di sé di Tosia, osservò: “E da quando le suore sono tue?” – Essa rispose senza esitare: “Oh, è vero, in convento infatti non dice «mie» ed io avrei dovuto dire «ad uso mio». Una risata generale chiuse il dialogo. Fu una delle manifestazioni del senso di umorismo che era sviluppato in sr. Popiel .

La nuova candidata piacque probabilmente a tutte le suore, a motivo della sua semplicità, della cordialità, della costante serenità, e anche per la sua visibile sincera pietà. In breve tempo fu ammessa al postulato e, insieme a un gruppo di suore, partì per un nuovo posto di lavoro della Congregazione, in Polessia, a Mołodów, dove si occupò della gestione di una grande proprietà terriera, offerta alla Fondatrice dai signori Skirmuntt, per le opere di carità e di religione. Sr. Stanisława Prądzyńska, che allora era superiora di Pniewy, e che aiutava le suore di Mołodów con la sua esperienza, dopo una visita raccontò, che nella piccola camera di sr. Popiel, molto semplice e quasi vuota, trovò come suo unico guardaroba religioso i pantaloni e gli stivali per l’equitazione.

Negli anni 1937-1939 incontrai sr. Popiel forse ancora due volte, a Varsavia, quando veniva da Polessia per fare le spese prima di Natale. L’accompagnavo allora facendole da guida, nei negozi della capitale, ma probabilmente non adempivamo molto bene il compito ricevuto, poiché per tutto il tempo parlavamo con slancio di cose divine e di Dio. Questa facilità di parlare di Dio, e in modo speciale del Vangelo, senza alcuna ostentazione, ma che scaturiva da un bisogno del cuore, si notava sin dall’inizio in sr. Popiel e fece sì che fu facile stabilire con lei un’autentica e sincera amicizia. Avevamo condiviso un paio dei miei guanti in modo che ciascuna di noi usava un guanto, per la mano nella quale teneva i pacchi, nascondendo l’atra nella tasca. Ebbi l’impressione che lei non usava i guanti per mortificazione e un colloquio che ebbi con lei molti anni dopo, mi confermò in questa convinzione. Anche allora seppi che il primo periodo di tempo di lavoro in Polessia le fu molto difficile, principalmente perché secondo lei aveva poche occasioni di mortificazione e di povertà, e non abbastanza possibilità di lavorare direttamente a favore dei più poveri, essendo impegnata “dalla parte dei signori”, mentre, con tutto il cuore, avrebbe distribuito tutto ai contadini e avrebbe voluto condividere completamente la loro vita. Ne parlò con la Fondatrice, la quale comprendeva e condivideva gli slanci del suo cuore, ma seppe anche spiegare alla giovane postulante, che non si può fare tutto subito, che bisogna tenere conto anche dei benefattori, ancora viventi ed attaccati alle loro tradizioni. Al termine del colloquio con la Madre, sr. Popiel giunse alla conclusione che, come precisò essa stessa, sarebbe diventata più povera, rinunciando a questo suo concetto di povertà e … rimase nella Congregazione.

Vale forse la pena menzionare il cordiale legame che univa sr. Popiel con la Fondatrice della Congregazione, madre Orsola Ledóchowska. Quando, giovanissima, Tosia confidò a sua madre il desiderio di entrare in convento, la signora Popiel si mise a cercare, insieme alla figlia, una congregazione più adatta a lei. Tosia aveva pensato alle albertine, che l’attiravano con il loro lavoro a favore dei poverissimi, o a Laski [dove le Suore Francescane della Croce sono dedite ai non vedenti]. Tuttavia, dopo aver sentito il parere di don Konstanty Michalski, lazzarista, un filosofo di fama, professore dell’Università Jagellonica e amico della famiglia Popiel, la scelta cadde sulle orsoline grigie.

Dopo aver conseguito il diploma di maturità, Tosia trascorse un anno in Belgio, e dopo visitò Roma, e fu proprio lì dove incontrò direttamente madre Orsola Ledóchowska e le parlò della sua intenzione di entrare in convento. Madre Orsola durante tutto il soggiorno di Tosia a Roma, ogni giorno le dedicava un po’ del suo tempo alla lettura comune e alla spiegazione delle Costituzioni della Congregazione. Dopo molti anni ho sentito raccontare da sr. Popiel i ricordi di quei colloqui con la Fondatrice e la profonda impressione che le fece la persona della Madre, in modo particolare la sua grande conoscenza dell’umana natura, l’esperienza e la saggezza della vita.

