Itigi, 30.03.92

Carissime consorelle

     Sr. Rita vi aveva già accennato nell'ultima circolare (10) che vi avrei raccontato un fatto accaduto proprio in questi giorni nell'ospedale di Itigi.

     Non so se siete a conoscenza che in Tanzania molti sono i bambini che vengono ricoverati "per ustione" più o meno grave. Bene, la mia storia riguarda proprio un bambino di sei mesi che è arrivato in ospedale con una ustione grave agli arti inferiori. Appena l'ho visto ho capito che la cosa era grave e che un piedino già stava andando in gangrena, ma non mi sono pronunciata. Dopo qualche giorno il chirurgo ha fatto capire alla mamma che la guarigione del bambino dipendeva molto dall'amputazione delle parti ormai morte e cioè un piedino, le dita dell'altro piede e due dita di una mano. A questa proposta del medico la mamma cominciò a piangere disperata. Io mi avvicinai per cercare di spiegarle la necessità dell'intervento e lei mi disse che "il suo spirito soffriva molto", perché lei fa parte di una tribù (Barbaici) dove non è lecito essere storpi, per cui se al bambino veniva amputato un arto non avrebbe potuto mai più tornare nel suo ambiente (un bambino senza un arto che viene portato nel villaggio dei Barbaici sarà subito ucciso). Inoltre nessuna madre può allattare un figlio handicappato perché diventerebbe lei stessa "impura".

     La mamma pertanto che conosceva la rigida legge della sua gente non vedeva soluzione al problema. Il suo cuore di madre non voleva abbandonare il figlio, ma lei come donna non potrebbe vivere senza un uomo che la protegga (padre, fratello, marito) e..., purtroppo tutti gli uomini della sua tribù non accettano figli storpi.

     Cercai allora di parlare col padre del bambino..., ma lui con poche parole mi fece capire che era meglio di farlo morire. (E' da premettere che la gente di questa tribù è nomade e passa la maggior parte della loro vita ad allevare le mucche, andando da una parte all'atra della Tanzania; pertanto chi non cammina bene non può far parte della tribù). Il padre vedendo la mia insistenza nel cercare di curare il bimbo, chiese di portare via il bambino. Sapendo come la pensava capii che appena fuori dell'ospedale avrebbe ammazzato il bambino, per cui mi opposi a dimetterlo dall'ospedale.

Quel giorno ero triste, scoraggiata e preoccupata per non trovare la soluzione al problema. Mi assillava un pensiero;...se non si fa l'amputazione il bambino muore... se si fa l'amputazione il bambino viene ucciso... che fare ?

     Comunicai il caso al direttore sanitario, gli spiegai la situazione, lui si rivolse al capo del villaggio di Itigi spiegando tutto. Il capo del villaggio parlò con il padre del bambino dapprima per convincerlo ad accettare il figlio anche senza un piedino, poi davanti alla decisione irremovibile del papà, gli propose di lasciare il bambino in ospedale finché sarebbe guarito per poi affidarlo ad un orfanotrofio dello stato. Il padre accettò..., per la madre invece fu difficile accettare questa soluzione. Mi ripeteva ogni giorno che il suo "spirito" piangeva e che aveva "un forte dolore nel cuore". Restò accanto al bambino fino al momento dell'amputazione; dopo, poiché per le leggi tribali non avrebbe più potuto allattarlo, con le lacrime agli occhi salutò il suo bambino. Prima di partire lasciò in una bottiglietta un pò di latte "tirato" dal suo seno, poi mi affidò il figlio chiedendomi di curarlo come una mamma.

Tutto il personale dell'ospedale si è commosso di fronte a questa mamma, costretta, dalle leggi della sua tribù, a comportarsi in maniera opposta a quella dettata dal suo cuore..., e adesso tutti collaborano affinché il bambino guarisca.

     Che ve ne pare ?... L storia però non è finita qui... è cominciata infatti da 15 giorni la seconda parte e cioè come vive il bambino "abbandonato dalla mamma".

     Dopo l'intervento di amputazione è stato dato al bambino il latte che la madre aveva lasciato nella bottiglia. Il bambino l'ha bevuto volentieri. I problemi sono iniziati quando abbiamo cominciato a somministrargli latte in polvere adatto per la sua età: c'è stato un rifiuto categorico: chiudeva la bocca e non c'era possibilità di introdurgli una goccia di latte. Pensando che fosse un problema di gusto abbiamo provato con il latte di mucca: stessa risposta. Si è provato a darlo col bicchiere, col cucchiaio, col biberon..., stessa risposta. Abbiamo pensato allora di mettergli un sondino nasogastrico per somministrargli il latte anche contro la sua volontà..., il bambino risponde a questo atto di forza con il vomito..., le flebo da sole non bastano; ogni giorno che passa vediamo il bambino deperire, gli occhi infossati..., vuole morire; "quello che non aveva fatto l'ustione grave l'aveva fatto l'abbandono della mamma..."

     Dopo alcuni giorni in cui noi tutti siamo in ansia per la vita del bambino, un'infermiera, vedendolo, sente un "tuffo nel suo cuore" (così riferisce), e comincia ad allattarlo (lei infatti ha una bambina di tre mesi). Il nostro piccolo paziente si "attacca"al seno e "ingoia" più latte possibile.

     Da quel giorno lui beve volentieri solo alla mammella della "sua" infermiera. Ogni altro cibo gli viene dato "per forza" attraverso il tubo nasogastrico.

CHE SARA' DI QUESTO BAMBINO ?.., ve lo farò sapere tra qualche mese.

     Non so quando vi arriverà questa lettera. Vi auguro, anche se arriveranno in ritardo, gli auguri di una S.Pasqua.

Ci affidiamo alle vostre preghiere.

Con affetto

suor Incor e comunità.

(Con me adesso oltre a sr.Paulina c'è anche una delle ragazze candidate che sta imparando a lavorare in laboratorio.)