sr.Zofia Jozefa Zdybicka Aprire gli occhi L’apostolato di Orsola Ledóchowska
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Nell’articolo pubblicato nel mensile “Znak” Sr. Teresa Ledóchowska ha descritto con perspicacia e con plasticità il dolore e le angosce che accompagnano la nascita di una nuova santa e di una nuova comunità religiosa. L’autrice fa vedere le perplessità e le sofferenze viste e vissute principalmente dalla comunità del Convento di Cracovia, alla quale apparteneva una persona che aveva ricevuto una speciale missione nella Chiesa, un carisma che sempre comporta una particolare carica di dinamismo e di novità, non facili da comprendere e da valutare al momento della nascita. Tale dono scaturisce dallo Spirito Santo, o soltanto dall’ambizione umana e dal bisogno di ingiustificati cambiamenti di ciò che è stabilito, stimabile, sperimentato?
Ci troviamo attualmente in una situazione molto più favorevole. Possiamo applicare un criterio raccomandato da Cristo, espresso con le parole: “Dai loro frutti li riconoscerete” (Mt 7, 16). Le iniziative e il cammino di Madre Orsola, hanno superato la prova del tempo, sono stati approvati dalla Chiesa e confermati da Dio stesso, con grazie e miracoli ottenuti per sua intercessione.
Oggi per noi è ovvio che Madre Orsola non desiderava fondare una nuova Congregazione, che nulla voleva distruggere o cambiare. Con tutto il cuore voleva unicamente amare Dio e gli uomini ed essere uno strumento docile nelle mani di Dio che tutto dirige: “Dio stesso ha pensato e diretto le cose in questo modo. In tutta la trasformazione da membri dell’Ordine delle Suore Orsoline a quelli della Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante - io sono stata come una pedina sulla scacchiera, diretta dalla mano dell’Altissimo, spostata da un luogo all’altro, di paese in paese, fino al compimento non dei miei disegni, ma dei disegni di Dio”[1].
Sorge la domanda: in che cosa consisteva il suo carisma, e dunque quella specifica vocazione destata dallo Spirito Santo per il bene della Chiesa? In che cosa consisteva quel novum dell’attività di Madre Orsola che la poneva tra coloro che preparavano, dal lato pratico, il rinnovamento della Chiesa sancito dai lavori e dalle raccomandazioni del Concilio Vaticano II, specialmente nel campo della comprensione e della pratica della vita religiosa e dell’apostolato delle religiose?
1. “Sapessi soltanto...”
Tutto ciò che è autenticamente cristiano, ispirato dallo spirito di Cristo, si riduce in definitiva all’amore. Un’essenziale caratteristica del Vangelo, il suo rivoluzionario novum è l’amore sino alla fine, un amore che non conosce i limiti, il cui definitivo compimento fu l’agonia e la morte di Cristo sulla croce, “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). Sino alla fine vuol dire fino all’agonia e alla morte.
Qui sta la fonte del “comandamento nuovo”: “che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato” (Gv 13, 34).
“Come io...”, Cristo, l’unico, sempre vivo modello dell’amore per il Padre e per l’uomo, l’unica “via” (Gv 14, 6) verso la pienezza dell’amore.
Il fatto dell’incarnazione, la decisione di Cristo di diventare uomo, con tutte le conseguenze della sottomissione alle leggi della natura umana, costituisce un’espressione, inconcepibile per la ragione, dell’amore di Cristo per l’uomo, un’espressione di coerente solidarietà con la sorte dell’uomo segnata dal dolore dell’agonia e della morte.
Se Cristo, facendosi uomo, svela la piena verità sull’uomo e su Dio, è “la parola sull’uomo”, su tutta la vita in modo particolare ciò riguarda l’ultima fase della sua vita, quella del definitivo compimento della missione d’amore: l’agonia e la morte.
Al momento dell’agonia, il Cuore di Gesù fu aperto - addirittura fisicamente, per manifestare la misura del suo amore. D’ora in poi il Cuore aperto di Gesù diventa la più eloquente parola, segno, simbolo dell’amore di Cristo per ogni uomo.
“La croce di Cristo (...) non cessa mai di parlare di Dio - Padre, che è assolutamente fedele al suo eterno amore verso l’uomo, poiché «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna (Gv 3, 16)»[2].
“Credere nel Figlio crocifisso significa «vedere il Padre» (cfr. Gv 14, 9), significa credere che l’amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male, in cui l’uomo, l’umanità, il mondo sono coinvolti”[3].
In questa scuola d’amore, la migliore di tutte, nel Cuore aperto di Cristo morente in croce per la salvezza del mondo, Orsola Ledóchowska, sin dai primissimi anni, formava la propria vita interiore e il suo rapporto con Dio e con gli uomini.
Il Cuore aperto di Gesù Agonizzante fu in definitiva la fonte del suo amore, umile, disposto al sacrificio, creativo, disponibile, e la sorgente della fondazione e della spiritualità della nuova comunità religiosa, delle orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante.
Il programma di vita e l’orientamento dei desideri, si delineò abbastanza chiaramente nella giovane religiosa. Prima di emettere la professione religiosa scrisse a suo fratello: “Aspetto aiuto, luce e soprattutto amore; un amore da colmare tanto il mio cuore, affinché, da questo momento, possa sempre ripetere in tutta sincerità: “Il mio diletto è a me ed io a Lui”. ”Magari, sapessi solo amare! Ardere e consumarmi nell’amore!”; “il mio predicato sarà: «di Gesù», vuol dire che sarò Sr. Orsola di Gesù. Prega che sia davvero «di Gesù», che Gesù possa considerarmi totalmente sua proprietà, e disporre come piacerà a Lui, senza resistenza, lamentela o mormorazione da parte mia”[4].
2. Amore capace di superare le barriere delle strutture tradizionali
L’attività di Madre Orsola cade al termine del XIX° secolo e l’inizio del XX°. E’ questo il tempo in cui si manifestarono le nuove, rivoluzionarie tendenze sociali, scientifiche, politiche, che provocarono la disintegrazione di numerose strutture esistenti e la necessità di elaborare delle nuove forme in molti settori della vita. La Madre non fu un’intellettuale né un teorico. Forse nemmeno si ritrovava nelle fonti filosofiche delle tendenze dominanti dell’epoca in cui visse. Con l’intuito di un cuore che ama, percepiva i bisogni dei suoi contemporanei, e prima di tutto era convinta che Dio è Padre di ogni secolo e che, in definitiva, è Lui ad agire tramite ogni evento. Sapeva anche che l’amore cristiano è per sua natura universale, cioè deve abbracciare ogni uomo. E ’ Dio, in fin dei conti, colui che determina il modo di agire. Verrebbe voglia di dire con Giovanni Paolo II, che la Madre capiva che l’uomo è la via della Chiesa, la via dell’apostolato e che bisogna costantemente raggiungere l’uomo stesso, perché Cristo è morto per ogni uomo e il nostro compito è di aiutare ciascuno nel suo cammino verso Dio, che è Padre del secolo futuro.
Già da giovane, dimostra una particolare sensibilità per le necessità del ambiente a lei più vicino, dei suoi numerosi fratelli e sorelle, della famiglia e degli abitanti dei dintorni. La delicatezza di cuore le permetteva di scavalcare i rapporti sociali del tempo mentre stabiliva contatti con gli abitanti di Lipnica Murowana, dove si trasferì la famiglia Ledóchowski. Con pieno impegno si dedicò all’insegnamento e al lavoro educativo nel ginnasio delle orsoline a Cracovia mettendo in esso, sembrerebbe, tutto il suo cuore. Tuttavia esso bastò per sconfinare i metodi del lavoro educativo delle orsoline, sanciti dalla tradizione di secoli. Dall’interno della clausura, allora papale, scorge immediatamente i bisogni di un nuovo ambiente che stava nascendo, di un nuovo gruppo di persone: delle ragazze che intraprendevano gli studi universitari.
Alla fine del XIX° e all’inizio del XX° secolo, gli studi universitari per le donne furono un nuovo fenomeno sociologico, da molti valutato negativamente, angosciante per altri, o per lo meno da far sorgere dei dubbi circa l’opportunità di essi, quasi fossero una minaccia per la naturale missione della donna. Non possiamo dimenticare che era il tempo del positivismo, e perfino dello scientismo e della conseguente convinzione, che tra scienza e fede avvenisse una definitiva divisione; che non fosse possibile essere una persona colta e nello stesso tempo impegnata dal punto di vista della religione. Ciò avrebbe potuto provocare delle conseguenze particolarmente pericolose, per donne emancipate che studiavano all’università.