Dopo, ci incontrammo con sr. Popiel ormai verso la fine del 1939, dopo la famosa odissea del ritorno da Polessia - via Lublino e Wólcza, in cui era nata - fino a Varsavia. Durante le ricreazione. Sr. Popiel diverse volte raccontava i vari particolari di quel periodo, specialmente l’inatteso arrivo, attraverso un buco nel recinto, nel giardino dei gesuiti a Lublin e l’incontro nel refettorio dei gesuiti, con suo fratello, chierico. Una volta, ricordò con particolare commozione, come, dopo la meditazione del mattino sulla moltiplicazione miracolosa del pane, trovandosi su un carro di profughi, con un sentimento di mestizia meditava sulla fame che avevano tutte le persone che erano insieme a lei, senza nessuna speranza in un miracolo. Invece, proprio in quell’istante apparve fugacemente all’orizzonte un gruppetto di soldati polacchi, in ritirata inseguito dall’esercito nemico che li stava attaccando. I ragazzi passarono velocemente vicino alle suore e gettarono sul carro un sacco contenente pane.

Negli anni 1940-1941 eravamo di nuovo insieme, a Warsavia e a Ożarów, durante il suo noviziato canonico. Madre Pia Leśniewska, superiora generale in carica e insieme maestra delle novizie, affidava a sr. Popiel diversi compiti legati con il lavoro clandestino.

Nel 1944, al termine dell’insurrezione di Varsavia, mi recai una volta, a piedi, per la scorciatoia, da Ożarów a Milanówek dove le nostre suore, in maggioranza esse stesse profughe evacuate da Varsavia distrutta, intraprendevano diverse iniziative a favore dei profughi giunti dalla capitale, condividevo in quei due giorni la camera con sr. Popiel, la quale accendeva più volte durante la notte la lampada. Alla fine, domandai se c’era qualcosa che non andava, perché si svegliava così spesso. Negò ridendo chiedendomi scusa, spiegando semplicemente che dai pazienti del piccolo ospedale si erano trasferiti su lei dei terribili insetti e che nonostante i bagni e tutti i suoi tentativi, era proprio di notte che si facevano più sentire e lei faceva la caccia.

Dopo la guerra ci incontrammo nuovamente con sr. Francesca Popiel, a Pniewy, negli anni 1948-1959. Sr. Popiel svolgeva uno dopo l’altro gli incarichi di prefetta e poi di superiora della casa madre e di quarta assistente generale della Congregazione e infine, dall’anno 1955, di superiora generale. Io in quel periodo ero maestra delle novizie. Ci incontravamo spesso, e in un certo periodo quasi ogni giorno, a motivo dei nostri doveri e della necessità di concordare la collaborazione, e molto più raramente – per mancanza di tempo – per lo scambio amichevole di opinioni, come prima, sebbene anche ciò accadde solo alcune volte, specialmente durante i viaggi fatti insieme per i convegni e gli incontri riguardanti la vita religiosa.

Che cosa mi colpiva più di tutto nella suora che poi fu madre Popiel durante quel periodo? Prima di tutto forse il suo immenso amore per il Signore Gesù, la sua profonda pietà e il suo grande amore per l’uomo, specialmente per le persone semplici, per i sofferenti, l’amore confermato spesso con atti generosi, a volte eroici. Dalla casa paterna sr. Popiel portò con sé una profonda pietà, e la sviluppava costantemente con un lavoro consapevole e con la fedeltà alla preghiera. Amava la liturgia, in modo speciale la santa Messa, il canto gregoriano, effetto indubbio dei contatti con i benedettini in Polonia e in Belgio. Amava la Sacra Scrittura e in modo particolare il Vangelo. Era solita ripetere che dobbiamo “scoprirla con la propria vita”. Quando, durante gli studi di pedagogia sociale, frequentati nei corsi clandestini, dovette elaborare il tema: Il ruolo di una suora parrocchiale, si servì di così numerose citazioni bibliche, che le venne raccomandato di ridurre di molto il numero di questi, a favore di testi “più scientifici”, cosa che fece con visibile rammarico, convinta che la suprema sapienza è contenuta nella Parola di Dio. Spesso ricordava che da bambina, insieme ai fratelli e alle sorelle, imparavano a memoria il testo del Vangelo della domenica, e proponeva di introdurre tale usanza anche nel noviziato.

Nonostante la mole di lavoro, trovava sempre il tempo per la preghiera. Nel periodo di lavoro, nell’azienda agricola statale, quando oltre agli impegni nei campi comuni con le suore, spesso per 10 ore al giorno, la sera sbrigava gli affari di casa, connessi con l’incarico di prefetta, alla preghiera individuale destinava le ore della tarda serata, riducendo al minimo il sonno. Diverse volte ho visto sr. Popiel che appena seduta si addormentava nei momenti di forzata attesa, o su una dura panca del treno. Non l’ho vista mai nervosa o impazientita. Raccontò, ridendo, che una volta dopo un lungo viaggio, sorpresa, si destò dal sonno dopo un lungo viaggio nello scompartimento di una carrozza completamente vuota che già da alcune ore sostava su un binario morto. Poco prima della morte, una delle suore incontrò madre Popiel a notte inoltrata, mentre tornava dalla cappella e le domandò con tono di rimprovero: “Madre, come è possibile, a quest’ora e dopo un giorno così laborioso?” Udì una mite risposta: “Suora, io devo. Sono convinta di dover ogni momento essere pronta per la dipartita”.

