GUARIGIONI MIRACOLOSE
PER INTERCESSIONE DI MADRE ORSOLA LEDÓCHOWSKA
Un Santo è per noi non soltanto un modello di comportamento, ma anche intercessore, mediatore tra la terra e il cielo. Ci rivolgiamo a coloro che ci hanno preceduto nel cammino verso il cielo, chiedendo l’aiuto, contando su di esso, avendo fiducia che loro non solo possono e vogliono aiutare, ma che anche Dio vuole mostrare la forza della loro preghiera di intercessione, compiendo dei miracoli per loro merito, concedendo le sue grazie.
Sin dal momento della morte di Madre Orsola, numerose persone, profondamente convinte della sua santità, si rivolgevano a lei chiedendo aiuto in vari problemi e preoccupazioni. I ricordi raccolti sono la testimonianza che in molti casi quelle persone furono esaudite. Ci giungono sempre nuove notizie di grazie ottenute per intercessione di Madre Orsola.
La procedura giuridica di una causa di beatificazione o di canonizzazione esige che la santità, di un dato servo di Dio, venga confermata con un chiaro miracolo. Esso deve essere accuratamente esaminato dai medici e dai teologi a questo designati.
Nel giugno 1983, nell’ambito del procedimento per la beatificazione, furono approvati da papa Giovanni Paolo II le due guarigioni miracolose: di Sr. Danuta Pawlak e di Jan Kołodziejski, operate per intercessione di Madre Orsola Ledóchowska.
Il 23 aprile 2002 Giovanni Paolo II, a nome della Chiesa, ha confermato ufficialmente l’intervento miracoloso della beata Orsola Ledóchowska nel salvataggio della vita di Daniel Gajewski.
Suor Danuta (Maddalena) Pawlak, nata il 16 ottobre 1914, un’orsolina SCGA, fu guarita nel 1946 dalla malattia definita: pancitopenia cum diathesi haemorrhagica thrombocytopenica, cioè pancitopenia con diatesi emorragica trombocitopenica.
La malattia si manifestò nella Suora per la prima volta nel 1938, quando aveva 24 anni, in seguito ad un’influenza. Era caratterizzata sia da periodi di riacutizzazione di infezioni in vari organi del corpo, sia da esacerbazioni della diatesi emorragica, che perdurarono sette anni e otto mesi.
In quel periodo di alcuni anni, Sr. Danuta fu ricoverata negli ospedali delle seguenti città: Szamotuły, Poznań, Varsavia, Zakopane, in vari reparti specialistici, a causa delle insistenti emorragie dal naso, dalle orecchie, dalle gengive e dalle vie urinarie, di malattie provocate da infezioni e dell’artrite acuta, accompagnata da febbre alta. Le cure ospedaliere nelle condizioni del tempo di guerra e in quello del dopoguerra, portavano un miglioramento solo momentaneo. Dopo ogni rilascio dall’ospedale la Suora rimaneva sotto costante cura dei medici (ambulatoriale o domestica).
Nel novembre 1944, Sr. Danuta fu trasferita da Varsavia a Zakopane in uno stato di estremo esaurimento. Lì era curata a casa da tre illustri specialisti, ma senza esito. Il suo stato era agonico a causa di persistenti emorragie. Perciò nel gennaio 1945, venne trasferita all’Ospedale Municipale di Zakopane, dove senza alcun esito si tentava di applicare varie terapie allora accessibili. Il 1° luglio 1945 fu dimessa dall’ospedale in condizioni disperate. L’indebolimento dell’organismo era talmente grande, che l’inferma non era in grado di eseguire autonomamente alcun movimento come per esempio, mettersi seduta, alzare il capo, mangiare. Ai problemi già in atto si aggiunsero forti coliche di fegato, che a volte duravano alcune ore e un ascesso retrotonsillare che minacciava di soffocarla (l’intervento chirurgico non era possibile a causa di un’intensa diatesi emorragica). I medici, come anche chi la circondava, prevedevano il decesso in breve tempo.
