TANZANIA

 

CRONACA DELLA  MISSIONE 

 


 

La cappella della Comunità

            

    Nei nostri desideri più grandi c'è la realizzazione della costruzione della cappella per la comunità. Una chiesetta che sia posta al centro della Missione.

Oggi, 1 luglio, festa del Sangue di Cristo. Abbiamo iniziato a prendere le misure con l'aiuto di Mario Lemmo, arrivato dall'Italia. Una prima difficoltà è il dover portare l'acqua dal lago, perché nel pozzo non la si può prendere, altrimenti non basterà neppure per bere e cucinare.

Quando nel villaggio si sa che abbiamo qualche difficoltà, subito arrivano tante persone, piccoli e grandi, anche di quattro-cinque anni, a chiedere di fare qualche lavoro per avere soldi o altre cose che, pensano, possiamo dare loro come compenso. A portare l'acqua, insieme ai fratellini, viene sempre un bambino che avrà forse tre o quattro anni che porta sulla testa un piccolo recipiente. Lungo la strada, l'acqua che dovrebbe portare fino a noi, se la butta tutta addosso e arriva tutto affannato col viso e i vestiti completamente bagnati. Abbiamo fatto le foto tanto ci è sembrato simpatico vedere questo bimbetto che anche lui lavora per guadagnare..."il suo pane quotidiano ... col sudore della fronte", cioè gocciolante la fronte di acqua.

Una cosa interessante è vedere lavorare uomini e donne di tutte le religioni per la nostra chiesetta. Ci sono cattolici, protestanti, musulmani, pagani... Ieri circa trenta donne che lavoravano a scuola, non avendo più bisogno dell'acqua raccolta, e, avendo finito il lavoro, sono venute portando le loro zucche sulla testa, piene d'acqua per noi. E' stato un momento molto bello, perché anche loro erano felici di poterci dare una mano.

 

La fretta di finire il lavoro più difficile prima della partenza di Mario, mi tiene tutto il giorno occupata con gli operai, cercando di stimolarli con ogni mezzo, dando ogni tanto qualche cosa da mangiare. Mi rendo conto che non finiremo. Chiamo le suore, le ragazze nostre e tutte insieme ci mettiamo lì a spaccare le pietre, a trasportare sacchi di cemento, ma il lavoro è troppo pesante per noi. Non è facile rimescolare la sabbia col cemento per preparare la malta. Stavo male a vedere che la fatica superava le forze di noi donne. Intanto bisognava finire la gettata. Io stessa mi sentivo cadere dalla stanchezza e pensavo: "Signore, che faccio? Dico di smettere?" Mi volto e vedo un nostro operaio che aveva dimenticato il suo giacchetto. Questi, vedendo che impastavamo noi, per poter finire, prende la cariola piena d'impasto e aiuta a Mario che la gettava a terra per fare il pavimento. Poco dopo arriva il "Katibu" con altri tre amici suoi i quali desideravano parlarmi, ma vedendoci tutte prese e affaticate nel lavoro, si mettono anche loro ad aiutare con la pala e a impastare. Poi viene un ragazzo luterano che studia per essere pastore e anche lui si dà da fare per aiutare. Alla fine, circa in quindici eravamo lì, tanto che Mario non riusciva a seguire le nostre "volate". Era lui a rimanere indietro. Abbiamo finito! Stanchissimi tutti. Ci siamo guardati, sorridenti e soddisfatti. Domani è domenica e ci servirà per riposare. Alleluia! Abbiamo visto il Signore darci la sua mano.

Come abside, abbiamo deciso di fare un muro alto, solo con pietre grandi, che serva a dividere l'altare dalla sacrestia. Non ero pratica della difficoltà di costruire un muro tutto di pietre e per giunta, a semicerchio. Ero sicura, però, che alla fine sarebbe risultato semplice, senza pretese, originale, anche se rudimentale. Siamo d'accordo infatti, con Mario, di fare una cappella povera, ma bella. Tutta la costruzione è di cemento e il tetto sarà di lamiere come alcune capanne del villaggio.