La Madre aveva un speciale devozione a Gesù sofferente. Spesso, nella notte tra giovedì e venerdì, faceva l’ora santa, e da quando fu superiora generale, ogni giorno faceva la Via crucis per la Congregazione. Questa devozione si approfondiva visibilmente in lei sotto l’influsso delle difficoltà e delle urgenti preoccupazioni riguardanti la famiglia religiosa affidatale.

Cresceva in lei l’amore filiale per la Madonna. Dopo gli esercizi spirituali fatti alcuni anni prima di morire, disse che la più importante grazia ricevuta da questi era stata la scoperta, completamente nuova, della Madre di Dio. L’esprimeva più volte nelle lettere alla Congregazione, sollecita di unire, nel modo più profondo possibile, con Maria la nostra famiglia religiosa, ed anche nella sua opera poetica. Scrisse il misterium mariano, intitolato: Madonna – custode della Polonia e numerosi testi per i canti in onore della Madonna. Con predilezione cantava il Piccolo Ufficio in Onore della BVM ed introdusse a Pniewy l’usanza di cantarlo insieme nelle feste mariane. Le piacevano molto anche i pellegrinaggi ai santuari mariani. Li organizzava volentieri, specialmente quelli a piedi, nelle località poco distanti da Pniewy e sapeva renderli più variati con nuove espressioni d’amore filiale per la Madonna.

Giudicando dall’ardore con cui pregava, potrebbe sembrare che ricevesse molte consolazioni spirituali, tuttavia, il più spesso, alla domanda sul come erano andati gli esercizi spirituali o il giorno di ritiro, rispondeva: “come arare un terreno incolto”, “duro come pietra”, “una notte buia”. Naturalmente la colpa di ciò la attribuiva a se stessa. La più sicura verifica del valore di questa difficile preghiera era tuttavia la vita, e in particolare il rapporto con gli altri.

Dalla casa paterna e dall’educazione fino in fondo cristiana e religiosa, sr. Francesca portò il rispetto per l’essere umano e l’amore del prossimo. Spesso si richiamava agli ammonimenti e in modo particolare all’esempio di sua madre. In questo campo i signori Popiel furono molto esigenti verso i loro figli. Pretendevano per esempio la richiesta di perdono alla servitù, nel caso di qualche mancanza, ricordavano loro che bisogna trattare ogni persona come Gesù stesso. La signora Popiel era sollecita per le necessità materiali degli operai e delle loro famiglie, partecipava anche ai funerali dei contadini, lo stesso facevano anche i bambini. Prima di morire, chiese di avvolgere la sua salma nel lino grezzo e dare ai bisognosi tutti i suoi indumenti.

Sr. Francesca, sin dai primi istanti della sua vita religiosa, era consapevole di essere venuta per servire i poveri. L’angosciava il fatto che nella vita religiosa c’è uno spazio troppo piccolo per un diretto impegno di singole suore, nell’aiuto da portare al prossimo. Perciò, come superiora della casa di Pniewy una volta incoraggiò le suore a guardare il proprio guardaroba e donare ai poveri, ciò che non ritenevano indispensabile a se stesse. Il risultato fu tale che centinaia di pacchi vennero spediti alle famiglie bisognose e nella città si sparse la voce, che le suore, prevedendo il pericolo di essere sfollate, mandavano in anticipo, in un’altra località, quanto era in loro possesso.

Una volta, attraversando insieme a sr. Popiel i binari ferroviari, dove stavano lavorando gli operai, udii da lei questa confessione del cuore: “Suora, io amo tantissimo questa gente di duro lavoro, quanto mi sono cari!” mi ricordo anche molti casi in cui il suo aiuto fu offerto spontaneamente alle persone malate, alle madri di famiglia, ai membri di famiglia delle suore, e questo in un modo così cordiale, e gentile, che nessuno si sentiva da ciò umiliato. Piuttosto, al contrario, si sentiva inserito nella famiglia religiosa.

