HA SORPASSATO I SUOI TEMPI

Il 29 maggio 1989 si compirono cinquant’anni dalla morte di Madre Orsola Ledóchowska, fondatrice della Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante (orsoline grigie), la quale nella prima metà del XX secolo, specialmente nel ventennio tra le due guerre, ebbe una parte straordinariamente attiva e creativa in molti campi della vita della Chiesa e della Patria e che, da numerose persone della generazione più anziana, è ancora ricordata personalmente.

Nel presente testo non si tratta di elencare i meriti che la Madre ebbe in vari settori della vita sociale e spirituale, né di formulare generiche lodi “in suo onore”, né di presentare il suo cammino di vita – del resto estremamente interessante – o la sua personalità fuori del comune, il che avrebbe richiesto un lavoro molto ampio, poiché l’attività di Madre Orsola era molto varia, e la sua vita con difficoltà si lascia racchiudere nell’ambito della letteratura agiografica di vecchio tipo.

Tuttavia, vale la pena riportare alcuni fatti della sua storia, presentare alcune situazioni e citare alcune delle sue opinioni, ricordare le quali sembra particolarmente importante oggi, quando si parla e si scrive sul tema di conciliare la vita religiosa con le necessità del tempo, o su quello della necessità di rinnovare lo stile della vita religiosa nello spirito degli attuali bisogni del mondo e della Chiesa.

Madre Ledóchowska era una di quelle persone, che prima di tante altre si resero conto della necessità di un «rinnovamento» della vita religiosa. Tale necessità trovò espressione nei lavori del Concilio Vaticano II. Lei, inoltre, come mostra la storia della sua vita e della sua comunità religiosa, scorse una soluzione pratica di un altro problema ancora, che assillava i Padri Conciliari, cioè quello del come inserirsi nella vita della società e trovare con essa un linguaggio comune, come parlare di Dio con questo linguaggio, e come vivere “per poter dare Dio ad altri”.

Molto prima dell’esperienza dei preti operai e della cosiddetta Missione di Parigi, la Madre aveva notato e compreso che la Chiesa, persino in Europa, si trovava in “stato di missione” e che i paesi cattolici dell’Europa richiedevano una nuova evangelizzazione. Lo scrisse esplicitamente oltre cinquant’anni fa: “La Chiesa oggi ha bisogno di anime che ardano dal desiderio del lavoro apostolico non nelle missioni in paesi esotici, ma nelle missioni nei paesi cattolici, dove semplicemente incombe il pericolo della perdita della fede; c’è bisogno di missionarie grigie, senza l’aureola missionaria, ma che lavorino come missionarie nei paesi in cui la fede sta scomparendo, dove le anime battezzate diventano pagane”. Era convinta, che Dio dalla sua comunità attendeva proprio questo. Perciò anche “la missione grigia” nella zona del confine orientale della Polonia, oppure nelle borgate delle grandi città, nei vicoli sporchi e nelle baracche, divenne l’importante missione delle “orsoline grigie” – delle “orsoline dei poveri”, come inizialmente doveva chiamarsi la Congregazione.

Madre Orsola non separava dalla vita nel mondo il legame religioso dell’uomo con Dio. Univa la sollecitudine per le questioni spirituali a quella per l’aiuto materiale. Era angosciata dal pensiero che “milioni di sfortunati vivevano in estrema miseria, affamati, privi di vestiario, senza un tetto, in una terribile disperazione”. Era convinta che se si vuole “dare Dio” a quelle persone, occorre andare da loro, occorre “vivere come loro”, condividere con loro le condizioni e la fatica della vita, che bisogna lottare per migliorare le condizioni della loro esistenza.