Mario è forte - grazie a Dio - e da solo si carica di un masso che gli operai riescono a portare solo se sono in tre.

Siamo arrivati a metà della costruzione sia all'esterno che col muro di pietre all'interno. Dovremo continuare ad alzare il muro, quando Mario riparte. Da sola metto una fila di pietre rosse al muro, dato che Mario aveva detto che non potevamo andare più in alto col muro, ma poi ci siamo rese conto che il sacerdote, quando si sarebbe vestito, sarebbe sembrato decollato alla vista della gente seduta nei banchi. Ci siamo decise ad alzarlo di un altro metro.

Abbiamo il grosso problema della mancanza di un carpentiere, capace di mettere il tetto. L'operaio che si diceva specializzato, ha fatto un lavoro da dover essere licenziato, secondo il consiglio del missionario. Egli non voleva neppure provare a fare un po' diversamente il lavoro, perché diceva che andava bene così...

Il muro è stato rifinito con le pietre rosse, ma è stato anche alzato di un metro. Ad opera finita sembra di vederlo come lo avevo desiderato. Dobbiamo mettere assolutamente il tetto, ma dobbiamo lasciare per un poco questo lavoro per preparare la festa dei voti perpetui di suor Maria Teresa Tesha.

La festa riesce benissimo con la partecipazione di tanta gente. A distanza di tre mesi circa dall'inaugurazione, un'altra festa ci mette tutte sottosopra. Di nuovo bisogna preparare la liturgia, l'accoglienza degli ospiti che verranno da lontano. I genitori e i parenti di sr. Mary, dovranno venire da Moshi e da Singida. Verranno i seminaristi, le suore, gli amici..., ma la gioia grande per la consacrazione religiosa della prima suora Orsolina africana, sorpassa ogni fatica. Riviviamo quasi con la stessa intensità e con lo stesso entusiasmo la festa del 24 giugno, ma più intima spiritualmente, più sentita, più raccolta. La gente è tanta e la commozione intensa.

Alla sera, quando tutti vanno via, ci ritroviamo in comunità serenamente stanche e nonostante la stanchezza desiderose di pregare per ringraziare Dio per questo grande dono e, assieme alla suora, pregare per la fedeltà fino alla fine e fino in fondo. Il giorno dopo la suora va a salutare i missionari a Itigi con la sua famiglia e dopo parte per Moshi, perché i genitori desiderano festeggiare anche nella loro parrocchia la consacrazione religiosa della loro figlia.

            Le abitudini della gente della Tanzania non consentono vedere una donna fare lavori che per loro sono considerati occupazioni di operai specializzati che loro chiamano "fundi". E' quasi uno scandalo. A maggior ragione, se si tratta di una donna bianca e, per giunta, superiora della Missione. Le suore non dovrebbero né portare in testa, né aiutare gli operai a costruire e neppure aggiustare una porta o un tubo che perde... Le suore europee poi, dovrebbero forse solo comandare, secondo loro e invece ci vedono che costruiamo, lavorando con gli operai e come gli operai... Per il fatto però, che si condivide la fatica, gli operai fanno il lavoro più volentieri e non siamo costrette a rifarlo perché gli sbagli si vedono subito.

Le mura della chiesetta sono state terminate, così pure il muro interno. Ora aspettiamo chi potrà aiutarci a mettere il tetto. E aspetteremo un anno. Come vorremo che per Natale si potesse pregare nella chiesetta, anziché fuori..., e invece..., il Natale passa e il lavoro non viene finito. Chi ci aiuterà? Padre Ernesto, più competente dei nostri operai, ha detto che le capriate sono state fatte male e allora lui ha preso l'impegno di far rifare il lavoro a Itigi e poi ci aiuterà a montare il tetto. Deo gratias! Finalmente sarà fatto. Chissà se quando tornerò dall'Italia troverò il tetto finito?

