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Tagaytay 1 agosto 2004
(6° lettera)
Carissimi Amici,
Vi saluto uno ad uno e vi auguro una efficace vacanza. Qui nelle Filippine è tempo di piogge e tifoni e il lavoro dell’anno scolastico e lavorativo è in pieno corso. Pertanto anche le attività apostoliche hanno ripreso il ritmo. Voglio con questa lettera raggiungervi, facendovi partecipi dello svolgimento del nostro lavoro in terra Filippina, soprattutto per quanto riguarda il lavoro con la gente più bisognosa. Inoltrandomi nella realtà delle adozioni, sono venuta alla conclusione che non basta solo dare un aiuto materiale ai bambini, ma aiutare la famiglia a costruirsi una vita decente, anche sotto l'aspetto cristiano. La vera povertà, per molta gente, non è solo e tanto quella della mancanza di cibo, casa vestito, perché in un modo o nell’altro, si sanno arrangiare, ecc… ma è ben altra, causata dalla storia di questo popolo, dalle dominazioni e sfruttamenti, che ha subito nel corso dei secoli, dalla mancanza di attenzione e cura per l’educazione, nella formazione umana e civile. Realtà, che hanno radicato nel tempo certi modi di fare e di essere e che difficilmente oggi si risolvono con la sola pietà e quattro soldi. Ma tutto questo non deve lasciarci indifferenti; bisogna fare quello che possiamo. Ecco alcune situazioni di cui sono venuta a conoscenza e che comunico a voi così, come io le vivo:
Molte coppie dei genitori convivono; non sono sposati, perché non hanno i soldi per farlo e qui fare il matrimonio senza festa, senza soldi per molti è inconcepibile (per capire bisogna entrare nella loro cultura e mentalità, tanto radicata nelle tradizioni). A me fa rabbia, ma bisogna saper uscire dalla proprie occidentali concezioni della vita per accettare il diverso. Ora crediamo opportuno avviare un lavoro di sensibilizzazione al matrimonio cristiano, con una pastorale che permetta a queste coppie di prepararsi al matrimonio e infine celebrarlo in Chiesa. E’ già in atto l’usanza, che una volta all’anno le parrocchie organizzano le celebrazioni dei matrimoni di coppie che desiderano il matrimonio cristiano, non fatto a suo tempo. Naturalmente, dobbiamo anche contribuire economicamente a tutto ciò.
Un’altra realtà, alla quale sto volgendo l'attenzione è quella di aiutare un bambino ad essere seguito dallo psicologo (e come lui, ce ne sono molti da dover essere aiutati), per recuperare in lui la deficienza causata da uno schok nel vedere il fratello morire in un brutto incidente stradale. Ora il bimbo ha dodici anni e fa fatica nella scuola per apprendere. Una signora lo ha adottato e manda per lui i soldi necessari per pagare la scuola, ma se volessi mandarlo dallo psicologo, ha bisogno di altri soldi (non voglio dare speranze in anticipo alla famiglia prima ancora di sapere se posso o no aiutarlo concretamente).
Vi è anche un altro caso di un bambino - ragazzo ormai di 15 anni - poliomielitico. Sta in casa (per casa si intende una catapecchia di lamiere, su terra battuta, e convive con altri 6 fratelli e sorelle, tutti insieme sul pavimento umido). Quando vado a trovare la famiglia, lo trovo rannicchiato sul pavimento, a volte con il legaccio alla caviglia, per non farlo scivolare fuori di questo spazio. Quando il tempo lo permette, lo adagiano su una carrozzella sgangherata, arrugginita e mal ridotta (cose del genere usiamo vederle solo nello scarto di ferri vecchi). E’ inutile descrivere le condizioni igieniche e fisiche: gambe e braccia: solo ossa e pelle, accartocciate e senza forza… Il ragazzo non parla, non si sa se sente, se capisce; solo i suoi occhi grandi ti scrutano e, come in un libro aperto, puoi leggervi dentro quello che vuoi, quello che il cuore in quel momento ti detta. E’ certo: fa una grande pena e non so quanto di recuperabile vi possa essere. Mi sto chiedendo, se è bene farlo visitare dal dottore (non e’ stato mai visitato per mancanza di soldi), portarlo eventualmente in qualche istituto. Anche se mi chiedo se sia bene offrire un luogo, dove possa stare meglio fisicamente e poi, magari gli manca la sicurezza, l’affetto, la cura materna della famiglia, anche se nella più nera povertà. Non lo so... sto cercando una soluzione e mi interrogo, quale sia la migliore!