Negli anni trenta, un’espressione reale di tale convinzione, fu il fatto che le suore intrapresero il lavoro in uno dei più poveri quartieri di Roma:

“Devo condividere con voi ciò che per noi tutte dovrebbe essere una grande gioia. Il Cardinal Vicario, sostituto del Santo Padre nella Sede di Roma, vuole affidarci una missione – non in Africa, ma qui, dove ugualmente c’è bisogno delle missioni, e precisamente alla periferia di Roma, a Primavalle. Vi sono solo baracche rosse e ci daranno una di quelle. Ho chiesto di non costruire nulla di meglio. Vivremo lì insieme ai poveri, insegneremo loro il catechismo, assisteremo i malati e offriremo a tutti il nostro amore. E’ una grazia e un onore per noi essere chiamate ad un lavoro del genere, ma dobbiamo corrispondere alla fiducia riposta in noi, dobbiamo cercare di essere sante. Il padre che sta  organizzando questo lavoro per noi, mi ha detto: «Dovete santificarvi sulla strada – come gli apostoli», e in questo ci aiuterà la nostra Madonna della Strada”[1].

Le suore grigie andarono dunque alla periferia di Roma, lì dove un sacerdote non poteva farsi vedere senza un poliziotto. Andarono in fabbrica per lavorare con le ragazze, recatesi in Francia in cerca di lavoro. Le suore lavoravano insieme a loro per aiutarle nell’ambiente straniero, per elevare il loro livello morale e religioso e per proteggerle dalla perdita dello spirito polacco.

All’appello della Madre le suore risposero con entusiasmo:

“Ritenevo una grande fortuna poter esaudire il desiderio della Madre e portare aiuto ai bisognosi. Chiamano: «Suora, il bambino sta per morire e non è battezzato!». Il cappellano abitava a Forte Braschi, più o meno a un chilometro da qui. Corro, senza perdere tempo, battezzo: «nel Nome del Padre e del Figlio, e dello Spirito Santo», dando al bambino il nome: Mario.

Andavo nelle case per visitare i malati. Richiesta da loro, facevo venire il sacerdote perché li confessasse e portasse loro la S. Comunione. Avevano tanto da raccontare quei poveretti, condotti dal destino nelle baracche. Qui avevano un tetto sulla testa, dunque non era tanto male, ma c’erano anche coloro che dormivano in camerate chiamate dormitori, e la mattina erano costretti a lasciarli e uscire in strada. Nell’inverno, quando pioveva, soffrivano tanto. Ricordo una madre con quattro figli che stavano fuori sotto l’ombrello. Spesso aprivo la chiesa, perché potessero trovare un riparo contro la pioggia e il freddo”[2].

Un altro terreno di lavoro delle suore, autenticamente missionario, era la zona del confine orientale della Polonia: la Polessia, prediletta da Madre Orsola. La Madre era convinta che “bisognava soccorrere la zona del confine orientale della Polonia (…). Lì lavorano, anzi lavorano moltissimo, ma chi? Lì stanno lavorando diverse sette, unite da un unico fine: strappare dal cuore del nostro popolo la santa fede cattolica. Stanno lavorando lì anche i nostri miscredenti, per togliere al popolo la fede in Dio (…). Che cosa daranno a questo popolo dopo avergli tolto la nostra santa fede? Il materialismo, la dissolutezza dei costumi, l’indifferenza verso tutto ciò che è grande e santo (…). E come rimediare a questo? Lavorare. Non temere di lavorare in quelle condizioni dure, primitive. Neutralizzare l’attività dei nemici di Dio e della Patria con il lavoro silenzioso (…).

Come mi immagino questo lavoro? Pian piano organizzare lì modesti posti di lavoro (…). Alcune donne di buona volontà – sia religiose, sia anche assistenti laiche; potrebbero aprire degli asili infantili, prendere i posti delle maestre oppure esse stesse gestire delle scuole private, assumersi l’assistenza dei malati, e inoltre vigilare sull’osservanza della nostra santa fede tra la gente del luogo. Ciascuna di quelle donne dovrebbe farsi amica del popolo, angelo di bontà, consigliera nei dubbi, consolatrice nelle afflizioni. Dovrebbe rinunciare – almeno per alcuni anni – ai divertimenti mondani, o alle comodità della civiltà occidentale. Ma queste carenze, alle quali uno si può abituare tanto facilmente, avendo dinanzi un fine così grande, non spariranno esse di fronte alla gioiosa convinzione di lavorare per il bene delle anime, per il bene della Patria?"[3]

