La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

L’Eucaristia nel pensiero e negli scritti della nostra Fondatrice


 

Quando penso all’Eucaristia subito mi vengono in mente le parole a noi tanto care:

 

Prendete e mangiate… Mangiate le mie forze, sono a vostra disposizione (…). Prendete e mangiate le mie capacità, il mio talento, se può esservi utile. Prendete e mangiate il mio cuore, affinché con il suo amore esso riscaldi e illumini la vostra  vita. Prendete e  mangiate il  mio  tempo, sia a  vostra disposizione. Prendete me, anche se ciò dovesse essere per me duro; sono vostra come Gesù-Ostia è mio” (Meditazioni, VI).

 

Queste parole, motto del nostro lavoro spirituale annuale, mi hanno suggerito il titolo del mio breve intervento.

 

 

SANT’ORSOLA LEDÓCHOWSKA – “UN’ANIMA EUCARISTICA”

 

Penso che abbiamo ancora nel cuore le parole del Santo Padre pronunciate il giorno della canonizzazione di Madre Orsola. Nella  sua omelia egli ha detto:

“Sant'Orsola Ledóchowska per tutta la sua vita, con fedeltà e con amore, fissava con lo sguardo il volto di Cristo, suo Sposo. In modo particolare si univa a Cristo  agonizzante sulla  Croce. (…)Lei attingeva l’ispirazione  e la forza per la grande opera dell’apostolato dall’amore per l’Eucaristia.(…) Alla luce di quest’amore eucaristico Sant'Orsola sapeva scorgere in ogni circostanza un segno del tempo, per servire Dio e i fratelli” (Omelia per la Canonizzazione, 18.05.03). 

 

Sappiamo che le parole del Vangelo di Giovanni: “(Gesù) dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), suscitarono in M. Orsola un forte desiderio di rispondere “ all’amore con amore e “al sacrificio con il sacrificio.”

 

Possiamo guardare tutta la sua vita proprio in questa prospettiva, senza domandare da chi abbia imparato a vivere così la sua fede, nella realtà di ogni giorno. Sappiamo bene che la famiglia Ledóchowski, nell’educazione dei figli  poneva le basi della fede e dell’amore di Dio e del prossimo,  curava il loro sviluppo umano e religioso. Possiamo dire che nel loro ambiente familiare e sociale si gettavano le fondamenta della civiltà dell’amore (cfr. Zofia J. Zdybicka: La santità – un fenomeno di famiglia. In: Orsola Ledóchowska. Santa dei tempi difficili e segno di speranza, p. 38).

 

Anni dopo, i figli di Antonio e di Giuseppina Ledóchowski, resero una magnifica testimonianza della vita dei loro genitori, dei loro “metodi educativi” e del segreto del loro successo.

 

Così  lo ha raccontato la loro figlia, Francesca:    

“I nostri genitori osservavano i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa e ci abituarono a ciò sin dai primi anni. Ogni festa di famiglia (onomastico, compleanno) veniva ricordata con la S, Messa celebrata per la festeggiata o per il festeggiato e con la santa Comunione (…). Venivamo introdotti nella liturgia della Chiesa (…). La nostra casa aveva uno spirito autenticamente cattolico. La vita in essa era santa e bella” (cfr. Z. J. Zdybicka, op. cit., p. 40).

 

Anche i parrocchiani di Lipnica Murowana, che conoscevano la famiglia Ledóchowski ricordavano queste cose (cfr. Ks. Stanisław Wiśniowski, Rodzina Bogiem silna, p. 32-34).