La Madre possiede la visione cristiana dell’uomo e dei valori, che non teme la verità, la piena verità, anche quella scientifica, ma sa che all’uomo non basta la sola scienza e che, con lo sviluppo dell’istruzione, va sviluppato anche l’atteggiamento morale, per educare uomini completi e di valore. Perciò vuole aiutare la gioventù universitaria a realizzare uno sviluppo integrale. Vuole essere con essa quando lascia la casa paterna e si confronta con le nuove tendenze, quando deve trovarsi di fronte a nuovi valori. Vuole destare nelle giovani il desiderio della piena verità, del bene e della santità, approfondire la consapevolezza della missione della donna colta nella futura società.
All’inizio, la sua iniziativa di prendersi cura della gioventù universitaria, incontra degli ostacoli. Era difficile immaginare la coesistenza tra le alunne di una scuola superiore gestita dalle religiose e le innovatrici emancipate. Affatto scoraggiata dalle difficoltà, nel 1905, apre una casa per le studentesse universitarie, questa volta in seguito ad una particolare richiesta e con una speciale benedizione del cardinale Puzyna. Instaura con esse rapporti personali, ne cura un armonioso sviluppo, e prima di tutto l’approfondimento della coscienza religiosa e delle basi di una concezione cristiana del mondo, della vita, della missione di una donna colta. Con la sua sollecitudine abbraccia le studentesse che risiedono fuori del pensionato, organizza per loro: conferenze, discussioni, esercizi spirituali chiusi, incontri. Fonda in Polonia il primo Sodalizio Mariano delle Universitarie.
Dopo anni, le ex studentesse affermano: “L’aiuto spirituale con cui ci confortava, influisce ancora oggi su di noi e ci permette di sopravvivere in mezzo alle tempeste della vita, attenendoci ai principi della fede, che aveva innestato in noi. L’impronta della sua vita sembra così potente e vada così lontano, da far venire in mente il paragone con l’influenza esercitata sul mondo dal buon Papa Giovanni XXIII”[5].
Allo stesso tempo, Madre Orsola segue gli eventi e la situazione in Russia, un paese che, a suo avviso, si trova in un particolare bisogno. L’anno 1905 mostra le nuove tendenze che stanno nascendo e mette in luce nuovi problemi, il che diventa per la Madre un nuovo segnale. Nel suo cuore si desta il pensiero del lavoro in Russia, sviluppato e sostenuto dalle alunne di Cracovia, provenienti dai territori sotto l’occupazione russa. Volendo educare le proprie figlie nello spirito polacco e cattolico, i Polacchi di quei territori le mandavano nelle scuole condotte dalle religiose nella Galizia. Il diploma austriaco non era riconosciuto, il che privava le ex alunne di quelle scuole del diritto ad insegnare e quindi di influire sull’educazione delle Polacche. Perciò era impellente il bisogno di una scuola nei territori sotto l’occupazione russa, gestita nello spirito cattolico-polacco, con il diploma riconosciuto. Il ginnasio femminile di Santa Caterina già esistente a Pietroburgo esigeva una profonda riforma, uno nuovo spirito e nuove energie.
La Madre confida al papa Pio X il suo desiderio di lavorare in Russia, ed egli approva l’idea con tutta la comprensione, la incoraggia e le concede le dispense necessarie per intraprendere e continuare questo lavoro.
L’apertura della Madre, la sua disponibilità e la capacità di rinunciare a certe forme stabilite di lavoro e di vita, se lo richiede il bene dell’uomo, si manifestano in tutta la pienezza quando, con il consenso delle autorità religiose, si reca a Pietroburgo insieme ad alcune suore, per lavorare in condizioni di vera missione e in clandestinità (in Russia erano aboliti gli ordini religiosi e non potevano svolgere un’attività ufficiale) per la gioventù locale polacca. Per tutto il tempo del loro soggiorno in Russia, le suore usano abiti borghesi e la vita interiore della comunità religiosa si svolge in condizioni di stretta clandestinità. Naturalmente, si dovette rinunciare a molti elementi secondari, benché sanciti dalla tradizione, come l’abito religioso, la stretta separazione dalle persone laiche (clausura), una specifica ritualità. Rimase tuttavia l’essenza della vita evangelica: la preghiera, l’unione con Dio, la pratica dei voti, nella povertà unita alla mancanza di una casa propria, all’incertezza del domani, in un lavoro duro, nella totale docilità alla volontà di Dio, nel generoso servizio del prossimo.
La comprensione della necessità di questo lavoro per il bene della gioventù polacca, costituisce una ragione sufficiente per intraprenderlo. Nonostante i pregiudizi da parte della società locale nei riguardi delle religiose e, nonostante serie difficoltà di vario genere, la madre inizia il lavoro nell’internato presso il ginnasio di Santa Caterina (1907), trasformando nel corso di alcuni anni l’atmosfera e l’orientamento educativo dell’istituto che era stato trascurato.
Le sue educande valuteranno nel futuro i risultati di quel lavoro:
“Il lavoro della madre operò una svolta nell’internato. Prima conoscevamo il cattolicesimo puramente formale ed esterno. Madre Orsola ci ha mostrato Dio come amore. Questo fu quel grande novum, che sconvolse i nostri cuori e le nostre menti e richiese da noi una risposta d’amore, tramite il lavoro su noi stesse. Incoraggiandoci a questo la Madre lo faceva con grande rispetto per la personalità di ogni educanda, non imponendo mai nulla”[6].
La Madre non limitava la propria attività all’internato e alla scuola. Prende parte attiva in problemi di cui viveva il gruppo locale dei polacchi. Organizza il Sodalizio Mariano per i giovani e per gli adulti, conferenze, esercizi spirituali e simili. Si adopera anche per creare un piano di dialogo tra polacchi e russi. Osservando con particolare interesse la vita degli ambienti cattolici russi, nota i loro punti dolenti e le necessità spirituali facendo il possibile per venire loro in aiuto. Tra i russi si avvertiva un fermento ed uno sdoppiamento derivanti dalla differenza di opinioni riguardo al rito che avrebbe dovuto abbracciare chi passava al cattolicesimo. Privati di un’adeguata cura spirituale e di direzione, si scoraggiavano nei confronti della Chiesa romana. Quella Chiesa, giovane nel territorio della Russia, non aveva neanche luoghi di culto per i propri fedeli, dove poter ascoltare nella lingua russa, almeno l’omelia domenicale. A Pietroburgo frequentavano, dunque, la chiesa polacca, dove fu proibito dalle autorità ecclesiastiche di annunziare la parola di Dio in russo. Madre Orsola prende a cuore tale stato di cose e non rimane spettatrice passiva. Inizia un’azione programmata, presentando la proposta di aprire una cappella privata per i russi di rito sia latino che greco. “Le signore russe sono molto contente - scrive nella Cronaca - una di loro mi ha detto con gioia: Lei, Madre, farà una cosa sola di tutti noi”. Ma a quel punto la Madre si imbatte in una strana, incomprensibile resistenza da parte dell’arcivescovo di Mohylew, Mons. Wnukowski: “Non capisco fino ad ora, come poteva un sacerdote cattolico, buono, pio e pieno di fervore e tanto più vescovo, vedere in questo modo la questione. Non voleva permettere assolutamente (...) Con tutto il rispetto, dissi tutto quello che si poteva dire, citai l’ordine di Gesù di predicare il Vangelo a tutte le genti, parlai del lavoro dei missionari, ecc. - niente da fare. Non so quanto tempo durò questa lotta a parole - finalmente dovetti ammettere che la causa era persa. «Credo che per adesso questa sia la volontà di Dio, e più tardi, forse il Signore gli darà un’altra luce, dicevo. Mi sottometto alla volontà dell’Eccellenza»”[7].