Perfino in quelle terre, sceglieva per il lavoro delle suore i luoghi più trascurati: “Qui non c’è tanto bisogno di lavorare nelle città e nelle cittadine, dove ci sono le chiese, i sacerdoti, dove si svolgono regolarmente le funzioni, ma bisogna prendersi cura dei poveri villaggi, delle frazioni distanti dalla chiesa da 10 a 20 chilometri, alle quali solo una o due volte al mese giunge un sacerdote da una parrocchia lontana (…) e dopo alcune ore riparte, dove non si incontra neanche un dottore, e perfino neanche un’infermiera, dove regna l’indigenza, a volte la miseria, dove i bambini nell’inverno non possono frequentare la scuola, perché non hanno di che vestirsi.

Sto attenta a mandare in luoghi del genere – in quanto è possibile – delle suore con l’istruzione universitaria. Lo sottolineo, poiché alla nostra gioventù accademica femminile, che ha la vocazione religiosa, sembra a volte, che non valga la pena sprecare quella loro alta scienza in un lavoro missionario così basso (…). Non comprendono, che proprio per il lavoro missionario c’è bisogno di persone istruite, ben educate, che sappiano orientarsi in mezzo alle necessità della popolazione e sappiano guidarla”[4].

Con l’esempio della propria vita, che era una vita di generoso lavoro per gli altri, Madre Orsola ha dimostrato, che l’unica strada verso l’uomo è quella dell’amore solidale con lui. E’ la strada che indicò alle sue figlie spirituali, stabilendo nelle Costituzioni le “leggi” del diritto religioso:

“E’ proprio con la carità, con la bontà, col sacrificio illimitato, che si guadagnano più facilmente le anime a Dio. Nessun lavoro perciò sembri loro troppo penoso, nessuna fatica troppo grande, nessun sacrificio troppo grave, quando si tratta di aiutare il prossimo. Seguendo l’esempio di San Paolo piangano con chi piange, gioiscano con chi gioisce e, dimentiche di sé, si facciano tutto a tutti, per condurre tutti a Gesù Cristo, all’amore del suo Cuore Divino”[5].

La Madre era convinta che l’amore esige solidarietà. Per amare bisogna essere “insieme”, bisogna sentirsi vicini all’uomo. Dalla gente, in mezzo alla quale e per la quale le suore devono lavorare, non le possono separare né lo stile di vita, né le condizioni materiali, neppure l’abito; devono essere “povere per i poveri”. Per questo le suore lavoravano nella Polessia in condizioni uguali a quelle in cui vivevano le persone, alle quali erano mandate: nelle case coloniche, nelle baracche, “in un  pollaio trasformato in un piccolo convento”, nel quale tutti avevano diritto di entrare di giorno e di notte. Insegnavano il catechismo, insegnavano a scrivere e a leggere, quando, a causa della distanza troppo grande, i bambini non potevano frequentare la scuola; per disposizione del vescovo organizzavano le preghiere domenicali, per coloro che, a motivo di una distanza troppo grande dalla chiesa, non potevano partecipare alla S. Messa domenicale. Naturalmente, anche loro stesse, erano private della S. Messa, e questo non soltanto nei giorni feriali.

All’inizio la gente trattò con diffidenza le suore, ma vedendo, che esse “lavorano come noi, sono povere come noi”, cominciarono a ritenerle le “nostre suore”.

