G. M.

Madre Orsola Ledochowska

- ossia una lezione di ottimismo.

 

    L'autentico ottimismo è una virtù difficile e un atteggiamento che oggi si riscontra piuttosto raramente anche tra i cristiani, ai quali appunto non dovrebbero suonare strane le parole di Cristo: « Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Voi avrete tribo­lazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo » (Gv 16, 33).

    I primi seguaci dei Redentore vedevano in lui soprattutto il Vincitore « della morte, dell'inferno e di satana ». E perciò rileggevano tutta la storia dell'umanità - sia il passato che l'avvenire - alla luce del mistero della risurrezione. Nei momenti più oscuri delle orribili persecuzioni, essi conservavano la fede e la gioia, memori delle esortazioni dell'Apostolo Pietro: « A voi, che mediante la fede siete custoditi dalla potenza di Dio, affinché raggiungiate la salvezza, la quale è pronta per essere manifestata nell'ultimo tempo. E' questo il motivo che forma la vostra gioia, anche se è necessario che voi siate contristati per breve tempo ancora da diverse afflizioni, affinché la vostra fede provata, ben più preziosa dell'oro che perisce e tuttavia si prova col fuoco, sia trovata de­gna di lode, di gloria e d'onore, quando ritornerà Gesù Cristo. Voi lo amate, senza averlo veduto, in lui voi credete, senza vederlo ancora, esultando di una gioia ineffa­bile e gloriosa, poiché voi otterrete la salvezza delle vostre anime, come premio della vostra fede » (1 Pt 1, 39).

    Erano belli quei tempi in cui i cristiani, andando incontro alle più dure prove a seguito della loro testimonianza del Vangelo, riscoprivano il segno della gioia per la vittoria sul male. La loro attesa escatologica per la chiusura finale dei libri della storia dei cosmo non aveva nulla in comune con il catastrofismo di oggi. Essi consideravano la disintegrazione del cosmo e la recisione dei groviglio dei destini umani con la spada della giustizia, come una grande vittoria di Cristo, a cui anche essi partecipavano mediante la loro fede e la collaborazione con la grazia. Essi non erano degli ingenui. Vedevano l'immensità del male nella realtà, in cui erano immersi, erano consapevoli dell'influenza del male anche sui credenti, tuttavia questo rafforzava ancor più la loro convinzione che non sarebbe stato un miracolo ad assicurare il trionfo sul male, ma lo sforzo dell'intelletto e della volontà dell'uomo.

Il loro ottimismo scaturiva dalla fede nella potenza e nella bontà di Dio e nella capacità delle creature ragionevoli e libere a collaborare col Creatore e Redentore nel realizzare il regno della verità, della libertà e della felicità. Pensavano in maniera molto logica che i disegni di Dio non sovrastano le forze umane. E perciò l'invito ad estendere il bene può essere accolto da ciascun uomo, il quale è in grado di introdurre almeno una particella di armonia in ogni realtà.

Nella storia della filosofia cristiana l'uomo è il partner di Dio, il suo libero collaboratore e non uno strumento cieco o uno schiavo. Egli è capace di comprendere che la sua vera dignità consiste nell'inserirsi nei piani di Dio con il proprio impegno e, se necessario, con la sofferenza, affinché l'opera di tutta la sua vita richiami alla memoria la meravigliosa immagine, presentata dal Salmista: « Nell'andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni » (Sal 126, 6).

Soltanto questi uomini comprendono la storia e nel medesimo tempo cercano di arricchirla col loro essere, cioè con la loro psiche ordinata, con profonde riflessioni ed esperienze religiose, aspirando alla perfezione, secondo la legge dei Vangelo. L'albero genealogico dei buoni affonda le radici molto profondamente - fino alla volontà creatrice di Dio. L'ottimismo è dunque un elemento indispensabile per un'autentica filosofia cristiana e per una teologia cattolica. Esso dovrà anche animare l'etica dei lavoro e l'efficienza di ogni azione.

Nell'atmosfera di tale ottimismo il cristianesimo educa i suoi seguaci. Si dice spesso - ed è erroneo - che il cristiano debba anzitutto essere sensibilizzato al male in tutte le forme dei peccato, che debba essere impaurito e nello stesso tempo stupito della sua potenza, come gli abitanti di una città assediata che vivono nel continuo terrore dell'assalto ultimo e decisivo dell'avversario. La paura e la tristezza dovrebbero dunque entrare quasi organicamente nella struttura della vita cristiana. Ma questo viene contraddetto dalle parole di gioia, con cui i seguaci di Cristo andavano verso un mondo difficile e spesso ostile nei loro riguardi. Essi erano soprattutto sensibili al bene, ad ogni suo anche minimo frammento riscoperto nella realtà in cui vivevano. Così Clemente d'Alessandria cercava con diligenza « i semi di verità » nella cultura pagana e si rallegrava, quando poteva riportarli all'unica sorgente di ogni verità e bene a Dio.

