URSULINE SISTERS  AHJ

 212 VER SUBDIVISION

Maitim 2nd East

4120 TAGAYTAY CITY

PHILIPPINES

FILIPPINE

Lettere agli Amici


 

Tagaytay  29 gennaio 2004

(4° lettera)

Carissimi,

Camminavo a piedi lungo  la strada principale che porta a Tagayaty centro, badavo bene di accostarmi il più possibile all’estremità di essa per non essere investita dalle macchine che sfrecciavano veloci. La strada però, senza marciapiede lateralmente, non offre possibilità di sicurezza. Su questa più avanti mi imbatto in una serie di bancarelle di frutta, devo passare a ridosso di queste, saluto con il sorriso e il Good Morning e vengo ricambiata con un cenno della testa dalla gente che sta lì per vendere. All’improvviso una bimbetta mi si ferma davanti, mi sorride e mi dice qualche parola in Tagalog che non capisco, poi con enfasi gioiosa, chiama la mamma dicendo che c’è una suora. La mamma saluta in inglese e spinge la bimba a chiedere la benedizione, allora la bimbetta sempre con il sorriso sulle labbra si porta la mia mano alla fronte (caratteristico segno di rispetto che usano qui). Tento di dire qualche cosa, chiedo l’età e se la bimba va a scuola. “Ha solo tre anni, il prossimo anno andrà all’asilo”, mi dice la mamma. Poi con espressione implorante mi dice chiaro e tondo se voglio essere lo sponsor per la sua bambina. Capisco che vuole essere aiutata nel sostenere le spese della scuola. Presa alla sprovvista, dico che in questo momento non ho la possibilità e che ci penserò… mentre riprendo il cammino, lei si affretta a dirmi il nome della bambina e a spiegarmi il posto esatto della sua bancarella (ce ne sono molte in fila lungo la strada ed è difficile capire dove finisce una e comincia l’altra). La bimba continua a dirmi qualche cosa in Tagalog, ma io posso solo accarezzarla e farle un sorriso. Poi continuo il mio cammino, riflettendo su questo incontro e cosa fare in questi casi… ripetevo per un po’ di tempo fra me e me il nome della bimba “Alyssa”… poco dopo non lo ricordavo già  più.  Nel tornare indietro, sempre a piedi, dovevo ripassare  davanti alle bancarelle, ma trovandomi a disagio di cosa dire ancora se avessi incontrato la signora, mi sono incamminata dalla parte opposta della strada. Improvvisamente mi sento chiamare “Sister”! E’ la signora con la bimba che stanno passando dall’altra parte della strada e che salutano agitando la mano, vedendo che mi sono fermata per salutarle, si accingono ad attraversare la strada per raggiungermi. La mamma mi ripete ancora il nome della sua bambina, e dice che vuole darmi una sua foto. Attraversiamo di nuovo la pericolosa strada e arriviamo accanto alla bancarella. La signora mi invita ad entrare nel retro della bancarella, letteralmente un buco; si passa uno alla volta e ci sente soffocati dalle numerose cose che dovrebbero costituire l’arredamento di una casa. Mentre la mamma rovista fra le carte per trovare una foto della bimba, mi invita a sedermi nell’unica sedia che spunta fra  le tante cose. Giro lo sguardo attorno, quasi con timore e rispetto, cercando di riconoscere qualche oggetto fra la massa di cose che mi circonda, ma faccio fatica a distinguere, poi scorgo lo schermo di una tv, qualche pentola e le posate dentro un barattolo… tutto l’altro non sono riuscita a definirlo. Osservo la bimba che si muove con disinvoltura in questo buco e viene vicino a me per farmi vedere qualche foto sgualcita e sporca che ha fra le mani, spiegandomi chi sono quelle persone. Un metro quadro di spazio, sotto un pertugio che fa da finestra con la tipica tendina - straccio e che da’ sul canale laterale della strada - luogo di rifiuti e sporcizie di ogni genere, questo spazio,  ricoperto da panni e una vecchia zanzariera mi fa capire che è il letto, dove dormono mamma e bambina e anche il papà quando torna a fine settimana. Questa è la loro casa. “Abitiamo qui. La mia bambina vive qui, mio marito fa l’autista delle Jeepney familiari a Manila e viene a fine settimana”. Praticamente la vita della bimba è fra questo buco e il margine della strada pericolosa. Chiedo alla signora di scrivermi il nome della bimba e il loro indirizzo. Mi dà la foto della bimba, con un biglietto dove annota quanto richiesto. Nei suoi occhi ho letto la speranza di essere aiutata. Ho detto a lei che vedrò cosa potrò fare, se troverò qualche persona in Italia che vorrà prendersi cura della sua bambina; glielo farò sapere. Appena ha saputo che sono Italiana, con espressione compiaciuta, ha subito detto che il popolo Italiano è molto buono. Nell’uscire dovevo giostrarmi un po’ per non inciampare nella frutta o sbattere la  testa nelle tavole e tende che costituiscono la bancarella. Mi sentivo tanto confusa… quante volte sono passata su quella strada, ma sempre passando con le Jeepney  o altre macchine… Quante volte ho visto la gente seduta tutto il giorno accanto alla frutta… e se mi sono fermata a comperare qualche cosa, ho sempre cercato di far abbassare il prezzo altrimenti non avrei comperato. Ma mai sono entrata al di là dell’apparente bancarella. I volti della gente assumono un aspetto diverso ai miei occhi, e mi chiedo quante e quali  situazioni vi siano dietro quei volti di gente che giudichiamo dalle apparenze di venditori, che passano stagioni intere sulla strada, di giorno fra rumori assordanti e  respirando lo smog delle macchine, di notte si rannicchiate su tavolacci, dietro le bancarelle, in condizioni disagevoli e ambiente malsano, per dormire un po’ e nel frattempo vegliare sulla propria merce. Ho pensato: i poveri li incontri se calpesti le loro orme, non passandole accanto con la macchina. Tornando a casa,  pensavo a come il Signore sta dirigendo piano, piano i nostri passi… e ho capito che: sapersi  mettere in ascolto, saper  leggere i segni, porre attenzione ai piccoli avvenimenti… e sentirsi strumento di speranza per i poveri… in questo consiste ora la nostra missione. Ecco, stiamo in questa situazione. Lo sforzo di imparare la lingua, ci fa da sfondo per darci qualche sicurezza in più, ma in effetti  la missione è anche questa, senza l’inglese perfetto… Sempre più mi rendo conto che la missionarietà non è prima di tutto il fare quanto l’essere. E’ la tensione interiore che ci spinge a riconoscere il nostro ruolo nel mondo come vocazione cristiana, a rispondere alla chiamata di Dio, Ad aprire il cuore da quello che siamo in realtà verso quello che possediamo dentro di noi per condividerlo con i fratelli. Il Signore, poi dirige a modo suo e offre le occasioni per andare incontro ai bisognosi. Non quel che vogliamo noi, ma quel che vuole Lui, questo è essere strumenti nelle sue mani (a volte però noi vorremmo la sicurezza delle mani piene del nostro agire, delle nostre opere… è difficile dirci che è sbagliato questo atteggiamento). 