Madre Ledóchowska, con la perspicacia della mente e del cuore a sé propria notava molteplici necessità apostoliche. Ripeteva continuamente che c’è tanto, tantissimo lavoro da fare per la Chiesa e per la Patria. Perciò faceva molti sforzi per rendere i laici consapevoli del dovere dell’apostolato. E in questo campo sorpassò i suoi tempi:

“Il mondo si è abituato a pensare, che il lavoro per la salvezza delle anime, per la vittoria dell’idea di Cristo spetta al clero, agli ordini religiosi, l’uomo laico invece può, a seconda del proprio gradimento e della propria inclinazione, dare una mano al clero, in questo duro lavoro per l’estensione del Regno di Dio sulla terra, ma può anche rimanere indifferente verso le cose di Dio – può vivere per se stesso, per il proprio benessere qui sulla terra, senza dimenticare anche di assicurarsi un piccolo, sia esso anche un piccolissimo, angoletto in cielo.

Il mondo dimentica, che ogni giorno milioni di cattolici recitano la seguente preghiera comune a tutti: «Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra», e noi tutti, che recitiamo questa preghiera, apparteniamo alla stessa famiglia di Dio e a tutti deve stare a cuore, che quanto domandiamo si compia. Ognuno dunque ha l’obbligo non soltanto di chiedere, ma anche di lavorare perché sia santificato il Nome di Dio, perché venga il Regno di Dio, perché si compia la volontà di Dio (…).

Ricordiamoci, che noi tutti abitanti della terra, siamo figli dell’unico Padre, del nostro Padre, che è nei cieli, dobbiamo dunque in modo solidale aiutarci reciprocamente. Chi ha la luce divina, illumini chi si trova nelle tenebre. Chi ha la scienza, la comunichi a chi è in cerca della scienza di Cristo. Chi è in possesso dei beni, dia sostegno ai poveri, alle vedove, agli orfani, ai malati – che sono la piccola parte più preziosa della Chiesa di Cristo. Chi ha il cuore sensibile alla miseria umana, porti parole di conforto a chi è infelice: pianga insieme a chi piange e si rallegri con chi è felice, cercando di farsi tutto a tutti, per condurre tutti a Cristo! Ciascuno secondo le proprie possibilità, lavori affinché sia santificato il Nome di Dio, affinché venga il Regno di Dio, affinché – sempre e ovunque – si compia la volontà di Dio”[6].

Madre Orsola collaborava con l’Azione Cattolica, teneva conferenze, organizzava convegni, mostrando le impellenti necessità sociali e religiose, da lei conosciute grazie al lavoro “in periferia”. Prendeva parte attiva ai lavori dell’Unione Cattolica delle Donne. Nelle educande delle scuole e degli istituti tenuti dalla Congregazione, e in genere in tutte le donne polacche, voleva destare l’interesse nel lavoro sociale e in quello apostolico. Attraverso discorsi, conferenze, articoli, cercava di plasmare il volto della donna polacca e cercava di farle prendere coscienza della sua grande vocazione come madre e come preziosa operatrice in molti campi della vita sociale, portando ovunque la fede e l’amore di Dio e dell’uomo, collaborando all’edificazione del regno di Dio sulla terra.

Dette anche inizio al movimento che oggi definiamo «volontariato».

“Ricevo da ogni parte lettere che implorano, che ci chiedono di assumerci il lavoro nella zona del confine orientale della Polonia: il cattolicesimo è minacciato, la moralità scompare, trionfa l’eresia. Chiamano, invocando aiuto (…) e io sono costretta a rispondere con un duro «no», perché mancano le persone per lavorare”.

Durante un programma alla radio, si rivolse dunque alle ragazze, con un appello ad impegnarsi, temporaneamente, nel lavoro sociale:

“Figlie mie, non vi incoraggio allo stato religioso – la vocazione viene soltanto da Dio – ma vi domando se non potreste dedicare a Dio e alla Patria due o tre anni della vostra giovinezza. Tuo fratello forse fa il servizio militare, ogni giovane infatti ha l’obbligo di fare un paio di anni di servizio militare, e ciò non gli è di ostacolo né alla carriera, né al matrimonio, quando verrà il tempo. Non sacrificheresti anche tu un paio di anni per servire la Patria?