3. Ecumenismo per ogni giorno
La Divina Provvidenza conduceva Madre Orsola attraverso paesi di una particolare diversificazione confessionale. In Russia c’erano continui contatti con gli ortodossi (più tardi anche nella Polesia). In Finlandia, in Svezia e in Danimarca, dove fu costretta a recarsi dopo lo scoppio della guerra nel 1914 e l’espulsione dai confini dell’impero russo, era in costante contatto con i protestanti oppure con persone indifferenti dal punto di vista religioso. Benché lei stessa si trovasse nella difficile situazione di esilio politico, in paesi di cultura diversa, non si metta in oziosa attesa per sopravvivere all’esilio. Prima di tutto supera la barriera linguistica ed impara una dopo l’altra le lingue finlandese, svedese e danese, per poter stabilire un contatto diretto con la popolazione locale. Presto si inserisce nella vita dell’ambiente di ogni paese, instaura conoscenze e contatti che oggi avremmo chiamato ecumenici.
Dall’ecumenismo dei nostri giorni, ravvivato in modo particolare dopo il Concilio Vaticano II, la separa mezzo secolo. Non la interessano le sottili differenze dogmatiche, non è, e non intende, di essere un teoreta di ecumenismo. E’ semplicemente una cristiana praticante e sempre vede l’uomo con le sue miserie e le sue necessità. Ciò le permette di passar sopra alle barriere accresciute e di incontrarsi nella comune condizione umana. Non cessa per questo di essere una cattolica fervente.
In ogni paese scandinavo: Finlandia, Svezia e Danimarca, organizza delle istituzioni educative, gestite dalle suore e inoltre opera nell’ambiente. In Finlandia fonda una scuola superiore femminile, organizzata secondo i più moderni metodi di allora. Le giovani vengono formate in un’atmosfera di totale fiducia e cordialità. Inoltre stabilisce contatti con la popolazione finlandese, protestante, priva di cura pastorale. “Povera nazione - a loro si può applicare il passo del Vangelo Mt 9, 36: «Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano come pecore senza pastore»”[8].
Dunque, si occuperà di loro con tutto il cuore. Per loro imparò il finlandese, tradusse in questa lingua il catechismo, pubblicò un libro di preghiere e una raccolta di canti religiosi. Nella cappella cattolica delle suore venivano i Finlandesi protestanti e partecipavano alle funzioni autenticamente ecumeniche; per loro organizzava incontri di vario tipo e aiuto materiale.
In simile modo agisce in Svezia. Nei pressi di Stoccolma, organizza la Scuola di Lingue Straniere per la gioventù femminile dell’intera Scandinavia. In queste condizioni e in questo paese, la scuola ha un carattere eminentemente ecumenico. Accetta le ragazze di ogni confessione (la maggioranza sono protestanti) e benché nella scuola ricevano una formazione anche religiosa, la madre è ben lontana dal fare una “propaganda religiosa” e non si fida delle “facili conversioni”.
Sviluppa anche un’attività strettamente cattolica. Fonda il Sodalizio Mariano per le signore, e un anno dopo il suo arrivo in questo paese, pubblica un periodico per i cattolici svedesi (il primo nel paese), che ha come scopo di avvicinarli ai problemi di cui vive la Chiesa intera.
La Danimarca è la tappa successiva e il successivo terreno di lavoro educativo ed ecumenico. Durante la guerra, in Danimarca, soggiornavano oltre 15 mila operai polacchi, giunti là in cerca di lavoro. La guerra li aveva tagliati fuori dal paese creando il pericolo, specialmente per la generazione più giovane, di perdere l’identità nazionale. C’erano molti bambini privi di tutela o orfani. La Madre, nonostante il fatto di trovarsi in un paese straniero, senza risorse economiche, apre una casa per quei bambini, perché - come scrive: “non crescano in un modo, che potrebbe coprire di vergogna la Polonia, e non farebbe onore alla Danimarca”. Vuole proteggerli contro la perdita del senso dell’identità nazionale e della fede. La casa è aperta - come afferma uno degli operai - “la Madre accoglieva i bambini battezzati e non battezzati, nati nel matrimonio o fuori di esso. Per lei tutti erano uguali”[9].
Il lavoro a favore dei bambini polacchi, non esauriva l’attività della Madre. E’ una pedagoga per vocazione. La preoccupano i bambini protestanti, che vagabondano per le strade e si prende cura di essi - come lei stessa scrive - “insieme ai pastori protestanti”[10].
Madre Ledóchowska non è la sola ad avere numerosi contatti e a collaborare con i rappresentanti di varie religioni. Forma in questo spirito tutte le suore. Stupisce il suo coraggio, mentre introduce in un ambiente strettamente protestante, perfino le più giovani religiose. Dunque non è soltanto per se stessa, ma anche per le altre che essa non teme “incidenze estranee”. Manda le suore a lavorare nella scuola.
“Una delle mie suore ha conseguito or ora il diploma di economia domestica ad Upsala - una delle prime scuole di questo genere in Europa. Un’altra si prepara ad ottenere il diploma della scuola di slöjd a Nääs. Un’altra ancora l’ho mandato alla scuola delle nurse (infermiere per bambini). Così torneremo in patria con diversi diplomi, pronte al lavoro”[11].
Occorre ricordare, che ognuna di quelle giovani religiose, era l’unica cattolica nella scuola, che a Upsala non c’era neanche un sacerdote cattolico, neanche una chiesa cattolica.
Quale impressione lasciano in lei questi paesi protestanti? Quanto scrive riguardo alla Svezia può essere riferito a tutta la Scandinavia:
“Venne il momento di salutare la Svezia. Vi passammo dei momenti chiari e bui, e adesso solo con gratitudine, posso ricordare quel paese ospitale che mi accolse esiliata e mi permise di farvi venire anche le mie suore, perché con un lavoro onesto potessimo guadagnarci il nostro pane. Vi lasciai molti amici. Il Signore li benedica e benedica la loro patria, affinché questo paese possa una volta tornare alla fede dei loro padri, alla fede di Santa Brigida e di Santa Caterina così che la magnifica cattedrale di Upsala possa di nuovo ospitare Gesù Sacramentato e la Madonna prenda sotto il suo patrocinio questa terra oggi nemica del cattolicesimo”[12].
Un paese nemico del cattolicesimo, e così amico verso di lei - cattolica. Fino ad oggi ha conservato la grata memoria di quella polacca, che con l’ardore del suo cuore, autenticamente cristiano e cattolico, sapeva avvicinare tra loro le speranze dei cristiani separati e di tutti gli uomini incontrati.
4. “Per amore verso per la Patria”
La guerra (1914-1918) provocò enormi devastazioni in tutti i paesi, e in modo particolare in Polonia. L’emigrazione polacca organizza, sotto varie forme, l’aiuto alla patria martoriata. Sienkiewicz insieme a Paderewski i quali soggiornavano in Svizzera, fondano nel 1915, in questo paese, a Vevey, il Comitato Generale per Portare Aiuto alle Vittime della Guerra in Polonia. Anche se lo scopo del Comitato era fondamentalmente caritativo, di fatto, si trattava di qualcosa di più: “parlare a tutto il mondo della Polonia, della sua tragedia antica e presente e con ciò attirare su di essa l’attenzione generale, destare l’interesse, la compassione e la coscienza politica dell’Europa”[13].
Sienkiewicz si rivolse a Madre Orsola, tramite M. ºempicki, chiedendole di prendere parte a tale azione. Sembrava essere la persona particolarmente adatta. Conosceva i paesi scandinavi, parlava correntemente il francese, il tedesco e l’inglese.
La Madre si trova di fronte a un dilemma, solidarizza con la nazione, l’amore per la patria martoriata le impone di dare una risposta positiva all’appello. Ha dei dubbi: è un lavoro opportuno per una religiosa? Le è lecito impegnarsi in un’azione di questo genere, intervenire in pubblico e simili? Vince l’apertura del suo cuore. Nelle conferenze tenute in seguito, ritorna più volte ai motivi che la indussero a intraprendere un’azione di questo tipo, veramente atipica per una religiosa.
“E’ per l’amore della patria che mi sono assunta il dovere di destare nei vostri cuori la compassione per i figli infelici della Polonia, questo è l’unico scopo delle mie conferenze. A motivo di quest’amore ho tentato di superare le difficoltà della vostra lingua ed è quest’amore che mi fa osare di parlare ora a voi in lingua svedese, perché credo che la vostra lingua madre mi aprirà più facilmente la strada dei vostri cuori...”[14].