 

Sull’esempio dei genitori anche Giulia –  sin dall’infanzia - era un sostegno spirituale per le sue sorelle. Con un’abilità superiore alla sua età, spiegava anche a Maria Teresa, sua sorella maggiore, i problemi della vita interiore e l’aiutava a risolverli.  Ventenne, scriveva a Maria Teresa:

“Ti prego di non abbatterti se, talvolta a causa della stanchezza, non provi più profondi sentimenti di devozione (…). Vuoi vivere per Dio, questo basta. (…) Non rimproverarti se ti accosti spesso alla santa Comunione in tale stato. Chi mai in questo mondo è degno di ricevere il Signore Gesù? (…) Quanto più ci sentiamo deboli, tanto più abbiamo bisogno del medico, e Gesù stesso vuole essere il medico delle nostre anime. Riponi pienamente la tua fiducia in Lui (…). Felice te, che puoi così spesso unirti a nostro Signore! È una prova di grande amore da parte di Dio. Lui vuole attirarti a sé, ma non vuole che tu sia turbata e afflitta nel suo servizio. Sì, rallegrati quanto puoi, e allontana ogni pensiero triste. Come è possibile essere tristi, al servizio di tale Signore?” (Lettera del 15.08.1885).

 

Le Lettere di Giulia, anche quelle del periodo giovanile, rivelano la sua profonda fede, la ricchezza e la maturità spirituali, l’ardore apostolico e il grande amore verso il prossimo.

 

Molto significativa è la sua corrispondenza con  l’amica protestante, Ilse von Dűring. Il contenuto delle lettere di Guilia a Ilse è quasi una confessione. In una delle prime lettere scritte a Ilse leggiamo:

“Mi devi promettere soltanto di non mostrare a nessuno le mie lettere. (…) Malvolentieri acconsento a qualcuno di entrare nel <mio mondo>” (In: Amelia i Tadeusz Szafrańscy, Miłość krzyża się nie lęka…, p. 20).

 

Tutte le lettere di Giulia scritte a questa ragazza sono molto interessanti e, penso, poco conosciute, dato che sono state scoperte soltanto negli anni settanta e non mi pare  siano state tradotte in italiano. Vorrei perciò proporvi alcuni passi che si riferiscono all’Eucaristia.

 

Nella lettera del 13 gennaio 1886 Giulia  scrisse:

“Mia Ilse, non viene in mente anche a te il pensiero che nella vita interiore c’è una certa dolcezza difficile da definire (…), in questo perdersi in Colui che è eterna Bellezza, abisso d’Amore?  Spesso mi viene da piangere perché nella situazione in cui mi trovo ora, non ho la possibilità di accendere negli altri questa fiamma a volte soffocata. Ah,  potessi attirare  tutti,  tutti gli uomini, in queste regioni d’amore e di pace che circondano il trono della Sua grazia! (Ibidem., p. 51).

 

Un mese più tardi, rispondendo alla lettera di Ilse, scriveva:

“Ho appena ricevuto la tua. Non so proprio che cosa dovrei scrivere prima; prima di tutto devo chiarire un certo malinteso. Non ho mai pensato che tu potessi ritenere troppo fervoroso l’amore per Dio; pensavo che poteva sembrarti esagerato il grande ardore, il grandissimo amore nell’adorazione di Colui che, nel tabernacolo, resta sempre con noi, sino alla fine del mondo, dato che tale felicità è sconosciuta a voi (Ilse era protestante). Penso di poter  essere certa che non sei indifferente a questo riguardo, altrimenti mai potremmo comprenderci, siamo unite infatti soltanto dai vincoli del santo amore” (Ibidem., p. 55).

 

Nella stessa lettera Giulia spiegava:

“Ilse mia, sai che io vorrei vedere tutti, soprattutto coloro che amo, uniti intorno alla prigione del Suo amore, intorno al cielo sulla terra. Da questo scaturisce il naturale desiderio di incontrare tutte le persone a me care là, dove si trova la mia suprema felicità. Gesù è ovunque vicino a noi poiché in Lui viviamo e in Lui siamo. Quando però dico a me stessa: <Qui, davanti a me, c’è Lui così come visse sulla terra, è vicino a me e mi guarda con amore> - non sono capace di esprimere questo sentimento! – Sai, il mio desiderio sarebbe di stare sola inginocchiata davanti al suo tabernacolo e morire – dissolvermi nell’ Amore!” (Ibidem).

 

Due settimane dopo, il 03. 03.1886 Giulia scrisse:

“Mia Ilse, vuoi sforzarti insieme a me, mano nella mano, per conquistare la bella meta, aiutandoci a vicenda? È una strada faticosa; qualche volta penso che supera le mie forze. Il mio amor proprio cerca di resistere, si ribella (…), è Lui però a combattere per noi e alla fine sarà Lui a vincere. Eppure, il combattimento spirituale e la croce sono  la scala che ci conduce a Dio.