Non ve lo chiedo per me stessa, ve lo chiedo per loro (…). Mi rivolgo a voi che non avete bisogno di lavorare per il pane né di prepararvi, mediante uno studio impegnativo, ad un futuro lavoro remunerativo. Mi rivolgo a voi, che ancora non avete fondato il vostro focolare domestico. A voi che aspettate (…). Aderite (…) e salveremo tante anime e contribuiremo all’estensione del Regno di Dio nella nostra Patria!

Non basta soltanto recitare: «Venga il tuo regno!», bisogna lavorare perché questo regno di Dio venga.  Dunque, al lavoro, mie care ex allieve di “Sant’Olaf”! Accorriamo in soccorso!”[7]

Le ragazze risposero all’appello. La Madre le preparava personalmente al lavoro “in periferia”. L’”esperimento”, come definiva il lavoro di quelle volontarie, riuscì.

Madre Orsola, con audacia, voleva che la Congregazione da lei fondata mantenesse il più stretto contatto con la vita della gente ordinaria, perché lavorasse veramente per la gente e in mezzo alla gente. La vita religiosa delle congregazioni attive, lei la intendeva come una “vita apostolica”, una vita di dedizione e di sacrificio. Formava  le file delle orsoline grigie, che aumentavano in fretta, nello spirito di una totale dedizione al lavoro per gli altri, prima di tutto al lavoro “per i più poveri, per i più bisognosi”. Poneva a loro delle esigenze grandi: “Nel convento abbiamo bisogno di anime forti, coraggiose, che non pensano a se stesse, pronte ad ogni lavoro, ad ogni sacrificio”. E poneva anche fini ambiziosi:

“Dobbiamo tenere presente che noi, persone religiose, siamo destinate a una santità maggiore, che dobbiamo raggiungere il limite che Dio stabilisce per noi, e non accontentarci di un angoletto in cielo. Forse ciò ci costerà tanto, dover farci violenza, combattere contro la nostra natura corrotta, ma proprio noi dobbiamo diventare delle persone temprate, che non temono la fatica. Perché dovremo lottare non soltanto con il nemico interiore!

Ricordiamoci che siamo l’esercito della santa Chiesa, del Santo Padre, che va lì ove il pericolo è più grande. Ogni cattolico è cittadino della Chiesa e le deve obbedire nelle questioni di fede e di morale, e deve onorarla con la propria vita. Fatto questo, può vivere secondo la propria volontà. Il caso nostro è diverso, Dio ci ha tolto da questa vita temporale e ci ha chiamate al servizio attivo nella Chiesa. Non ci è lecito avere occupazioni proprie e predilezioni, dobbiamo essere leggere come pedine sulla scacchiera, distaccate dalle persone, dal luogo, dal lavoro, spostate oggi qui, domani lì, da vera avanguardia”[8].

Nella formazione delle religiose – come anche in quella dei bambini e della gioventù – era personalista. Amava, dava fiducia, credeva nell’uomo. Basava la formazione religiosa sulla fiducia, insisteva nello sforzo di destare e di rafforzare nelle suore il senso di responsabilità personale per la propria vita religiosa, per il proprio cammino verso la santità: “tra la gente”, spesso “per la strada”. La maturità interiore, la consapevolezza della propria vocazione, in molte situazioni deve  sostituire la clausura o l’occhio vigile dei superiori.

Sono caratteristiche le indicazioni che Madre Orsola dà alla maestra delle novizie:

“Ogni giorno raccomandi a Dio nelle preghiere [le novizie] (…) perché camminino coraggiosamente nella via della santità, anche se la trovassero difficile e spinosa.

Prima di tutto si sforzi di coltivare in loro la vita interiore; che Gesù nel tabernacolo sia il perno intorno a cui si concentra tutta la vita religiosa. Il Cuore di Gesù agonizzante insegni loro ad amare senza misura, rendendo amore per amore, sacrificio per sacrificio, e magari sangue per sangue!

Si sforzi d’ispirare a queste anime un amore tenero, filiale verso la Santissima Madre di Dio, affinché la Vergine Immacolata le conduca sempre al Divino Cuore di Gesù.

