URSULINE SISTERS  AHJ

 212 VER SUBDIVISION

Maitim 2nd East

4120 TAGAYTAY CITY

PHILIPPINES

FILIPPINE

Lettere agli Amici


 

Tagaytay  23 febbraio 2004

(5° lettera)

Carissimi Amici,

     voglio inviarvi alcuni stralci di lettera che ho scritto ad alcuni amici appena fatta la prima esperienza della visita in carcere. Sono sensazioni che trascritte al caldo sono particolarmente toccanti. Ma adesso che sono già tre volte che faccio questa visita ai carcerati, le cose cambiano un po'. Adesso il contatto umano è più sentito, e ci si rapporta in maniera diversa. Ieri attraverso le sbarre sono passati inaspettatamente piccoli gesti di condivisione, che mi hanno commosso: mi hanno regalato qualche piccolo lavoro fatto con le loro mani con pezzi di giornali; uno di questi accompagnato da una letterina, nella quale un detenuto ha presentato la richiesta di preghiera per il suo caso: per il processo che dovrà avere. Poi si firma così: "Your new friends, Lowell Salanid". E l'amicizia per lui è nata e sentita solo dal fatto di vedermi presente al di là delle sbarre. Io l'avevo individuato fra i tanti, solo perché volgendo lo sguardo su quella massa di volti che avevo davanti,  uno di loro mi ha elargito un grandissimo sorriso e un accenno di saluto con la mano al quale ho risposto a mia volta col sorriso. Oggi è proprio lui che mi ha inviato un bel cigno fatto con le sue mani. Mentre me lo consegnavano e leggevo la letterina mi sono girata verso la grata e l'ho intravisto. Era lì, proteso a guardare la mia reazione; appena ricevuto il mio sorriso come segno di ringraziamento e facendole segno di aver capito, ho visto brillare i suoi occhi. Penso di avergli procurato un po' di gioia. Ora però devo mantenere la promessa della preghiera e lo farò, ma vi chiedo se tutti voi potete aiutarmi, prendendo a cuore questa persona pregando per lui e anche per tutti gli altri detenuti (penso che anche questo possa essere una specie di adozione spirituale.., potrei inviarvi dei nomi per i quali impegnarsi a pregare, può essere una idea no? Che ne pensate?).

Non parliamo poi di alcune delle donne, specie della ragazza di 22 anni. Ella si stringeva forte a me piangendo sommessamente e più volte mi ha chiesto di non dimenticarla. Alla fine mi ha dato anche lei il cuore fatto con i soliti giornali dove è stato scritto il suo nome: “Shara” - "Because you not forget me" mi dice (vedi la foto).

    Le ho anche detto che forse domenica prossima non potrò andare e l'ho vista subito rattristarsi... penso che farò del tutto per riandarci! Vi è anche una donna incinta di 7 mesi. A lei abbiamo portato le pasticche di vitamine e il latte in polvere per rinforzare il bambino (non hanno cure mediche, non hanno chi li rieduca, non hanno a volte parenti che possano andare a trovarli, perché provenienti da isole lontane). Come far finta di niente?

 

Ecco la lettera che ho scritto con le  prime sensazioni: Imus  8 febbraio - 2004

 

"Per la prima volta sono andata a trovare i carcerati filippini in una città vicina. E letteralmente sono rimasta scioccata.

Con due seminaristi del PIME e alcune catechiste della cattedrale di Imus (che già da tempo hanno avviato questa attività di volontariato nel carcere), sono andata la domenica pomeriggio a vedere cosa si fa con queste persone carcerate. Pensavo di andarci almeno una volta per rendermi conto di questa realtà, così solo per vedere… E' stata fatta una paraliturgia, nel corridoio tra una cella e l'altra (così stretto che la terza persona fa fatica a passarvi se ce ne sono già due)… E’ stata fatta la  lettura della Parola di Dio, proclamata dagli stessi detenuti, i canti, la Comunione e alla fine ricreazione con canti mimati... Guardavo sbalordita la folla di uomini che si accalcavano nella cella – più di 50 in pochi metri quadrati. Con letti a castello uno attaccato all’altro, occupanti tutta la parete della stanza (ne ho visti di simili solo al campo di concentramento visitato in Polonia), più che letti sono  tavole arrangiate su pali a tre piani, come le gabbie di animali e loro seduti sopra, sotto, dentro e il resto accovacciati per terra, tutti pronti a partecipare a questo incontro. Volti, tanti volti che cercavo di guardare, ma non mi potevo soffermare ad osservarli bene. Mi trovavo vicino all’inferriata tra una cella e l’altra, perciò mi sentivo a mia volta osservata da tutti quegli occhi, solo il sorriso che cercavo di abbozzare potevo dispensare ora ad uno ora all'altro. Qualcuno discretamente chiamava “Sister”! e faceva cenno con la mano per salutare come per dirmi: ci sono anch'io!