(…)Voglio ottenere per te tante cose che le mie preghiere non mi  bastano più. Quando però si vuole assolutamente ottenere qualcosa si troverà il rimedio;otterrò tutto ciò per cui volentieri darò ogni cosa mia e tutto ciò che mi è caro” (Ibidem., p. 59).

 

Un mese dopo Giulia confessava:

“Ilse, se Tu sapessi quanto spesso mi consuma il desiderio di appartenere totalmente a Lui. Solo Lui può rendermi felice… Posso parlare di questo soltanto con te, perché anche tu conosci questo fuoco interiore!” (Ibidem., p. 63/4).

 

È molto interessante  una confidenza di Giulia in data 07.05.1886:

“Ultimamente ho combattuto una dura battaglia tra l’amore di figlia e quello di Dio. Adesso tutto è passato e ho preso la decisione di entrare in convento, di offrire al Signore me stessa, tutto ciò che possiedo, che amo, e tutto ciò a cui sono stata attaccata. (…) Quanto mi piacerebbe farti vedere la casa dove, probabilmente, passerò i miei giorni. (…) Un’indicibile pace regna nei suoi lunghi corridoi .(…) Si sente che il Signore abita qui, perciò non si può pensare a null’altro che a Lui. E questa cappellina dove Gesù stesso ha stabilito la sua dimora… Stare sempre con Lui, sotto lo stesso tetto… Ah, mi sento indegna di una tale grazia e non sono capace di rispondere diversamente che con le parole: Signore, Ti amo!

(…) Il mondo perde sempre più valore ai miei occhi. Gesù è per me tutto in tutto – ecco, d’ora in poi sarà questa la mia parola d’ordine” (Ibidem., p. 69).

 

Entrata nel convento delle Orsoline di Cracovia, Giulia scrisse  ad Ilse:

“Mi sento felice per aver raggiunto la meta della mia attesa e della mia nostalgia. Ciò non vuol dire che ora sono terminate le battaglie e la croce; il combattimento comincia soltanto adesso, ma un cristiano senza la croce sarebbe come un cavaliere senza lo scudo e la spada (…).

La mia stella felice qui è la cappella. Ilse, un giorno mi piacerebbe  portarti qui con me di primo mattino, quando ancora è buio e non c’è nessuno. Il riflesso rosso della luce della lampada cade sul tabernacolo; l’immagine dell’Immacolata appena si delinea: < Qui c’è Dio>! e chi non lo sente? Anche tu non potresti fare null’altro che adorare e prostrarti in ginocchio. Ilse mia, vorrei averti qui per tre giorni, sotto il diretto influsso del Salvatore nascosto sotto le specie del pane“ (Ibidem., p. 82).

 

Per continuare, si potrebbero aggiungere le parole che Madre Orsola, tanti anni dopo, scrisse nel suo Testamento:

Gesù nel tabernacolo è il sole della nostra vita, la nostra ricchezza, la nostra felicità, il nostro tutto sulla terra.(…) Tu non Lo vedi, però Lui sta nel tabernacolo, e in questo puoi credere più fortemente  che nella tua propria esistenza.

E quando sei inginocchiata dinanzi al tabernacolo e non sai cosa pensare o i tuoi pensieri si disperdono, umiliati profondamente davanti al Signore. Tu sei come una grossa tela grezza, e non puoi nulla, ma esponi silenziosamente, con umiltà la tua miseria all’azione dei raggi d’amore che emanano dal tabernacolo. E come il sole imbianca la tela, così Gesù farà la tua anima candida e bella”  (XIII Domanda).

 

Dalla lettera di Ilse, del 21 di novembre 1887, si conosce come questo sincero amichevole dialogo era importante per entrambe.

Rispondendo a quella lettera, Giulia scrisse:

“Ti ringrazio per la tua ultima lettera. Sono grata al buon Dio quando le mie lettere ti portano un po’ di gioia e di coraggio. Sta sicura che non ti dimentico; al contrario, ora prego per te più che mai (…).