        Persona di tale acutezza di sguardo era anche la Madre Orsola Ledóchowska. Il programma della sua vita è racchiuso in una delle sue poesie giovanili, che porta un titolo ben significativo: Raggio di sole, e inizia con queste parole: « O Signore che io sia un raggio di sole che diffonde ovunque conforto e gioia ».

        Quando il pensiero dell'Europa, durante il tempo della prima guerra mondiale, era  pervaso da una nuvola di pessimismo che proclamava la fine della civiltà cristiana, Madre Orsola inizia a pubblicare in Svezia il primo ed unico mensile cattolico: Solglimtar - Raggi di sole. Era l'anno 1916. Anno molto triste e contrassegnato dal massacro di Verdun e dagli interrogativi sul senso dell'enormità delle sofferenze umane. Nel cuore dell'Europa cristiana rivive il termine « barbarie » gettato da una linea sanguinante del fronte all’altra. Scriveva allora un giornalista francese: « Orribile e senza speranza è la nostra cultura perché è affidata ormai soltanto alla lama di una baionetta ». Contemporaneamente, nello stesso anno 1916, il filosofo tedesco Oscar Spengler pubblica la prima parte della sua opera: Der Untergang des Abendlandes - Declino dell'Occidente.

Nella coscienza degli uomini coinvolti nella bufera della guerra rimaneva poco spazio per l'ottimismo, per la gioia, per uno sguardo sereno sull'avvenire. Il più grande pericolo consisteva però nel perdere la fede in quei valori che fino allora avevano formato il pensiero, la morale e l'agire della comunità cristiana. Era necessario che qualcuno ricordasse ad essa il dovere di ritornare ai principi più semplici, alle prospettive di Betlemme, in cui tutti i problemi del­la sorte favorevole o avversa dell'uomo trovano la loro soluzione.

                 La Madre Orsola ha ben riletto i bisogni della sua epoca che presentiva la svolta che si stava attuando nel corso della storia contemporanea e che l'anno 1914, e tutto ciò che lo precedeva, preannunziava radicali cambiamenti nelle situazioni politiche, sociali, culturali e religiose. A questi presentimenti e paure essa ha offerto le sue proposte contenute in « pensieri ed atti pre-conciliari ». Proposte molto semplici ed insieme molto coraggiose che scaturivano dalla sua fede nella bontà di Dio e nella bontà dell'uomo.

La fede in quei tempi era difficile perché al primo posto si poneva la legge del più forte, a spese della sofferenza degli innocenti. Sembrava ad alcuni che tutta la teologia della bontà di Dio fosse crollata sotto il peso della violenza e dei l'ingiustizia.

Madre Orsola comprese che la ricostruzione di questa teologia non era questione soltanto di ricerche intellettuali e di un accumulo di nuove sottili argomentazioni, ma di una concreta testimonianza, con atti dì bontà personale, della costante e benevola presenza di Dio nella storia di ogni uomo. Scrive così in una delle sue meditazioni: « Quanto più darò agli altri di letizia, di gioia - ma di quella gioia che è santa, divina tanto più facilmente potrò convincerli ed esercitare un influsso su di essi. Il primo apostolato della bontà, il cammino più breve per arrivare ai cuori degli altri è una costante serenità d'anima, un costante riflesso della felicità sul volto e della gioia in tutto il proprio essere. Questo è senza dubbio difficile perché alle volte l'anima è oppressa, gli occhi si riempiono di lacrime, e non si deve mostrare ciò che duole, ma bisogna essere tranquille, serene, per gli altri, per il loro bene, per la loro felicità, per dare l'esempio. Questo è un vero apostolato, è un atto d'amore verso Dio. L'apostolato della bontà è donarsi agli altri, il che non è facile ». E nell'articolo: L'apostolato dei sorriso (Campana di S. Olaf, 1936, X) ella afferma: « Dio si è riservato il diritto di santificare gli uomini per mezzo della croce, a noi invece ha lasciato il soave dovere di sorreggerli nel penoso cammino lungo la via della croce, seminando intorno piccoli raggi di felicità e di gioia. Possiamo farlo spesso, molto spesso, con un sorriso di amore, di bontà, quel sorriso che parla loro dell'amore e della bontà di Dio ».

La Madre Orsola ha parlato con tutta la sua persona di questo amore e di questa bontà di Dio. La fonte essenziale del suo ottimismo era la fiducia in Dio, la fiducia nell'uomo e in se stessa perché sapeva pensare, credere e vivere perfino ogni minimo momento della realtà in forma globale, cioè inserito nel piano salvifico di Dio. Da riflessioni ed esperienze analoghe nacque l'affermazione di San Paolo Apostolo: « Tutto posso in colui che mi dà la forza » (Fil 14, 13).

Solo tali ottimisti possono rischiare grandi opere di bontà. Ne è testimone San Massimiliano Kolbe, il quale annunciava in Giappone la verità sul Redentore, e ad Auschwitz si dimostrò un cristiano coerente. Madre Orsola camminava su una strada simile. Credeva nella bontà scambievole anche se, umanamente parlando, ai grandi sforzi e sacrifici non corrispondevano sempre risultati visibili e immediati. La bontà infatti è feconda prima di tutto in colui che ne fa il principio essenziale della propria vita e della propria attività. L'uomo cresce donando se stesso.