In questa situazione disperata, le Suore decisero di iniziare il 6 febbraio 1946 la novena al Sacro Cuore di Gesù, per intercessione di Madre Orsola Ledóchowska, per ottenere la guarigione di Sr. Danuta. Non era stata informata di questo la malata, che con serenità attendeva la morte.
Intanto nella notte tra il 5 e il 6 febbraio, Sr. Danuta vide in sogno Madre Orsola, che ordinò di fare una novena al Sacro Cuore di Gesù, predicendo le tappe successive delle improvvise e definitive regressioni dei sintomi della malattia e il totale recupero delle sue forze nell’ultimo giorno della novena.
La malata, che per sua natura non attribuiva importanza ai fenomeni paranormali, cercò di addormentarsi; udì allora la voce di Madre Orsola che ripeté l’ordine di annotare immediatamente il contenuto del sogno. La Suora, impossibilitata ad adempiere la volontà della Fondatrice a causa dell’estremo indebolimento, chiamò l’infermiera, alla quale dettò quanto doveva annotare.
La predizione della Madre si avverò nei minimi dettagli. Durante la novena, nei giorni indicati dalla Madre, scomparvero improvvisamente e definitivamente le emorragie, le ecchimosi e i dolori nella cavità addominale. L’ultimo giorno della novena, la malata ricuperò completamente le forze fisiche.
L’indomani, cioè il 15 febbraio 1946, Sr. Danuta si alzò alle 5 di mattina, mise in ordine la sua camera e si recò nella cappella per la meditazione e la S. Messa.
Nonostante la fede e la fiducia, con cui la comunità delle Suore faceva la novena, l’improvvisa apparizione di Sr. Danuta, che da sei mesi non era in grado di sollevare il capo dal cuscino da sola, suscitò nella cappella un grande sconcerto. Non mancarono le lacrime, e perfino lo spavento.
La suora guarita si inserì immediatamente, con tutta semplicità, nella vita e nel lavoro della comunità. Lo stesso giorno, nel pomeriggio, afferrò una pesante lucidatrice e lucidò tre camere, spostando da sola i mobili. “Devo verificare, disse, se sono viva oppure è tutto un sogno”.
Gli esami del sangue, effettuati durante la settimana successiva alla guarigione, dimostrarono valori normali. La guarigione fu rapida, completa e duratura. Per un periodo di 37 anni, cioè fino all’anno 1983, non si manifestò più alcun sintomo di diatesi emorragica. Gli esami del sangue e del midollo osseo non si scostarono dalla norma.
Sr. Danuta Pawlak prese parte alla liturgia della beatificazione di Madre Orsola Ledóchowska il 20 giugno 1983, a Poznań. Durante la S. Messa della beatificazione portò i doni al momento dell’offertorio.
Morì l’11 maggio 1996 a Ożarów Mazowiecki.
Jan Kołodziejski, nato il 29 novembre 1897, mastro carpentiere, ebbe, il 21 maggio 1946, un incidente sul lavoro. Nel costruire un pagliaio a Samarzewo si stava servendo di una sega meccanica. Per disattenzione abbassò la mano sul disco della sega in pieno movimento. La sega gli tagliò l’olecrano dell’avambraccio sinistro, i muscoli e i tendini, provocando inoltre un’estesa ferita lacera. Il primo soccorso (medicazione, laccio emostatico) gli fu prestato dal medico di Pyzdry, il quale dichiarò che il paziente rischiava l’amputazione dell’avambraccio, se entro due ore non fosse stato eseguito un intervento chirurgico.
A causa delle difficoltà nel trovare un mezzo di trasporto Jan Kołodziejski raggiunse l’ospedale di Września soltanto dieci ore dopo l’incidente (cioè il 22 maggio alle due di notte).