“La vocazione della donna è accorrere là, dove scorrono le lacrime, dove i cuori si spezzano per la tristezza e il dolore, dove dominano la fame e la miseria, per soffrire con coloro che soffrono, per piangere con quelli che piangono. Questa è la particolare vocazione della donna polacca... perciò, soffre tanto amaramente questa donna polacca, che dalla mano ferrea dell’esilio, viene inchiodata in una terra straniera, perché essa non può soffrire, non può aver freddo, non può morire insieme con i suoi connazionali che soffrono, che hanno fame, che hanno freddo, che muoiono... Vana però è la nostalgia, servono le opere e per questo tento, lontano dalla sacra terra polacca, di aiutare quanto posso il mio paese”[15].
La Madre intraprende quindi, la fatica di superare le differenze linguistiche, nazionali, confessionali e politiche. Con il suo cuore ardente vuole raggiungere i cuori che, come spera, sono capaci di aprirsi, quando gli farà vedere i reali bisogni degli uomini che soffrono innocentemente.
Per alcuni anni attraversa tutti i paesi scandinavi, tenendo conferenze sulla cultura, sulla storia e sulla tradizione religiosa della nazione polacca, risveglia la “coscienza politica” degli abitanti di questa parte dell’Europa. Secondo la sua relazione, tenne oltre ottanta conferenze in sei lingue: francese, tedesca, inglese, svedese, danese e norvegese.
“Questi viaggi erano duri, ammette, mi trovavo sola tra estranei, con la continua preoccupazione di risparmiare per poter consegnare la somma più grande che potevo al Comitato, sempre con il timore di non riuscire nell’impresa e se conveniva sostenere le spese del viaggio. Anche oggi non comprendo come riuscissi ad avere ascoltatori - io, completamente sconosciuta, senza alcuna persona che mi organizzasse le conferenze”[16].
La sua attività non si limitava a tenere conferenze: fondava i Comitati nazionali, che sviluppavano ulteriori attività, scriveva articoli per la stampa locale. Grazie ai suoi sforzi fu pubblicato il libro Polonica, una raccolta di articoli sulla storia e sulla cultura della Polonia, scritti in tre lingue scandinave da autori famosi[17].
E’ chiaro che per poter svolgere un’azione a un raggio così vasto su un terreno estraneo sotto l’aspetto etnico e confessionale, fu necessario instaurare e mantenere contatti con persone di varie nazionalità, di varie confessioni, di vari orientamenti politici, sociali e ideologici. Collabora con esse, le abbraccia con la sua sollecitudine apostolica e educativa, intreccia con loro legami di amicizia, che, a volte, dureranno per tutta la sua vita. Tale collaborazione si sviluppa in un’atmosfera semplice, sincera, amichevole, senza ombra di prevenzione o di timore.
“Oggi ho ricevuto una lettera da un arcivescovo protestante (si tratta dell’iniziatore del movimento ecumenico ben conosciuto, grande studioso di religioni, futuro premio Nobel: Nathan Söderblom) - scrive al fratello P. Ledóchowski - che posso di nuovo tenere una conferenza a Upsala. E’ tanto buono con me. L’ho invitato da noi”[18].
“A Stoccolma ho dovuto di nuovo preparare una conferenza in tedesco (...) Il 10 maggio avrei dovuto parlare ad Upsala nel palazzo dell’arcivescovo. Qualche giorno prima gli feci una visita, perché ci tenevo ad interessare alla causa della Polonia un vasto pubblico ed egli m’invitò per una conferenza. (...) lunedì sera mi recai con la mia fedele compagna dell’ “Aftonbladet” - e corrispondente di questo giornale - a Upsala. (...) in una grande sala si radunarono circa 150 persone - era piena zeppa. Tutti ascoltavano con grande interesse, si vede che anche questa volta toccai il loro cuore. Dopo la conferenza, l’Arcivescovo m’invitò a cena”[19].
Possiamo supporre che quell’incontro con “l’arcivescovo, «l’arcivescovessa» e gli «arcivescovini»” nella loro casa, come la Madre spiritosamente annota, si svolgesse in un’atmosfera cordiale; allo stesso modo, in un’atmosfera amichevole e cordiale, si svolgevano gli altri incontri in quel tempo e in quel territorio.
“Riuscii anche a costituire il Comitato. Bisognava andare in giro, invitare, organizzare le riunioni, e, finalmente, il 1 giugno fu llanciato un appello alla nazione, chiedendo aiuto per la Polonia infelice e rovinata dalla guerra. I membri più importanti furono: Selma Lagerlöf, dopo Heidenstam la più grande scrittrice svedese, Oscar Montelius, direttore del grande museo nazionale, Alfred Jensen, professore di lingue slave, il quale tradusse in svedese Pan Tadeusz, Iridion e molte altre opere dei nostri poeti nazionali, anch’egli ebreo, un professore dell’università (...) molto simpatico, E. Benedictsen, il quale non era affatto materialista come la maggioranza degli svedesi”[20].
Si potrebbe prolungare quasi all’infinito la lista dei contatti di Madre Ledóchowska con le persone di varie confessioni e orientamenti: dal re di Norvegia fino ai poveri contadini danesi e finlandesi. La Madre, ovunque si fa vedere, apre i cuori, trova comprensione, aiuto, dovunque lascia amici fedeli. Da quella lista, un vero mosaico di nazionalità, di confessioni, di classi sociali, di orientamenti politici scegliamo alcuni frammenti:
“Andai da Georg Brandes. Era amareggiato per i Polacchi, si dice che si è comportato in maniera bruttissima, perché nel suo primo libro parlò con tanto entusiasmo della Polonia, invece poi si offese e fece il contrario. Mi raccontò tutte le sue amarezze, cercavo di rasserenarlo; fu molto cordiale con me, promise anche che se avessi organizzato una serata di beneficenza, avrebbe parlato ai convenuti. E’ un grande personaggio in Danimarca; mi fece pena, perché si vedeva che era un uomo di buon cuore, però senza fede e per questo si trovava male”[21].
C’era un ebreo nella cerchia dei suoi conoscenti stretti:
“Mi recai una volta dal rabbino del luogo - quello stesso che prese una volta parte alla riunione tenuta da noi - mi sconsigliò Staltjöbaden, dicendo che sarebbe andato meglio Djürsholm. Era un ebreo intelligente e pieno di benevolenza verso di noi, perciò seguii il suo consiglio”[22].
Tra i personaggi eminenti del mondo della scienza e della cultura, la Madre instaura un rapporto con la famosa scrittrice svedese Ellen Key, la induce ad interessarsi alla causa della Polonia. Con il poeta Werner von Heidenstam ha delle conversazioni informative circa la posizione dei protestanti verso le questioni religiose. Tra i villeggianti che durante l’estate soggiornano nell’istituto ospita un musulmano, di cui scrive:
“Durante le vacanze avemmo di nuovo alcuni ospiti, tra gli altri un egiziano Farid Bey, espulso dall’Egitto dagli inglesi, perché si adoperava troppo per l’indipendenza dell’Egitto. Un tipo molto interessante, ufficialmente risultava come maomettano, ma praticamente era ateo. Da noi si trovava molto bene e parve che il contatto con la religione cattolica non lo lasciasse indifferente”[23].
Nelle sue peregrinazioni per le conferenze sulla Polonia, spesso visita e si ferma nelle famiglie delle allieve dell’Istituto di Lingue, che gestiva in Svezia. Quasi tutte erano protestanti.
“Dappertutto venivo accolta molto cordialmente dai genitori delle nostre allieve. Mi ospitavano, mi aiutavano. Non ho parole per esprimere la mia riconoscenza (...) Ovunque mi mostravano tanto cuore, ne ero profondamente commossa. (...) Mi accoglievano come un membro della loro famiglia”[24].
La Madre attua la fratellanza non soltanto sul piano confessionale, ma su quello, molto più vasto, quello universale; vorrebbe unire, mettere insieme tutti. Possiede del resto il dono straordinario di “mettere insieme” le persone.