In tutte le testimonianze delle persone che hanno conosciuto la Madre Orsola si ripetono sempre le espressioni: tranquilla, serena, gioiosa, dinamica, tutta per gli altri. In realtà era tale, anche nelle più difficili situazioni della sua vita. Quando si rese conto che le verità divine debbono essere comunicate dagli uomini tramite un gesto apostolico, si preoccupava che questo gesto fosse sempre bello e radioso. Da qui deriva questa sua riflessione: « La serenità di animo non è solo una virtù che richiede forza e coraggio, non è soltanto una penitenza che crocifigge la natura, ma è anche un apostolato assai efficace. Forse nulla colpisce tanto gli indifferenti e i non credenti quanto la vista di una persona sempre serena, raggiante di una felicità interiore, sorridente, sebbene sia noto che essa porta le proprie croci ed è angustiata da molteplici preoccupazioni. Questa santa gioia dello spirito parla da sé dell'azione di Dio, rivela l'esistenza di una realtà soprannaturale, dove l'anima trova la felicità che il mondo non è in grado di dare ».

Una delle accuse che Nietzsche rivolgeva ai cristiani era questa: « non sembrano essere dei salvati ». Se egli avesse incontrato la Madre Orsola, forse avrebbe modificato il suo giudizio troppo severo riguardo ai seguaci di Cristo del suo tempo. Nel suo citato articolo: L'apostolato del sorriso troviamo una frase che in certo senso è vicina all'affermazione dei filosofo tedesco « Ci si lamenta spesso, si scrive perfino ne giornali, che oggi è quasi impossibile incontrare un volto sereno, sorridente. I tempi sono duri, molto duri, e sul volto degli adulti e perfino dei fanciulli le preoccupazioni, la miseria, la sofferenza hanno impresso il suggello dei dolore, della delusione, della tristezza. Come dopo un lungo inverno l’uomo ha nostalgia dei raggi primaverili del sole così in questi tempi difficili si cerca un viso sereno, raggiante, sorridente. Poco fa, a Varsavia mi hanno perfino detto che la gente si volta quando vede un viso sereno ».

Infatti la gente si voltava nel vedere i volto sempre sereno di Madre Orsola. Fra le sue allieve circolava la frase: « è la felicità che cammina ». Ciò conferma anche la confidenza da lei stessa fatta nel giubileo d'oro della sua vita religiosa: « In questi 50 anni trascorsi in religione non ho avuto un momento in cui mi sia sentita infelice - cinquant'anni di grande felicità ».

Se è vero che ogni artista rivela se stesso anzitutto nella propria opera, Madre Orsola si è rivelata pienamente nella sua famiglia religiosa, alla quale ha dato vita e che ha contrassegnato con la gioia, la serenità, l'ottimismo. Le Orsoline grigie hanno ben interpretato il Testamento della loro Fondatrice e, secondo il suo spirito, continuano il dialogo con il mondo contemporaneo.

Quel mondo al quale manca la gioia, e sembrerebbe che, grazie allo sviluppo della civiltà tecnica, che rende accessibile all'uomo la ricchezza di quei mezzi necessari per accomodarsi tranquillamente nel cosmo, debba crescere anche la gioia e l'ottimismo. Il ventesimo secolo è iniziato alla luce di una tale speranza. Ben presto però questa luce si è spenta, dando luogo alla paura dell'avvenire sul quale acquistarono potere e vigilanza i seguaci del catastrofismo. Viviamo in un'atmosfera di inquietudine, di scoraggiamento e di incertezza. Perfino i credenti soccombono ad un pessimismo sempre crescente e tanto più pericoloso in quanto unito alla tentazione di perdere la fede nella « magna carta » della felicità, proclamata da Cristo sotto la forma delle « Beatitudini ». E questo è avvenuto perché la concezione della felicità, della gioia, della serenità e di un sano ottimismo è stata recisa dalla sua sorgente vivificante - da Dio e dalla realtà della salvezza. Numerosi sono oggi i cristiani che assumono l'atteggiamento dei discepoli tristi che, dopo la risurrezione di Cristo, erano in cammino per Emmaus e ripetevano: « Noi speravamo... ».

A questi cristiani tristi e delusi bisogna riaccendere la gioia dello spirito e del cuore. Infatti, è proprio dovere dei cristiani diffondere la Buona Novella tra tutti gli uomini e ricordare che l'opera più meravigliosa della storia dell'umanità è ormai compiuta. Cristo l’ha vivificata e ne ha indicato la direzione. San Giovanni descrivendo ì fatti avvenuti dopo la risurrezione dei Redentore e le sue apparizioni ai discepoli, aggiunge: « E discepoli gioirono al vedere il Signore » (Gv. 20, 20).

Madre Orsola ha individuato il proprio ruolo e quello della sua congregazione nell'annunziare il Cristo come causa di ordine e di gioia nel mondo. Invitava dunque tutti alla scuola de vero ottimismo. Grazie alla sua vita e alla sua opera questa scuola è sempre aperta e la lezione continua.