Il primario dell’ospedale, dott. C. M. e il suo assistente, dopo una minuziosa visita al malato, decisero l’immediata amputazione dell’avambraccio a causa dei disturbi di circolazione, dell’assenza di sensibilità, dell’immobilità delle articolazioni delle dita e dei sintomi di cancrena. Il paziente non diede il consenso all’intervento. I medici medicarono dunque la ferita, eliminarono le schegge ossee, suturarono i tendini, prendendo in considerazione la necessità dell’amputazione in brevissimo tempo. Al malato non venne somministrato alcun antibiotico, poiché l’ospedale non ne disponeva, neppure furono eseguite le radiografie, dato che l’apparecchio non funzionava.
Dopo tale trattamento lo stato del malato peggiorava di ora in ora e nel giorno critico, il 26 maggio, cioè il quinto giorno dall’incidente, la febbre raggiunse i 40°, sopravvennero brividi, dolori molto forti, aumentò il gonfiore e la lividezza dell’avambraccio. La sera il primario dell’ospedale, dopo aver visitato il malato, decise che l’indomani si doveva necessariamente amputare l’avambraccio. Questa volta Jan Kołodziejski diede il suo consenso. Soffriva tanto, era certo di non arrivare al mattino successivo.
In questa drammatica situazione si avvicinò a lui la signora Gertruda Gąsiorowska che vegliava nella stessa sala al capezzale di suo marito, vittima di un grave incidente. Piena di compassione e di speranza, diede al malato un libretto di preghiere al Sacro Cuore e la foto di Madre Orsola Ledóchowska, esortandolo a invocare la sua intercessione per ottenere la guarigione del braccio. Lei stessa si unì alla preghiera.
Il malato baciò la foto e pregò fervorosamente per due, tre ore. Infine disse le seguenti parole: “Signore, non la mia, ma la Tua volontà sia fatta, e offro tutte le sofferenze per i miei peccati”.
In quell’istante cessò improvvisamente il dolore al braccio, scomparve il gonfiore e la lividezza della cute, l’avambraccio riacquistò la sua funzionalità. Kołodziejski alzò il braccio esclamando: “O Gesù, signora Gąsiorowska, il mio braccio è sano!”.
L’indomani, senza domandare il permesso, egli si vestì da solo, servendosi di ambedue le mani, e si recò in cappella per la S. Messa, per ringraziare il Signore della grazia della guarigione.
Prima della visita medica gli fu misurata la temperatura, era normale, sebbene la sera prima avesse raggiunto i 40°. I medici che avrebbero dovuto amputare l’avambraccio, nella sala operatoria si trovarono davanti a un fatto inconsueto: il braccio senza gonfiore, il pus era sparito, la ferita rimarginata, nessuna traccia di cancrena, il colore della pelle normale, la sensibilità e i movimenti del braccio e delle dita ripristinati. Non restava loro nient’altro da fare che togliere i punti e le grappette messi prima.
Era il sesto giorno dall’incidente. Il malato venne trattenuto per alcuni giorni in ospedale in osservazione. Sia i medici che il personale infermieristico e i malati furono profondamente scossi dall’accaduto, che unanimemente chiamarono ”miracoloso”.
Il 3 giugno 1946 Jan Kołodziejski fu dimesso dall’ospedale completamente guarito. Il 5 giugno si recò in bicicletta a Samarzewo, dove riprese il lavoro interrotto in seguito all’incidente.
Egli continuò a esercitare il suo duro mestiere di carpentiere, servendosi liberamente di ambedue le braccia, senza alcun disturbo, sebbene le lastre del 1967 e le successive dimostrarono una fessura esistente là dove fu tagliata l’ulna sinistra. Secondo il parere degli esperti la funzionalità del braccio sinistro era come prima dell’incidente. La guarigione fu riconosciuta come rapida, completa e duratura.
Jan Kołodziejski prese parte alla liturgia della beatificazione di Madre Orsola Ledóchowska, il 20 giugno 1983, a Poznań. Durante la S. Messa presentò come dono per l’altare, il ritratto della Beata Orsola. Morì il 3 maggio 1987, e fu sepolto a Licheń.