Di nuovo alcune citazioni:
“Nel modesto salottino della Madre, nel quartiere residenziale di Djursholm, presso Stoccolma, si riunivano e si incrociavano da tutte le parti relazioni e influenze polacche. Nessun Polacco passava per Stoccolma senza ossequiarla. Venne anche Daszynski e rimase a lungo sotto il suo fascino. Accoglieva tutti con amore e bontà, con quella raggiante espressione dei suoi occhi, alla quale non era possibile non arrendersi”, scrive nel suo diario Micha» Sokolnicki[25].
Come reagisce la Madre?
“In quel tempo conobbi il Signor Daszynski, un noto socialista. Mi fece l’impressione di essere un vero idealista, crede in ciò che dice. Il Signor Lempicki mi chiese se alcuni signori potevano venire da noi per una riunione di carattere politico. Si presentarono allora il Sig. Daszynski, Patek, Lempicki, un finlandese rivoluzionario ed un rabbino sionista. Ognuno apparteneva a un diverso partito. La riunione si svolse abbastanza tranquillamente, poi, la cena. Accompagnammo i nostri connazionali alla stazione e mi ricordo sempre il Sig. Daszynski, il quale mi diceva dal finestrino del treno: «Lei, madre, come Daniele nella fossa, fa diventare miti i leoni». Da allora non lo rividi più. Una volta, lui, Lempicki e Pilsudski, mi inviarono dalla Polonia una cartolina in Svezia (...) Mi fa pena Daszynski, avrei voluto avvicinarlo a Dio”[26].
Non sono degli incontri soltanto occasionali. La Madre con lo spirito, con il cuore, con la preghiera e con l’azione è vicina a coloro che lottano per la futura Polonia, benché tra di loro ci siano tanti conflitti e differenze nell’intendere il bene della Patria libera. Scrive al Sig. Sokolnicki:
“Qui seguo tutto ciò che accade da voi, se potessi fare di più per la causa, lo farei, ma sogno di attirare su di voi molta simpatia, di poter unire tutto ciò in un cuor solo e in un’anima sola”[27].
5. “Tenete l’antica strada (...) fate vita nuova”[28]
La spiritualità e la struttura organizzativa della nuova comunità religiosa, formata durante gli oltre dieci anni di intenso lavoro apostolico, svolto in condizioni di clandestinità e in tempo di guerra, sotto la guida della Madre Orsola, possedeva una forma propria, chiaramente delineata. Questa si distingueva con chiarezza dalle forme di vita e di apostolato delle religiose, sancite dalla tradizione e praticate fino allora.
L’essenziale novum, introdotto da Madre Orsola, consisteva nel superamento della barriera che così spesso separava lo stato religioso dalla vita laica, con tutte le conseguenze pratiche che ne derivavano, nell’impegnare i laici e nel rendere dinamico il loro apostolato e in un nuovo atteggiamento verso il lavoro.
Con l’acutezza dello sguardo che la caratterizzava la Madre vide la più urgente necessità del tempo e non esitò ad andare incontro al “mondo”, che dettò nuove forme d’apostolato per le persone consacrate.
“Oggi il mondo evita gli ordini religiosi”, constata, dunque “sono essi a dover andare tra la gente”. Da qui il postulato non della fuga dal mondo, ma di apertura verso il mondo, verso l’uomo, di entrare nell’ambiente, di elasticità nell’adattare lo stile della vita religiosa, delle forme organizzative e dei mezzi dell’apostolato alle reali condizioni dell’ambiente per cui lavora.
Nelle Costituzioni della Congregazione (approvate nel 1923), stabilisce una vasta gamma di lavori: “Lo scopo particolare della Congregazione è l’educazione e l’istruzione dei bambini e della gioventù, specialmente dei più poveri e tutte le opere che servono alla diffusione della fede e all’estensione del regno di Dio sulla terra”[29].
La Madre è un’orsolina, perciò un dei problemi per lei più importanti è l’istruzione e l’educazione, cambia però, in riferimento alla tradizione delle orsoline, la struttura sociale delle educande e il tipo di scuola. La Congregazione abbraccia con la sua sollecitudine educativa, prima di tutto i bambini e la gioventù degli ambienti operai e agricoli. Nel ventennio tra le due guerre, la Madre crea diverse strutture educative: scuole, istituti educativi, internati, oratori, corsi professionali per i giovani di ogni età, dalla scuola materna all’università. E’ orientata verso un’educazione integrale, un armonioso sviluppo della personalità e verso la preparazione degli educatori. Cerca un nuovo modello, diremmo oggi personalistico, di educazione per i suoi tempi e per il futuro, prepara il personale che viene formato e che nel futuro diventerà a sua volta formatore. Questo carattere aveva l’Istituto per Insegnanti di Economia Domestica a Pniewy, che preparava le ragazze al lavoro sociale nell’ambiente, o i corsi per i Dipendenti degli Istituti Educativi a Czarny Bór presso Vilnius. Anche nel campo della catechesi, le suore non soltanto si occupavano dell’insegnamento religioso nelle scuole, ma anche della formazione delle insegnanti laiche di religione, specialmente a ºódï, che risentiva della mancanza di sacerdoti e di insegnanti, organizzavano corsi di recupero, esercizi spirituali e il Sodalizio Mariano delle Catechiste.
Tra tante forme di lavoro intraprese dalla giovane Congregazione in dinamico sviluppo, va sottolineare il lavoro missionario, che veniva svolto nelle zone trascurate, le borgate delle grandi città (Varsavia, ºódï, Roma), o nei territori periferici della Polonia, specialmente nella Polesia, e il lavoro nelle fabbriche. Attività di questo genere, delle quali la Madre scrive: “Siamo l’esercito della Santa Chiesa, che va lì dov’è maggiore il pericolo, come una vera avanguardia”, furono quasi preferite nella Congregazione. Ecco alcune testimonianze:
Nel 1923 la Madre scrive da Roma alle suore:“Devo comunicarvi una notizia che dovrebbe essere una grande gioia per noi tutte. Il Cardinal Vicario vuole affidarci una missione, non in Africa, ma qui, dove ugualmente c’è bisogno delle missioni, e precisamente nei dintorni di Roma. Vi sono solo baracche rosse e ci daranno una di quelle. Ho chiesto di non costruire niente di meglio. E così vivremo insieme con ai poveri, insegneremo loro il catechismo, assisteremo i malati e daremo a tutti il nostro amore”[30].
Le orsoline grige andarono dunque a Primavalle, il più povero quartiere di Roma, il più “rosso”, dove un sacerdote non poteva presentarsi senza un poliziotto e vi lavorano fino ad oggi. A questo lavoro prendeva parte e sosteneva le suore con l’aiuto spirituale Mons. G. B. Montini, che poi diventò papa Paolo VI.
“Annopol - scrive una delle «suore delle baracche» - è un’enorme città di miserabili. Ha oltre 14 mila abitanti che vivono in povertà, spesso sono persone traviate, il più spesso infelici, e quasi sempre disoccupate. Si può immaginare qualcosa di più triste, di più doloroso?”[31].
Non era facile “annunziare la buona novella” in quelle condizioni...
A lavorare nella Polesia la giovane Congregazione fu chiamata dal pio vescovo Lozinski e da molte persone, che avevano a cuore il bene di quelle terre, tra gli altri M. Rodziewicz oppure la famiglia Skirmunt.
“Presentai a lei (a Madre Orsola) la mia pressante richiesta di inviarci, nella Polesia, le suore per lavorare nei villaggi e nelle piccole città - scrive Jadwiga Skirmunt. Dissi che i miei sforzi presso le altre congregazioni erano sempre vanificati dalla condizione che ponevano: avere sul posto una chiesa e un sacerdote. Io però ritengo che volendo lavorare per la gloria di Dio e il bene delle anime, non si possono porre condizioni di questo genere. «Le dò tutta la ragione, Signora - rispose la Madre - se davvero si vuole lavorare per Gesù, bisogna saper rinunciare a molte cose»[32].
La Madre non seppe rimanere passiva riguardo a quei segnali, ritenendoli appelli, a cui non si può non rispondere con l’azione.
“Un lavoro molto serio - scrisse - il lavoro missionario, non nell’Africa selvaggia, la Cina o il Brasile, tra le foreste equatoriali, nei paesi inondati dai raggi del sole, non lì dove la missionaria viene circondata da un’aureola di sacrificio e di generosità, ma un lavoro silenzioso, sconosciuto, il lavoro nella zona del confine orientale della Polonia, nei villaggi dove uno procede con fatica nel fango che arriva quasi alle ginocchia, dove durante la pioggia autunnale, le tormente di neve invernali, i disgeli primaverili la comunicazione col mondo è resa impossibile... S. E. Mons. ºozi½ski ci chiama a un tale lavoro missionario nella Polesia”[33].