Voglio dirti ancora che ogni sera, dalle sette alle otto, faccio la mia ora di guardia accanto al Cuore di Gesù. Vuol dire che durante quest’ora mi offro in modo particolare al Cuore Divino per riparare  i dispiaceri che  Lui riceve continuamente. Vuoi offrire anche tu quest’ora secondo le  stesse intenzioni? Si può farlo ovunque e in ogni circostanza. In quell’ora, mi incontro nel Cuore Divino con tutti coloro che amo; lì trovo anche te e devi essere certa che ti penserò ogni giorno a quell’ora. La gente del mondo organizza dei ricevimenti; per quale ragione non potrei io avere i miei ricevimenti? Le persone del mondo certamente non invitano i loro ospiti in un salone così magnifico, come quello nel quale invito le persone a me care.

Unite spiritualmente alle ore sette, ripetiamo tre volte: <Sia amato dappertutto il Divin Cuore di Gesù!>  Sei d’accordo?” (Ibidem., p. 94).

 

Mi sembra che le parole appena citate somiglino alla giaculatoria lasciataci dalla Fondatrice tanti anni dopo:

Dolce Cuor del mio Gesù, fa’ che T’ami sempre più!”  (Testamento, I Domanda).

 

Nella lettera del 28 giugno 1888, Sr. Maria Orsola (dopo il noviziato ha chiesto a Ilse di chiamarla così) torna sull’argomento di quella precedente:

“Ilse (…) la prossima volta ti manderò l’immaginetta della nostra ora di devozione al Sacro Cuore. Pensi ancora ogni tanto, ad essa? Altrimenti, prova a farlo di nuovo, però con calma, senza stancarti e senza tormentarti. Ogni sguardo pieno d’amore apre a noi questo Cuore che ama; e in questo Cuore c’è tanta pace e ci si sta così bene!” (Ibidem., p. 105).

 

Dopo anni, Sr. Orsola ritornò al dialogo sul tema della fede:

“Ilse, a te che sei così sensibile e profonda, vorrei augurare di poter assaporare le consolazioni e la felicità della nostra fede, la gioia che nessuna altra confessione può dare a un cuore che ama Dio! Oh! se Tu avessi la mia fede, come ti sentiresti felice davanti al tabernacolo! Qui Gesù sotto la specie del pane è realmente e autenticamente presente. Che ore meravigliose avresti passato dinanzi al Santissimo esposto, credendo senza alcun dubbio: <Sto guardando Gesù. Lui è vicino, così vicino a me!>”  (Ibidem., p. 120/121 ).

 

Nella lettera dell’8 maggio 1890, Sr. Orsola esprime un suo profondo desiderio riguardante l’amica:

“Ilse, perdonami se ti scrivo con tanta franchezza, ma più mi sento felice di essere un membro della Chiesa cattolica, che sin dai tempi di San Pietro rimane ferma e irremovibile sulla roccia, sulla quale la edificò Gesù Cristo, tanto più ardentemente desidero  vedere te, che ami tanto il nostro Salvatore, nel seno della sua Sposa, la santa Chiesa” (Ibidem., p. 121).

 

Dopo un intervallo di alcuni anni nella corrispondenza, Sr. Orsola ringrazia Ilse con gioia per la sua lettera:

“Mi sono rallegrata perché in essa ho ritrovato tutta la tua anima e tutto il tuo cuore…” (Ibidem., p. 125).

 

Da quella lettera Sr. Orsola venne a sapere che Ilse viveva in uno stato di travaglio interiore, che tuttavia stava continuando la  ricerca della verità; stava cercando di scoprire ciò che era vero nella Chiesa cattolica e ciò che era vero in quella protestante.