Attualmente ci stiamo occupando anche dei carcerati e, naturalmente come prevedevo, queste visite non si fermano alla sola preghiera, al solo sorrisino o stretta di mano; le persone che cominciano ad avere una certa fiducia in te, cominciano ad aprirsi e a farti partecipe di quelle realtà più profonde del loro animo, comunicano le esperienze di vita, ciò che li ha portati a quel punto, ciò che provano, ciò che vorrebbero. Ti si stringe il cuore nel conoscere tutto questo, e ancor di più, nel conoscere la procedura, con la quale vengono affrontate le loro cause: il povero resta sempre più indietro, passa anni e anni in carcere, senza che qualcuno possa aiutarlo nel portare a termine il caso di pena. Chi invece ha soldi può pagare il giudice e l'avvocato e tutto si risolve in breve tempo. Una dinamica che sconvolge l'animo, perché non riesci a capire, dove sia la verità e quale la cosa più giusta da fare. E’ difficile capire - in verità - chi sta sia nel giusto, chi è sincero, o chi fa tanta scena per commuovere e poi fregarti. E’ certo, che con facilità noi si pensa, che se uno sbaglia, deve pagare e ce ne laviamo le mani con soddisfazione, perché in questo caso non dobbiamo fare niente, ma stando fra loro sto imparando, che la carità cristiana deve essere praticata soprattutto, dove vi è ignoranza, povertà reale materiale, morale e spirituale e bisogna saper pagare di persona. Aiutare chi ha veramente bisogno; i soldi sono solo una parte - è vero - e fondamentalmente secondaria direi, ma la fiducia, la vicinanza affettiva e sincera, l'accoglienza dell'altro nei suoi sbagli, l'incoraggiamento a guardare con speranza il domani, a riacquistare in se stessi la fiducia... Ultimamente il mio amico mi ha scritto: “Sister, mi sto chiedendo se sono un buon uomo o no, sister, dimmi tu se io sono davvero un buon uomo!...” e alla fine della lettera: “Spero risponderà alla mia domanda.” Lui sta in carcere per droga! Cosa pensare di ciò, che passa nel suo animo? del suo desiderio di essere diverso e l'incapacità di aiuto che trova in un ambiente, dove è ammassato come un animale, dove la dinamica della convivenza presenta molte difficoltà di relazione, dove nessuno si interessa di lui, dove è guardato come un criminale, dove è segnato a dito da una giustizia corrotta, che guarda solo ad avere soldi per risolvere il suo caso? Mi chiedo, quale ruolo abbiamo noi in queste circostanze. Ho parlato con il nostro vescovo di questo caso. Lui è sensibile e premuroso per organizzare nella diocesi una pastorale specifica per i carcerati e, insieme ad un seminarista della sua diocesi, ci siamo messi in moto per vedere concretamente cosa fare per aiutarlo. Cominciare ad andare dalla famiglia e poi vedere come procedere... passi lunghi, rischiosi, forse che non portano a niente, ma io voglio aiutarlo in quel che posso. Certo, in ultima analisi, essere pronti anche a pagare l'avvocato o il giudice se le condizioni saranno propizie per aiutarlo ad uscire fuori. Sono progetti, idee che iniziano appena a sbocciare concretamente. E’ certo, che avrei bisogno di un fondo finanziario per aiutare nei momenti e casi opportuni.
Un’altra realtà che ci sfiora spesso e che non ci lascia indifferenti, è questa: ci sono molti ragazzi che studiano, o che vogliono studiare per diventare sacerdoti. Vengono spesso da isole lontane e si ritrovano, a volte, a dover sospendere gli studi per mancanza di soldi. Fanno una pena enorme, quando si devono umiliare per chiederti un aiuto, mentre ti raccontano le loro vicende; leggi nei loro occhi la speranza di trovare uno sponsor per il loro studio. A volte, soffrono anche la fame, oltre le ristrettezze del vivere giornaliero. Ma come fare per rispondere a tutte le loro esigenze? Mi rendo conto, che aiutare questi ragazzi non è solo aiutarli a diventare sacerdoti (anche se spesso di sacerdozio no se ne fa niente, perché scoprono che la loro vocazione è quella su altre strade), ma aiutarli soprattutto a farsi una cultura, che li aiuti nella vita ad essere qualcuno che conta, a sentirsi realizzati almeno umanamente e avere la possibilità di trovare un lavoro, di farsi una famiglia che assicuri almeno l’indispensabile ai figli ecc., senza dover cercare fuori patria il sostentamento minimo per sopravvivere!
Carissimi, queste sono alcune considerazioni che facciamo noi qui e che condivido con voi tutti. Se credete opportuno darci anche una mano concretamente, ve ne saremo grandemente riconoscenti.
Due ragazze filippine sono entrate a far parte della nostra comunità (naturalmente iniziano col fare l’esperienza vocazionale, e poi si vedrà…), ma con esse nasce la speranza di un lavoro sempre più efficiente per questa popolazione. Pregate per loro e per noi e che il Signore ci faccia sempre più capire il valore della solidarietà, dell’amore fraterno, e ci renda disponibili al suo richiamo: “amatevi come io vi ho amato”. Con un grande saluto per ognuno di voi vi ricordo con affetto.
Sr. Margherita