La Madre mandò dunque nella Polesia le sue “missionarie” che svolgevano il loro apostolato, non tanto tramite la parola, quanto mediante l’opera svolta nelle condizioni in cui viveva e lavorava la popolazione locale. Le baracche, le case coloniche, i pascoli divennero terreno di apostolato, nella forma assai simile a quella attuale delle Piccole Sorelle e dei Piccoli Fratelli, o perfino dei preti operai.
Questo lavoro fu oggetto di particolare sollecitudine da parte di Madre Orsola. Vigilava personalmente su quei posti di lavoro missionari, stabiliva contatti con la popolazione locale. Nella stragrande maggioranza era una popolazione ortodossa, e nel gruppo dei cattolici di vari riti, numericamente piccolo, non c’era una convivenza pacifica. Come la Madre risolveva questo problema, indubbiamente difficile, lo sappiamo dalla relazione del suo più stretto collaboratore in quel territorio, Don Jan Zieja:
“Quando le suore iniziarono il lavoro a Mo»odów (comune Janków Poleski) in una zona dove i cattolici costituivano appena il 5% della popolazione (la più bassa percentuale in tutta la diocesi di Pinsk) - la Madre, parlando con il sacerdote catechista e cappellano del luogo - espresse la propria volontà che le suore non svolgessero opera di “conversione” al cattolicesimo verso i singoli ortodossi. Raccomandava alle suore di fare opere di misericordia (assistenza ai malati, ai poveri, ai bambini), lo svolgimento di un lavoro onesto, disinteressato e non di un tendenzioso lavoro di istruzione e di educazione tra i giovani, indipendentemente dalla confessione religiosa o dal senso di appartenenza ad una nazione. Le suore dovevano dare l’esempio di un’amore aperto a tutti. La Madre era certa che soltanto questa via conduce all’unione degli ortodossi e dei cattolici nel solo ovile di Cristo”[34].
Il lavoro nella Polesia ebbe carattere eminentemente ecumenico. “Qualche mese dopo il nostro arrivo a Horodec ci fu richiesto di occuparci del villaggio I»osk. Inviammo lì una suora. Prendemmo in affitto una cameretta (..) Ed iniziò in quel luogo il lavoro autenticamente missionario. La suora (...) si assunse l’incarico della celebrazione delle funzioni e dunque la funzione domenicale mattutina (canti, preghiere). Avevo chiesto di non organizzare per eccesso di zelo, preghiere troppo lunghe, ma si constatò che quando la suora voleva terminarle, la gente chiedeva: ancora, ancora. Vengono cattolici e ortodossi, tutti desiderano e cercano Dio. La suora celebra le funzioni del mese di maggio, del mese di giugno e quelle del mese di ottobre. Nella cappellina si recitano le preghiere della sera. Benché manchi il sacerdote, la gente non si sente abbandonata”[35].
La Madre sceglie con cura le suore per lavorare nella Polesia sapendo che proprio lì c’è maggior bisogno di tatto, di spirito di sacrificio e di capacità di svolgere un apostolato efficace.
“Per quei posti, osserva, invio, in quanto è possibile, suore con istruzione universitaria in quanto proprio nel lavoro missionario c’è bisogno di persone istruite, bene educate, capaci di orientarsi bene riguardo alle necessità della popolazione. E’ un lavoro duro, specialmente durante l’inverno, quando fa freddo ed è buio, ma dà tanto conforto alle suore che non avrebbero cambiato la loro stretta, piccola, buia cameretta per un appartamento comodissimo”[36].
Le parole del provveditore di allora, della Circoscrizione Scolastica della Polesia, sono una testimonianza eloquente del lavoro della Madre e delle sue suore in quei territori:
“L’attività di carattere religioso, culturale, economico e patriottico in ambienti poverissimi è l’unico contenuto della vita di Madre Ledóchowska, nella cui attuazione ci sono elementi eroici”[37].
La Madre era convinta che le difficili condizioni di vita apostolica e di duro lavoro non sono in contrasto con una profonda vita interiore e religiosa, che piuttosto accelerano la maturità spirituale. Si mobilitano efficacemente per sforzi sempre maggiori e si uniscono a Dio, a Cristo e ciò nel modo richiesto da Lui stesso: nell’uomo e per mezzo dell’uomo.
L’apostolato, specialmente nei territori più abbandonati, difficili, e ambienti di missione, la Madre lo concepiva come una “fusione” con l’ambiente e adattamento alle sue condizioni e alle forme esterne, quali il modo di vestirsi (un semplice vestito grigio), la casa, l’organizzazione del tempo, e perfino il ritmo della vita di preghiera e dell’osservanza religiosa. Diceva: “Per poter far del bene alla gente, dobbiamo vivere come loro”.
Con tale concezione dell’apostolato delle religiose, dovevano essere eliminate molte forme tradizionali e piccoli dettagli, coltivati spesso nelle case religiose. Noi non abbiamo “La poésie du cloître” (la poesia della clausura), scrive al P. Ledóchowski.
Degno di attenzione e di essere sottolineato, è il fatto che le innovazioni di Madre Orsola, erano, in verità, un “ritorno alle fonti”, un riferimento diretto al concetto di Sant’Angela Merici (XVI° secolo), Fondatrice dell’ordine delle orsoline, la quale, a suo tempo, iniziò un nuovo tipo di vita religiosa femminile, che nelle sue forme esterne (la vita apostolica nel mondo, senza abito religioso, senza clausura, con un totale, libero e gioioso dono di tutta se stessa e di tutta l’attività a Dio mediante il servizio del prossimo) richiama alla mente gli istituti secolari di oggi.
Madre Orsola ha estratto quell’elemento, sempre attuale, di unire “nova et vetera”, di far fronte alle necessità più urgenti, conservando dall’“antico” ciò che è essenziale; il principio, che Sant’Angela trasmise nel suo patrimonio, raccomandando alle sue figlie: “Tenete l’antica strada ... e fate vita nuova”. E’ il principio di un incessante aggiornamento, di cui tanto e con tanta insistenza si parla dopo il Concilio Vaticano II.
Tuttavia bisogna tener presente che tale postulato non era talmente ovvio ai tempi in cui la Madre Ledóchowska si dava tanto da fare, al fine di ottenere l’approvazione delle sue iniziative a Roma, che all’epoca non era tanto favorevole a ogni tipo di novità e di esperimenti. Le proposte della Madre, a volte, “coglievano di sorpresa” la Curia Romana per la loro novità e capitavano situazioni come quella di cui P. Ziemski SJ scrive da Roma nel 1923:
“Con la sua ingegnosità, la Madre ha provocato un non piccolo problema alla Sacra Congregazione. Il postulato della Madre, infatti, è in contrasto con le linee a cui si attiene la Congregazione, volendo dunque soddisfare i desideri della Madre, devono ricorrere a modi nuovi per risolvere la questione”[38].
Il Cardinal Stefan Wyszynski scrisse nel 1973: “Oggi, dopo alcune decine di anni di tali iniziative, si può ammirare la penetrazione della Madre nello spirito e nelle direzioni delle trasformazioni attese. Lo spirito religioso è stato conservato, ma la sua vita palpitava nelle diverse forme organizzative. Lentamente, le persone si abituavano alle Suore grigie e ammettevano, che in tal modo sarebbe stato più facile raggiungere i figli di Dio”.
“E occorre ricordare, che ancora mancava tanto alla pubblicazione del decreto del Concilio Vaticano II Perfectae caritatis. Oggi possiamo tuttavia testimoniare che Madre Orsola aveva una buona intuizione delle trasformazioni che stavano per venire e delle necessità dei tempi di oggi. Ciò non sarebbe potuto avvenire senza la piena comprensione del fatto che Cristo è sempre Signore del secolo futuro”.
“In questa unione con il pensiero di Dio nel mondo, vediamo la grandezza della Fondatrice della Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, che più non muore, vive eternamente ed è Sovrano e Centro di tutti i cuori”[39].