 

Cercando di spiegarle alcuni insegnamenti di Gesù, degli apostoli e della Chiesa cattolica e sottolineando l’infallibilità di quest’ultima, Sr. Orsola stava toccando una verità molto delicata e molto importante, ancora non compresa ne accettata da Ilse:

“Voglio menzionare ancora la questione dell’Eucaristia. Gesù nel Santissimo Sacramento dell’Altare è questo mistero d’Amore, l’essenza d’ogni amore. Fu Lui a istituirla. Vuole essere il nostro cibo. Vuole unirsi  a noi. Si abbassa fino ad assumere la forma di pane. Sarebbe possibile per Gesù  volere che i fedeli preghino non Lui ma un pezzo di pane? Potrebbe essere indifferente per Lui il fatto che i suoi figli non Lo distinguono da un semplice pezzo di pane? Se la Chiesa non è infallibile, ti pongo la domanda: È vero che esiste il Santissimo Sacramento dell’Altare? Se, però, la Chiesa è infallibile – dove sta Gesù? Da voi, nella vostra comunione o da noi, nel Santissimo Sacramento dell’Altare?” (Ibidem., p. 128).

 

È interessante il fine di questo discorso riguardante la dottrina della fede:

“Se ci troviamo nella verità, può essere indifferente a Gesù – a Colui che ci ama più di una madre, a Colui che giorno e notte nel tabernacolo veglia sui suoi figli di questa terra senza essere da loro riconosciuto? Lui ci chiama: <Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò> (Mt 11,28). Potrebbe essere indifferente per Lui il fatto che nulla si sappia della sua presenza? No, Ilse! Lui non poteva darci questo mistero senza il sigillo della sua infallibilità. Ci teneva troppo ad essere conosciuto da i <suoi>” (Ibidem., p.128). 

 

 Madre Orsola termina così questa lunga lettera:

Della mia vita ti posso scrivere soltanto:: <Sono molto felice di poter servire nella casa del mio Signore, sotto lo stesso tetto con il mio Salvatore>” (Ibidem., p. 129).

 

Sappiamo che sin dall’infanzia il tema dell’amore per Gesù presente nell’Eucaristia era sempre presente nella vita di Sant’Orsola. Si comprende dunque che nelle sue lettere scritte all’amica Ilse esso ebbe il posto centrale.

 

Oggi, tuttavia, mi sembra opportuno parlare brevemente anche della partecipazione di Madre Orsola ai diversi Congressi Eucaristici durante i quali continuava l’evangelizzazione della famiglia, evangelizzando i bambini e la gioventù.

 

Voglio riportare soltanto alcuni pensieri della Fondatrice. Potrebbe essere un tema da approfondire in seguito, per esempio in preparazione al Congresso Eucaristico Nazionale.

 

Madre Orsola spesso veniva invitata a vari incontri, anch’essi importanti nel suo apostolato.

 

Il 30.08.1926, nel suo intervento al Congresso Cattolico di Varsavia diceva:

“Mi sembra che oggi non ci sia nessun cattolico che non sia in grado di capire che ai nostri tempi in cui l’immoralità dilaga sempre più tra la gioventù, il lavoro per la rinascita della società vada iniziato dalle fondamenta, cioè dai bambini ancora non contagiati dal velenoso soffio del mondo di oggi" (M. U. Ledóchowska: Wybór Przemówień 1915-1939, p. 115).

 

Ribatte la stessa convinzione il 26 giugno 1927, a Inowrocław, durante il Congresso Eucaristico:

            “Mi rivolgo a voi, madri cristiane, e nella semplicità del cuore vi voglio parlare dei vostri figli e di Colui che ama i vostri figli più di voi, vi voglio parlare di Gesù nel Santissimo Sacramento dell’Altare.

            Siamo d’accordo che oggi l’educazione dei figli incontra difficoltà sempre maggiori. (…) Per questa ragione siamo sempre in  cerca di nuovi metodi e sperimentiamo dei nuovi sistemi educativi, i risultati però sono molto scarsi. Quali dunque sarebbero le cause di tutto questo? Si potrebbero indicarne molte, tuttavia vorrei parlarvi soltanto di una di esse, la più importante: <Noi teniamo i nostri figli lontano dalla fonte di ogni dono e di ogni grazia, dal Datore di ogni bene, da Gesù nel Santissimo Sacramento dell’Altare. (…) Care Signore, qui dobbiamo batterci il petto. Diciamoci questa verità tanto dolorosa: ci manca la viva fede nella presenza di Gesù nel tabernacolo… (Ibidem., p. 80).