III. IL SALVATAGGIO MIRACOLOSO DELLA VITA DI DANIEL GAJEWSKI
Daniel Gajewski, nato il 15.11.1982 a Koszalin e ivi residente con i genitori, nell’estate 1996 stava trascorrendo le vacanze estive nella casa delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante a Ożarów Mazowiecki nei pressi di Varsavia. Lì, il 2 agosto 1996 fu salvato in modo miracoloso dalla morte a causa di una scossa elettrica sotto una tensione di 220 V.
L’incidente ebbe luogo verso le ore 15.00, mentre Daniel tagliava l’erba con una falciatrice elettrica, nel piccolo giardino davanti alla casa. L‘erba era bagnata, perché durante la notte c’era stato un temporale, e la mattina era piovuto ancora. La falciatrice era collegata alla fonte della corrente (una presa nella cappella) tramite due prolunghe, di cui una, contro le norme di sicurezza, terminava da entrambe le parti con elettrodi. Nel momento in cui Daniel separava le prolunghe, con le quali la falciatrice era collegata alla presa venne investito da una scarica elettrica. L’incidente non fu notato da nessuno. Le suore non avevano potuto udire le grida del ragazzo, poiché il piccolo giardino è un muro piuttosto alto dal resto del cortile e dalla fattoria. Una delle suore si trovava in un’altra parte della casa, le altre si trovavano lontano nell’orto. Quando Daniel stava ormai perdendo le forze ed ebbe la consapevolezza dell’avvicinarsi della morte, vide uscire dalla casa una figura con l’abito delle orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, la quale lo strappò dal cavo elettrico, attraverso il quale passava la corrente. Non vide il suo volto. Subito dopo la figura scomparve.
Daniel, ancora sotto shock, raggiunse a fatica la cappella, per ringraziare di essere stato salvato. Secondo la sua relazione, registrata sul nastro magnetico il 2 dicembre 1997, l’ulteriore sviluppo degli eventi si presentava nel modo seguente: “andai al tabernacolo e lo abbracciai e lo baciai forte. Cominciai a cantare, a gridare e a ringraziare ad alta voce. Lasciato il tabernacolo, (…) con un certo rispetto e timore guardai le reliquie della Beata”.
Allora entrò nella cappella una suora, che stava lavorando in un’altra parte della casa. Preoccupata da strani rumori, provenienti dalla cappella, giunse lì e vide Daniel, insanguinato e con una mano ustionata. In quel momento era l’unica suora meno anziana che si trovava in casa. All’inizio il ragazzo pensava che fosse stata lei a dargli aiuto.
In seguito all’incidente Daniel fu ricoverato nel Reparto di Chirurgia Infantile dell’ospedale Provinciale a Dziekanów Leśny con sintomi di ustioni da corrente elettrica, di 3° grado al secondo dito della mano destra e di 2° grado al terzo dito della mano destra e con lesioni del tendine del flessore del secondo dito della mano destra.
Gli esperti, consultati circa la valutazione tecnica dell’evento, confermarono la scorretta congiunzione delle prolunghe, che costituisce un diretto pericolo per la vita mediante la folgorazione con la corrente sotto tensione a 220 V. Dichiararono anche, che in una situazione del genere, con una parziale perdita di coscienza, la salvezza è assai improbabile senza l’intervento di terzi.
Allo stesso tempo era stato chiarito che nessuna delle suore presenti in casa aveva saputo dell’incidente fino al momento in cui una di loro trovò Daniele nella cappella. Nessuna delle suore, dunque, avrebbe potuto aiutare il ragazzo a staccarsi dalla fonte della corrente.
La famiglia di Daniele giunse alla convinzione che il ragazzo doveva il salvataggio all’intervento miracoloso della beata Orsola Ledóchowska, il cui culto era straordinariamente vivo nella casa paterna del ragazzo, sin dalla sua nascita.
Dopo lo svolgimento dell’inchiesta diocesana, le deposizioni dei testimoni e le opinioni degli esperti furono presentate alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale, dopo aver sentito il parere dei propri esperti, dichiarò l’autenticità dell’intervento miracoloso della Beata Orsola nel salvataggio della vita di Daniel Gajewski.