6. Apostolato universale
La Madre aveva a disposizione soltanto un gruppo di suore, che stava crescendo, ma sempre ancora poco numeroso, e sapeva che ciò era troppo poco per poter far fronte alle necessità del mondo contemporaneo, che si presentavano. Si rivolse allora ai laici, convinta che l’apostolato non è un campo esclusivo delle persone consacrate e che nel cosiddetto laicato rimangono assopite delle energie non ancora sfruttate:
“Il mondo era abituato a pensare che il lavoro per la salvezza delle anime, per la vittoria dell’idea di Cristo spetta al clero, agli ordini religiosi, l’uomo laico invece può, a seconda del proprio gradimento ed inclinazione, dare una mano al clero, in questo duro lavoro per l’estensione del Regno di Cristo sulla terra, ma anche rimanere indifferente verso i disegni divini (...). Tutti siamo (...) figli dell’unico Padre nostro, che è nei cieli, dobbiamo dunque, in modo solidale aiutarci reciprocamente, (...). Ognuno, secondo la propria possibilità, lavori perché sia santificato il Nome di Dio, perché venga il suo Regno, affinché si compia sempre e ovunque la sua volontà”[40].
La Madre voleva in vari modi raggiungere il laicato e rendere dinamico il suo apostolato. Già a Pietroburgo pensava alle “orsoline laiche”, le quali, libere dalle strutture religiose, avrebbero potuto evangelizzare l’ambiente in cui vivevano. Ora, accanto alle coadiutrici, che sostenevano le suore nel loro lavoro, cerca delle persone che aiutino nei più disparati settori della società e vuole inserirle nel lavoro apostolico, in base ad altri principi, diversi da quelli della vita religiosa. Fa appello alle giovani, proponendo loro di fare come i loro fratelli che hanno il servizio militare a favore della patria, di dedicare alcuni anni della loro vita al servizio sociale:
“Non vi incoraggio allo stato religioso - la vocazione viene soltanto da Dio - ma vi domando se non potreste dedicare a Dio e alla Patria due o tre anni della vostra giovinezza... Tuo fratello forse fa il servizio militare, e ciò non gli è di ostacolo né per la carriera, né per sposarsi, quando verrà il tempo... Se almeno qualcuna si dichiarasse disposta a farlo, potremmo organizzare il lavoro in alcuni luoghi. In questo lavoro maturerai, il tuo spirito prenderà vigore, crescerai ai tuoi propri occhi, poiché ti convincerai di essere stata creata per qualcosa di più alto, più utile (...) Non chiedo per me stessa, chiedo per le anime, per le famiglie, per i bambini”[41].
In risposta all’appello, la Madre ricevette centinaia di lettere. Si presentavano le volontarie. La Madre organizzò per loro dei tirocini negli istituti educativi, gestiti dalla Congregazione, per prepararle ad un lavoro autonomo. Lei stessa rende conto di tale azione:
“Negli ultimi giorni ho aperto una nuova casa... E’ un’esperienza tutta nuova. La casa è diretta e curata dalle mie collaboratrici laiche, da me preparate. Hanno una divisa, ma non sono religiose: ci presteranno aiuto solo per qualche anno...”[42].
“Il mio esperimento con le collaboratrici laiche, sembra che sia riuscito bene, molto bene. Il cuore si rallegra nel vedere le giovani laiche, il cui sacrificio è pari a quello delle zelanti religiose”[43].
La Madre voleva formare un esercito di persone, le quali indipendentemente dal loro stato di vita, fossero unite nell’unico amore per Dio e per la Patria e nell’unico desiderio di sacrificarsi per tutti, per la felicità altrui, nell’unico ideale: il lavoro per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime”[44].
La preparazione del laicato, perché fosse lievito evangelico nel proprio ambiente, non si limitava soltanto ai giovani, alle alunne ed ex alunne delle scuole gestite dalle suore. La Madre voleva raggiungere ancora più ampie cerchie della società. Intraprendeva varie iniziative: per esempio organizza Circoli di Donne e di Casalinghe Rurali, partecipa a vari convegni dove interviene con le conferenze, desiderando presentare alla società il modello di donna e di cattolica. Indica i più fruttuosi metodi di educazione della giovane generazione nello spirito patriottico e religioso. Cerca di destare la consapevolezza della missione della donna nella società contemporanea e della sua responsabilità per il livello della vita familiare e quella religiosa: “Educare le ragazze vuol dire educare le future madri di famiglia. Sappiamo infatti, che il futuro della nazione sta non tanto nelle mani dei nostri politici, quanto in quello delle madri. Sulle ginocchia di una santa madre, vengono educati i pii sacerdoti, i bravi impiegati statali, gli eroi della difesa della patria. Questo lavoro educativo ha bisogno di persone, di persone di buona volontà, di grandi ideali”[45].
7. “Bisogna nutrire nel cuore la santa gioia del lavoro”
In una breve e necessariamente sommaria caratteristica del carisma di Madre Orsola e della sua congregazione, non possono mancare osservazioni sul suo concetto di lavoro nella vita religiosa. Bisogna ricordare nuovamente che il tempo dell’attività della Madre e della fondazione della Congregazione, fu un tempo di grandi trasformazioni e di nuove tendenze nel guardare il lavoro e nella formazione delle strutture del lavoro umano. Più per l’intuizione di un cuore cristiano, che per effetto delle considerazioni socio-teologiche, ha percepito lo spirito del lavoro umano e ha superato le opinioni esistenti, le divisioni e i pregiudizi riguardo ai lavori “più degni e più umili”, “convenienti e non convenienti” per le persone consacrate. Accanto alla preghiera, ha accettato il lavoro, ogni tipo di lavoro, come un obbligo essenziale della vita religiosa. Per lei l’unico criterio del valore del lavoro è l’uomo, suo soggetto e motivo e non oggetto del lavoro e il tipo di esso.
Perciò, nel ventennio tra la due guerre, durante la guerra e dopo la liberazione, si potevano vedere le orsoline grigie dedite ad ogni tipo di lavoro: dietro l’aratro sul campo, con la cazzuola in mano nella costruzione di una casa, nella scuola materna e nella casa famiglia, nell’istituto per i bambini andicappati e sulla cattedra universitaria.
In modo particolare, il fatto che le religiose eseguissero dei lavori fisici: nei campi o in fabbrica, all’inizio del ventesimo secolo, era espressione di un’autentica solidarietà con la famiglia umana dedita al lavoro, di una solidarietà che scaturiva da una concezione cristiana, personalistica del lavoro, che trovò la sua base profonda nell’enciclica Laborem exercens .
“Accettiamo ogni lavoro come manifestazione della volontà di Dio, come prolungamento della preghiera, come atto di amore ed espressione di ascesi personale. Mediante il lavoro partecipiamo all’opera divina della santificazione e della perfezione dell’uomo e all’opera della trasformazione del mondo”[46].
“In questa nostra Congregazione sono chiamata a lavorare, e dunque devo mettermi a lavorare con tutto lo zelo, con tutto il coraggio, senza risparmiarmi, comprendendo il dovere di lavorare, fino all’ultimo istante della vita. Il tempo del riposo sarà in cielo e qui, sull’esempio degli apostoli e di Gesù, devo lavorare per Dio, per la salvezza delle anime e della mia anima”[47].
Per questo, nell’opinione dei contemporanei, Madre Ledóchowska era colei che “Ha creato un nuovo tipo di vita religiosa, introducendo in essa il culto del lavoro per Dio e per il prossimo e ha ricordato il suo valore e la sua dignità”[48].
“Ha fatto vedere che Dio bisogna amarlo così, che in questo amore devono far male le mani, le gambe e la testa”[49].
8. “Amore per amore, sacrificio per sacrificio”
Nonostante il grande slancio apostolico e gli ampi orizzonti dell’attività educativa, sociale e religiosa, che indicava alle sue figlie spirituali, Madre Orsola fu l’opposto di“un’”attivista”, assorbita totalmente dall’attività esterna. Il suo ardore apostolico e l’infaticabile entusiasmo nel lavoro, avevano il carattere proprio dei mistici più che degli attivisti sociali e scaturivano da una profonda unione con Cristo, da una fede viva e da una profonda vita di preghiera. L’abnegazione della Madre unita alla personale umiltà, la semplicità e la serenità nel contatto con gli altri, attingevano da uno ricco deposito di vita interiore, formata nel Cuore aperto di Gesù agonizzante per la salvezza del mondo.