           

Madre Orsola voleva attirare tutti a Gesù Eucaristico e con grande ardore preparava le allieve della Scuola di Pniewy alla partecipazione al Congresso Eucaristico Nazionale.

 

Nel 1930, qualche mese prima del Congresso, scrisse un importante articolo sulla rivista “Dzwonek Św. Olafa” (Campana di San Olaf):

            “Di fronte all’indifferenza di cui il mondo di oggi circonda Gesù-Ostia, la santa Chiesa (…) organizza i Congressi Eucaristici, attraverso i  quali rende la lode e la gloria dovute dalle creature a Gesù-Ostia, e di cui il mondo è così parsimonioso nei riguardi di Colui al Quale  è dovuta tutta la felicità sulla terra” (VII, 1930).

           

La Madre continuò scrivendo così:

            “Nel mese di maggio di quest’anno a Cartagine c’è stato un magnifico Congresso Eucaristico Internazionale. (…) Ora ci attende il Congresso Eucaristico Nazionale a Poznań. Abbiamo fiducia che anch’esso sarà in grado di infiammare i cuori dei partecipanti ad un più ardente amore per il Signore dei Signori” (Ibidem).

 

Lo scopo delle parole appena citate non era una mera informazione. Madre Orsola, un’apostola piena di zelo voleva avvicinare a loro l’idea dell’evento:

            ”Mie care <Olafitki>, voi che parteciperete al Congresso Eucaristico di Poznań, e anche voi che non potrete esservi presenti – le une e le altre partecipate al Congresso col cuore e coll’anima, intensificando i vostri sforzi per rinnovare la vostra fede nella presenza di Gesù nel tabernacolo.

            Oh! Se la nostra fede fosse davvero viva! Crediamo, sì, ma come? La mia fede mi dice che Gesù, mio Signore, mio Dio, mio Fratello, mio Consolatore, mia Forza, mia Luce, Vita della mia vita, mio Tutto sta nel tabernacolo! Ma questa verità importa a me così poco perché nulla mi attira a Gesù!  Ho una chiesa così vicino, pochi passi da casa,  ma non vado a trovare Gesù! Trovo tempo per ricevere tante visite ma mi costa offrire alcuni istanti a Gesù. (…)Puoi cercare dove vuoi la felicità, però mai troverai una felicità maggiore del trasporto di un’anima immersa in una silenziosa preghiera davanti al tabernacolo. Là nel modo più sicuro troverai forza nella debolezza, consolazione nell’angoscia, consiglio nel dubbio, felicità nella croce – basta che tu sappia alzare a Cristo il tuo sguardo di fede e di amore” ( M. Urszula Ledóchowska: Wybór Artykułów, p. 92).

 


 

Quanto ho detto non esaurisce l’argomento, anche se ho parlato a lungo. Il mondo spirituale di Sant'Orsola è un tesoro inesauribile. E’ tanto difficile scegliere ciò che è  più importante o  più interessante. Lei in ogni circostanza amava tanto Dio e i fratelli. Perciò non ci stupisce che poco prima di morire abbia detto : “Amo Gesù e ho la pace.”

 

Voglio concludere questo mio semplice intervento con le parole molto significative di Pio XI e di Giovanni Paolo II.

 

Il Papa, Pio XI, dopo la morte di Madre Orsola, disse:

“Lei (Madre Orsola ) è come la presenza di Dio, La si incontra ovunque” (A. e T. Szafrańscy, op. cit., p. 23).

 

Molti anni dopo, il Santo Padre, Giovanni Paolo II disse: 

Ai suoi tempi fu apostola della nuova evangelizzazione, dando con la sua vita e con la sua attività prova di una costante attualità, creatività ed efficacia dell’amore evangelico.(…) Fu un’anima eucaristica, quello che era ordinario, lo faceva diventare straordinario; ciò che era quotidiano lo mutava perché diventasse perenne; ciò che era banale lei lo rendeva santo.” (Omelia per la Canonizzazione, 18.05.2003).

 

- di suor Domenica Godlewska, S.C.G.A.

 


"Un'anima eucaristica"