         Mi rivolgo a tutti voi Amici che avete chiesto di essere informati sullo svolgimento di questa missione: oltre a cercare di capire il vero ruolo missionario che coinvolge tutti noi e viverlo nel proprio ambiente, se qualcuno di voi vuole contribuire nell’aiutarci concretamente adottando qualche famiglia o bambino per aiutarlo nella scuola, nella crescita, nella cura di malattie ecc… me lo faccia sapere. Adesso cominciamo ad avere questi contatti con i più bisognosi. In base alla vostra donazione possiamo venire loro incontro. Per informazioni circa le modalità concrete per una adozione per le Filippine è bene rivolgersi a Suor Giulia Esposito ( E-Mail: sr.giulia@tiscali.it tel. 06-6536473 – V. del Casaletto 557 / 00151 – Roma).

Per rivolgersi direttamente a me: E-mail  ursphil@pacific.net.ph

Dall’Italia Tel: 0063-46-4133984 – Maitim 2nd East 212 – Tagytay City – Filippine.

 Sicura che il cammino missionario venga compreso e condiviso da ognuno di voi, Amici carissimi, vi raggiungo ognuno in particolare, per salutarvi e augurarvi tante grazie dal Signore nelle vostra quotidiana vita.

La preghiera per ognuno di voi è assicurata non solo da me personalmente ma da  tutta la mia comunità.

 Con affetto

Sr. Margherita


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