L’amore “esige amore per amore, sacrificio per sacrificio... seguire Gesù crocifisso - in croce con Gesù in croce...”[50].
“Un’orsolina del Sacro Cuore di Gesù agonizzante, dovrà mettersi in ascolto della supplica dolorosa che scaturisce dalle labbra del Signore che agonizza sulla croce: «Sitio»! Gesù desidera persone capaci di amarlo, sulle quali poter riversare, in cambio del loro amore, i tesori delle sue grazie... Arda nei vostri cuori, continuamente il fuoco dell’amore per le anime”.
“Salvarle [le anime], portarle a Gesù, far loro conoscere l’infinita bontà del suo Cuore, ecco l’ideale al quale dobbiamo consacrarci”[51].
L’amore sconfinato per Cristo, la sottomissione all’azione del suo amore, l’amore per gli uomini, testimoniato con l’amore e il lavoro apostolico, derivante dall’amore di Dio e degli uomini, costruito sul fondamento della preghiera, costituiscono, secondo la Madre, l’essenziale contenuto della vita religiosa. Trasmise questa interpretazione alle sue figlie spirituali, vigilava personalmente sulla loro formazione e le preparava all’apostolato. Insegnava un atteggiamento aperto alle necessità altrui, educava al clima di dialogo con Dio e con il mondo, ad un dialogo personale, e allo stesso tempo estremamente semplice e sincero.
L’amore del “Cuore Agonizzante di Cristo” deve essere la misura di questo amore. “Devo amare il prossimo come Gesù ha amato me (...). Prendete e mangiate le mie forze, sono a vostra disposizione (...). Prendete e mangiate le mie capacità, il mio talento (...), il mio cuore, che con il suo amore esso riscaldi e rischiari la vostra vita (...). Prendete e mangiate il mio tempo, sia a vostra disposizione. Io sono vostra come Gesù è mio”[52]. “L’amore viene provato con un atto d’amore: le parole, i sentimenti possono essere un’illusione, l’atto è la verità”[53].
Nell’atto d’amore, la Madre poneva a se stessa e agli altri le massime esigenze:
“Nessun lavoro perciò sembri loro troppo penoso, nessuna fatica troppo grande, nessun sacrificio troppo grave, quando si tratta di aiutare il prossimo. Seguendo l’esempio di San Paolo piangano insieme a quelli che soffrono, si rallegrino con quelli che sono nella gioia, e dimenticando se stesse, divengano tutto per tutti, per condurre tutti a Gesù Cristo, all’amore del Sacratissimo Cuore”[54].
La pienezza d’amore verso Dio, verso Cristo, la pienezza la cui misura è l’amore di Cristo manifestato nel suo Cuore aperto, è l’essenza della vita religiosa, e allo stesso tempo la garanzia di un corretto sviluppo delle persone consacrate, i cui voti devono renderle libere dai limiti, eliminare gli ostacoli che si trovano sull’unica via, la più sublime e colma d’amore.
La Madre aveva fiducia nell’uomo, perciò educava le suore all’autonomia e alla libertà, perché era convinta che l’amore di Dio e degli uomini, il completo impegno nell’apostolato, avrebbe fatto superare ogni pericolo. Perciò raccomandava alla maestra delle novizie:
“Si sforzi di preservare le loro anime [delle novizie] dalla ristrettezza di mente e di cuore; si può benissimo associare l’esattezza nel compiere il dovere, nel conformarsi alle Costituzioni, agli Usi, con una mente larga, un cuore grande, che sa comprendere la vita in maniera più elevata secondo le parole del nostro Padre e Legislatore, Sant’Agostino: «Ama e fa quello che vuoi». Ama, - che amino Dio con tutto il cuore e andranno sempre avanti senza timore, - chi ama non può peccare”[55]
L’amore di per sé forma una “nuova vita”. Il semplice, sincero, generoso, umile e gioioso amore di Dio e del prossimo deve essere per la Congregazione la forza e il principio di un continuo aprirsi alle persone nuove, ai nuovi tempi, alle nuove necessità.
****** NOTE ******
[1] Storia della Congregazione delle Suore orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, p.1.
[2] Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 7.
[3] Ibid.
[4] Lettera del 1889 a Vladimiro Ledòchowski, futuro preposito generale dei gesuiti
[5]Dalla lettera postulatoria indirizzata nel 1964 alla Santa Sede dalle ex alunne della M. O. Ledóchowska.
[6] Ibid.
[7] Storia della Congregazione, p. 13.
[8] Storia della Congregazione, p. 10.
[9] F. Kaptur, Wspomnienia (dattiloscritto).
[10] Lettera a W. Ledóchowski, 25.6.1918.
[11] Lettera a W. Ledóchowski, 1918.
[12] Storia della Congregazione, p. 85.
[13] J. Krzyzanowski, Henryk Sienkiewicz, kalendarz zycia i twórczosci, Warszawa 1956, p. 288.
[14] Conferenza tenuta a Upsala il 2.11.1915 (dattiloscritto).
[15] Conferenza tenuta in Danimarca, autunno 1915 (dattiloscritto).
[16] Storia della Congregazione, p. 61.
[17] Polonica. Autori vari. Stoccolma 1917. Nel libro è contenuto tra gli altri un articolo di Ellen Key su Chlopy di Reymont, il quale, come ritennero alcuni - potè contribuire al fatto che sette anni dopo egli fu insignito del premo Nobel.
[18] Storia della Congregazione, p.55.
[19] Ibid., p. 58.
[20] Ibid., p. 59.
[21] Storia della Congregazione, p. 66.
[22] Ibid., p. 63.
[23] Storia della Congregazione, p. 78.
[24] Ibid., p. 84.
[25] M. Sokolnicki, Rok czternasty, Londra 1961, pp. 332-333.
[26] Storia della Congregazione, p. 61.
[27] Dalla lettera a M. Sokolnicki, del 18.7.1915, Rok czternasty, p. 334.
[28] Sant’Angela Merici, Gli Scritti, Brescia 1996, p. 93.
[29] Cfr. Costituzioni 1923, 1.
[30] Lettera circolare del 1932.
[31] S. T. Leszczynska, Praca wsród bezdomnych, “Dzwonek Sw. Olafa” 1931, n° 4, p. 76.
[32] J. Skirmunt, Wspomnienia o Matce U. Ledóchowskiej, (manoscritto), (Archivio della Congregazione).
[33] Urszula Ledóchowska, Akcja Katolicka, “Dzwonek Sw . Olafa” 1931, n° 4, p. 42
[34] Don Jan Zieja, Wspomnienia,(manoscritto), (Archivio della Congregazione).
[35] M. U. Ledóchowska, Na Polesiu, “Dzwonek Sw. Olafa” 1937.
[36] Discorso alla radio.
[37] R. Petrykowski, Wspomnienia o M. Urszuli Ledóchowskiej, 1950 (manoscritto).
[38] Lettera di P. Ziemski, del 1923, alla M. U. Ledóchowska (Archivio).
[39] Una parola del Primate Card. Stefan Wyszynski nel libro: Sr. Józefa Ledóchowska, zycie i dzia»alnosc Julii Urszuli Ledóchowskiej, Poznan 1975, p. 6.
[40] M. U. Ledóchowska, Akcja Katolicka, “Dzwonek Sw. Olafa”, 1935, IV.
[41] M. U. Ledóchowska, “Dzwonek Sw. Olafa”, 1927, I.
[42] Lettera al P. Vladimiro Ledóchowski del 11.10.1927.
[43] Ibid., 20.10.1927.
[44] Ibid.
[45] M. U. Ledóchowska, Ratujmy, “Dzwonek Sw. Olafa”, X (1927), p. 45.
[46] Costituzioni della Congregazione, 10.
[47] Meditazioni, vol. II, Pniewy 1936.
[48] P. K. Szrandt, Kultura 25.VI.1939.
[49] Don Konstanty Michalski, Brat Albert, Cracovia, p. 100.
[50] Cfr. Testamento, p.42.
[51] Testamento, p. 75.
[52] Meditazioni, giugno.
[53] Ibid.
[54] Costituzioni della Congregazione, Pniewy 1938.
[55] Direttorio per le suore funzionarie, p. 62.