Sr. Popiel nutriva, penso, verso ogni persona, una eccezionale cordiale benevolenza e con tante persone, sia nella Congregazione che fuori di essa, aveva stretti legami di sincera amicizia. Certamente furono utili in questo le caratteristiche del suo temperamento come la bontà, la mitezza, la straordinaria rettitudine e lealtà, la fedeltà, la semplicità e la discrezione. Ripeteva spesso la sentenza prediletta dal suo patrono per elezione, san Francesco d’Assisi: “I fratelli evitino l’ira e la tristezza, perché questi sono l’opposto della carità”. Apprezzava in modo speciale la rettitudine e la sincerità e sapeva addolcire una difficile confessione da parte di qualcuna delle sue suddite, con un’ammissione molto sincera tratta dalla propria vita. Raccontò una volta che suo padre amava talmente la verità e l’onestà, che durante la guerra, perfino come amministratore del proprio podere nominato dalle autorità tedesche, non si appropriò di nulla, sebbene avesse il pieno diritto di farlo. Raccontò anche che da bambina, a volte diceva delle bugie. Si curò da quel vizio quando, una sera udì attraverso la porta socchiusa, la conversazione dei genitori che erano impensieriti dal come curare Tosia da questa cattiva inclinazione. Allora si rese conto che questo doveva essere un grande male, se i genitori ne erano tanto preoccupati.

Quando fu chiamata come testimone al tribunale in una causa molto complicata, nella quale, dicendo la verità poteva esporre le persone interessate ad un grande pericolo, pregò per alcuni giorni e chiese agli altri di pregare, affinché Gesù non permettesse né di dire una bugia e neppure di recare un torto a chiunque. Tornò dal tribunale felice, perché la preghiera fu esaudita in modo quasi miracoloso.

La stessa sollecitudine per la fedeltà alla verità e alla carità l’avevo notata ancora in un’altra situazione. Questa volta si trattava di un colloquio con un alto dignitario ecclesiastico. Egli desiderava delle spiegazioni circa una questione nella quale la persona di m. Popiel era stata presentata in una luce molto sfavorevole. La Madre si preparò al suddetto colloquio con una giornata di preghiera e di raccoglimento. Partendo da casa, disse di aver nel cuore soltanto amore e benevolenza verso le persone che l’avevano presentata in cattiva luce, e di voler dire soltanto lo stretto necessario per il bene della questione, poiché lei stessa si sentiva molto misera e di poco valore. Una volta mi mandò da Roma un’immaginetta di Gesù con il manto di porpora, con la corona di spine e una canna nella mano, con la scritta: “Bene mihi, quia umiliasti me”.

Riconosceva le proprie mancanze con una commovente umiltà e rettitudine, non soltanto verso le persone bendisposte verso di lei, ma anche verso coloro che erano maldisposti. Lo esternò in una circolare domandando perdono per le sue mancanze. Per principio tuttavia, riteneva in coscienza di non potere rimanere indifferente e passiva di fronte a ciò che riteneva in disaccordo con lo spirito religioso. Questa, certamente, fu una grande purificazione interiore della madre prima della morte, ormai vicina.

Sr. Popiel parlò sempre con umorismo del proprio appetito e della sua resistenza fisica, ma in verità non fu un Ercole, e il suo ottimismo a questo proposito, era piuttosto frutto della tempra che si era formata nell’educazione e della mortificazione personale, che delle sue forze fisiche. La signora Popiel non viziava i suoi figli. Tosia, già nell’infanzia aveva delle forti emicranie, ma in casa per principio non si usavano gli analgesici. Più tardi, in convento, m. Popiel sperimentò che prendere una pasticca antidolorifica previene l’emicrania e permette di compiere i propri doveri. Consigliava anche alle suore di farlo e lo faceva lei stessa, poiché non c’era tempo per un intervallo negli impegni. Spesso m. Francesca soffriva anche allo stomaco e dovette avere una dieta quasi da fame. Un’altra sua sofferenza fisica erano disturbi della circolazione, che provocavano la cianosi delle dita e una grande sensibilità al freddo. Un altro disturbo della madre era la sordità che si potenziava abbastanza velocemente come effetto dell’atrofia del nervo uditivo. Lo stile di vita estenuante e spesso addirittura spossante della m. Popiel rendeva ancor più acuta la situazione. L’indebolimento dell’udito certamente rendeva ancor più difficile lo svolgimento dei doveri del suo ufficio e dando a volte origine a delle situazioni per lei umilianti. La Madre tuttavia non manifestava preoccupazione per ciò che sarebbe stato in futuro. Forse presagiva che la fine non era lontana? Soltanto mi disse una volta: “Sa, penso tra di me che quando sarò completamente sorda, scriverò quello che mi canta e suona nell’anima”. Nella vita terrena non fece in tempo a farlo. Personalmente sono convinta, che lo sta facendo ora in cielo, soltanto non so con quale voce canta, in quale coro si inserisce, perché qui in terra aveva una scala di voce molto ricca.

A dir il vero, nessuno mi ha chiesto di dire le mie opinioni, ma soltanto di trasmettere i ricordi su m. Popiel. Mi è difficile, tuttavia, astenermi dal sottolineare che ritengo m. Francesca Popiel una delle persone più belle spiritualmente e a me più care, tra quelle che abbia incontrato nella mia vita.


il Programma annuale del lavoro spirituale