Tre celle con uomini ed una con le donne in tutti più di 150 detenuti, messi lì come animali in gabbia e tutto il giorno se ne stanno dentro queste celle senza spazio, né aria sufficiente, e senza fare niente.  In più all'interno di queste celle vi è un solo gabinetto e una sola doccia! (coperte da tavole che a loro volta fanno da letto per altri due o tre detenuti). Un blocco allo stomaco mi ha preso vedendo tutto ciò e pensare che sono papà, mamme, fratelli e figli... Partecipavo alla paraliturgia, trovandomi fra la cancellata di due celle, nel piccolo e stretto corridoio che le separa, e sensazioni forti mi invadevano. A stento frenavo la voglia di piangere, soprattutto quando aiutando il diacono a distribuire la comunione vedevo quelle mani tese fra l’inferriata per accogliere il Signore. Cercavo di guardare in faccia le persone mentre dicevo loro : "The Body of Christe" e abbozzarle un sorriso, quasi volessi far capire ciò che provavo per loro in quel momento... quante espressioni diverse, ma anche quanta serietà e compostezza nell'accogliere il Signore, ho visto in loro! Non parliamo poi dei canti: tutti cantavano a squarciagola. Avevano appeso alla grata del cancello dal di dentro, vecchi fogli di carta dove avevano scritto a mano le parole dei canti e tutti, tutti cantavano. Tutti sapevano rispondere bene alle preghiere.

Alla fine della celebrazione un momento ricreativo li ha fatti ridiventare tutti come bambini sorridenti e felici di gesticolare con mani piedi e corpo, a ritmo musicale e cantare  allegramente. Pensavo alla gioia che potevamo procurar loro in quel momento, ma poi il resto della settimana? come la passavano? come convivevano in quelle ristrettezza e afa? Il nodo alla gola era sempre più forte,  e mi sono rivista io, tanti di noi, che passano giornate a volte insignificanti mentre ci sono coloro che aspettano di essere visitati, e il tempo potrebbe diventare oro adoperandolo per loro. Il diacono ci ha presentate e loro ci hanno accolte con un lungo battimano, ancor più forte quando hanno detto che torneremo a visitarli. E alla fine, il saluto attraverso le grate, con lo stringere la loro mano... Avrei voluto avere il dono delle lingue in quel momento per comunicare almeno una parola e riceverla da loro, invece solo il sorriso e la stretta di mano mi restavano. Ma mi sono accorta che  era sufficiente; me lo ha confermato il fatto che quando uscendo dall'edificio qualcuno continuava a chiamarci "Sister!" e guardando da dove veniva quella voce mi sono accorta di chi stava ancora seduto al terzo ripiano del letto e perciò vicino la finestra, tra le sbarre salutava agitando la mano. Ecco, quelle sbarre, non costituivano più un ostacolo nel rapporto umano, quello di cui tutti maggiormente abbiamo bisogno: un po' di attenzione, un sorriso benevolo e un  po' di bontà.

Esponendo al vescovo la mia reazione a tale visita, mi sono sentita rispondere:

"Siamo chiamati per annunciare la libertà ai carcerati. Ma noi stessi siamo in prigione. Vediamo un prossimo in loro", e allora mi sono reinterrogata in che cosa consista veramente l'essere prigionieri! Io che li ritenevo privi di libertà devo ammettere che possono essere più liberi di noi? Le cose si sono rovesciate? Dove sta la verità?  Ho pensato che sotto sotto questa è una verità su cui riflettere!

 

Cari Amici,

raccontandovi tutto questo pongo anche a voi questa riflessione: cosa significa essere liberi e come vivere la mia libertà e rispettare quella degli altri!

- con grande saluto

Sr. Margherita


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