Mentre sono a Roma, durante il mese di maggio, il sacerdote con i suoi operai prepara il tetto. A lavoro finito la chiesa risulta in po' buia, ma una porta di vetro, venuta dall'Italia, ci aiuta a risolvere un poco il problema. La luce è sufficiente anche così... Le finestre sono state fatte a forma di croci e in tutto sono quattordici, perciò sul vetro sono state dipinte le stazioni della Via Crucis con una frase da leggere dalla S.Scrittura all'altro braccio della croce stessa.

Nel mese di luglio ritorna Mario e si pensa a fare il pavimento e l'intonaco alle pareti. Il tempo limitato che Mario ha per restare da noi, non gli permette di finire il pavimento. Prendo questo inconveniente come un desiderio di Dio che io aiuti a rifinire la nostra cappellina. Di fatto con l'aiuto di due operai, di cui uno si brucia due dita e non può più aiutarmi, finiamo di mettere le mattonelle davanti all'altare e prepariamo anche l'altare, mettendo sul pannello davanti una terracotta che riproduce Gesù agonizzante nell'Orto degli Ulivi. Finiamo il pavimento con un operaio che deve essere diretto  nel lavoro che facciamo, perché qui non c'è nessuno che sappia mettere le mattonelle. Proprio non esiste. Forse si troverebbe a Dar es-Salaam, ma qui..?

Ma io cerco sempre di risparmiare e il risparmio come  esercizio di povertà, mi sta diventando il "pane quotidiano".

Faccio fare i banchi da un falegname che: "chi si contenta, gode", dice il proverbio, ma intanto la chiesa è quasi pronta per celebrare la festa del Natale 1993.

            Con la venuta di sr.Jolanta Olech pensiamo di andare dal vescovo a chiedere se può benedire la nostra chiesa. Il vescovo dice che potrà venire il giorno 23 dicembre. Anche questo è un segno per me. Forse avremo la Santa Messa e potremo celebrare il Natale di Gesù nella nostra Missione.

            Quando dico che non posso lasciare facilmente la casa, perché temo di trovare al ritorno non so quale guaio, qualcuno sorride dicendomi che sono una "selvaggia" o una "monaca di clausura". Forse anche questo è vero, ma purtroppo è l'esperienza che mi fa pensare così. Di fatto, quando sono tornata dalla visita al nostro vescovo, ho visto la stalla delle mucche rasa dal fuoco... Volendo bruciare la paglia che invadeva il campo, la suora con le ragazze si sono messe a dare fuoco, ma con la forte calura del mezzogiorno, e così il fuoco ha attaccato la stalla abbastanza grande, dove pensavamo di allevare almeno 10/12 mucche. Ebbene! Che fare? La mancanza di responsabilità e la disattenzione è il problema che non mi permette di lasciare con tranquillità la casa. Unica cosa di cui non debbo preoccuparmi , perché sanno fare abbastanza bene, è zappare, poiché a scuola invece di andare con la penna di solito, vanno con la zappa, fin dalle elementari. Manca l'esperienza! La pazienza di insegnare è la fatica quotidiana più pesante, ma viviamo nella speranza di vedere crescere questa gente e di vederla diventare indipendente e autosufficiente. Del resto, il lavoro di 25 anni - in Roma - con le ragazze di casa-famiglia, non è che fosse meno pesante, da questo punto di vista.

 

Tornando alla chiesetta, cosa manca ancora? La porta, messa prima del pavimento, che risulta troppo grande. Bisognerà tagliarla alla base per dare spazio al pavimento con le mattonelle. Ma come? Il falegname non è più tornato e qui non c'è nessuno che possa aiutarmi... Stesa a terra, cerco di togliere almeno dieci centimetri alla porta. Taglio senza staccarla, perché non ho la forza di tirarla in su. La dottoressa Luciana mi da una mano, ma dopo un poco la vedo gocciolare sudore da tutto il viso. E' difficile lavorare così, ma debbo farcela e di fatto riesco a tagliare quanto mi basta per finire il pavimento davanti all'entrata. Un giorno di lavoro e... un mosaico di mattonelle viene sistemato... Un mosaico, perché le mattonelle sono finite e sono rimasti solo alcuni ritagli. E poi? C'è anche uno scalino che deve essere ricoperto di legno-tutto intorno alle pareti... Anche questo lavoro è un'impresa per me, che di forza fisica non ne ho molta... Alla fine però in maniera molto imperfetta, all'occhio di chi è abituato a vedere lavori rifiniti, finisco come posso. Sono contenta e lo siamo tutte noi, perché in chiesa possiamo andare a pregare ogni giorno.

Il tabernacolo  c'è. Il vescovo viene a benedire e ci lascia Gesù-Eucaristia. Una lampada al cherosene arde notte e giorno e anche se non abbiamo la S.Messa così spesso, abbiamo però il luogo del nostro appuntamento con il Signore dove ci riuniamo quattro volte al giorno per lodare, benedire e ringraziare il Dio della nostra vita.

            Il nostro scopo è si, aiutare i poveri, ma è soprattutto evangelizzare, senza imporre nulla, cercando di andare al passo con loro. Intanto anche per avvicinare più persone dobbiamo fare il lavoro sociale. Purtroppo, ciò che è più immediato e concreto, risulta subito attraente e in modo particolare qui, dove si ha bisogno di tutto.

 

E' così che il lavoro sociale si allarga sempre di più. Gli operai, ogni giorno vengono a chiedere di poter lavorare. Hanno bisogno di qualche soldo per mangiare, per comperare un poco di granturco e fagioli. A volte dobbiamo inventarci, cosa far fare e quando sono anziani, non li rimandiamo a mani vuote, diamo loro un cappotto, un paio di pantaloni, una camicia, qualcosa da mangiare. Anche il lavoro pastorale si allarga sempre di più, perché oltre a Mkiwa, abbiamo alcuni villaggi dove andiamo. Ma le abitudini sono tali che, andando per l'insegnamento catechistico, o per la liturgia, bisogna sempre portare medicine e vestiti...

Abbiamo l'insegnamento della catechesi sacramentale per le donne che sono conviventi di uomini cattolici, ma loro sono musulmane, e debbono ricevere il battesimo per celebrare il matrimonio. Ci sono i ragazzi della scuola elementare che ricevono lezioni di religione. Ci sono i cori liturgici dei giovani e dei più piccoli. La catechesi per i catecumeni, per i giovani che debbono sposare; i gruppi pastorali: "le figlie di Maria" e le donne di "S.Anna", i chierichetti e le nostre aspiranti alla vita religiosa, che ricevono ogni giorno le lezioni per la loro formazione...

Il lavoro, le preoccupazioni, le difficoltà nostre e i problemi della gente, potrebbero farci perdere di vista l'evangelizzazione, scopo primario del nostro inserimento come missionarie tra i poveri, ma cerchiamo di non trascurare questo aspetto anche se la tentazione di cambiare il Vangelo di Gesù Cristo, con un "Vangelo sociale", mirante al solo miglioramento delle condizioni materiali di vita dell'uomo è forte. Gesù tuttavia, con la sua risposta a Satana: "non di solo pane vive l'uomo", ha affermato il primato degli interessi spirituali su quelli contingenti. E la fede ci ricorda che, se noi cerchiamo "soprattutto il Regno di Dio, tutto il resto ci sarà dato in sovrappiù..." (Mt 6,33). Naturalmente, come singole e come comunità, abbiamo bisogno di non trascurare - per riuscire in questo - il nostro contatto continuo e profondo con Gesù, fonte di tutta la nostra attività apostolica, e per restare fedeli a Lui e alla Sua Volontà.

 

 


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