Si sforzi di coltivare in loro un cuore largo, aperto a ogni miseria morale e materiale, ardente e pronto a sacrificarsi per i bisogni altrui; malgrado gli slanci di zelo, sempre pronto a sottomettersi alla più stretta obbedienza.

Si sforzi di preservarle dalla ristrettezza di mente e di cuore; nel compiere il dovere, nel conformarsi alle Costituzioni, agli usi, si può benissimo associare l’esattezza con una mente larga, un cuore grande, che sa comprendere la vita nella maniera più elevata secondo le parole del nostro Padre e Legislatore, Sant’Agostino: «Ama e fa’ quello che vuoi». Amino Dio con tutto il cuore e andranno sempre avanti senza timore, perché chi ama non può peccare”[9].

Madre Ledóchowska non intendeva attuare una riforma della vita religiosa, parlava poco sul tema della necessità dell’aggiornamento, di alcune sue forme. Non c’era in lei l’ansia che le religiose tenessero il passo con le trasformazioni del mondo. Erano per lei degli pseudoproblemi. Sapeva soltanto che il cristianesimo è amore attivo di Dio in uomo concreto, in uomo nel bisogno, che si trova in un determinato tempo, in una determinata situazione della sua vita. Da qui il suo coinvolgimento nell’oggi, la sensibilità verso i problemi attuali e il grande sforzo, per rimediare alle necessità del momento. Le necessità degli uomini, del tempo, della situazione sociale e politica stabilivano la direzione e definivano le forme del suo agire, che sorprendevano – considerando i tempi – con la loro novità. Quando lei viveva e operava, la consapevolezza religiosa era più povera; mancava l’esperimento di preti operai, la vita delle piccole sorelle, l’attività di Madre Teresa di Calcutta, tutto il movimento ecumenico, e prima di tutto la grande opera del Concilio Vaticano II, i pontificati di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II. Si può dire che Madre Orsola fosse convinta, che “l’uomo è la via della Chiesa”, e si può dire con certezza che ciò che lei faceva nel suo tempo, era già la “nuova evangelizzazione”.

Per lei tuttavia quelle forme non erano nuove, ma antiche come il Vangelo e conforme alla tradizione di Sant’Angela Merici e di tutto l’ordine delle orsoline, tradizione alla quale si ricollegava consapevolmente, se si trattava del modo di intendere e di praticare la vita religiosa. Agiva conforme alla raccomandazione di Sant’Angela: “Tenete l’antica strada e fate vita nuova”.

Le proposte e i progetti della Madre talvolta sorprendevano la Curia Romana, costretta alla ricerca di soluzioni nuove e a formarsi una nuova mentalità. P. Ziemski, nel 1923, fa riferimento a una situazione di questo genere:

“Con la sua ingegnosità, la Madre ha creato un non piccolo problema alla Sacra Congregazione. Il postulato della Madre, infatti, è in contrasto con le linee essenziali a cui si attiene la Congregazione, volendo dunque soddisfare i desideri della Madre, devono ricorrere a modi nuovi per risolvere la questione”[10].

Per molte persone è ovvio che Madre Orsola, con i suoi mezzi semplici, come sembra, e cioè mettendo in pratica l’amore cristiano in ogni situazione, operò la riforma della vita religiosa.

“Se riconosceremo l’aggiornamento, l’adattamento al tempo di oggi, la capacità di leggere i segni dei tempi, come l’elemento fondamentale dell’Ecclesia semper reformanda, della Chiesa che costantemente si sta riformando, Madre Orsola, certamente si colloca come uno dei più importanti anelli nel lungo ordine dei riformatori della vita religiosa – al tempo stesso fondatori di nuove congregazioni – per le quali la riforma era prima di tutto un rinnovamento, la comprensione delle esigenze del tempo, come San Francesco d’Assisi, Sant’Angela Merici, Sant’Ignazio di Loyola, il beato Onorato Koźmiński, il beato Edmund Bojanowski, P. Charles de Foucauld, o Madre Teresa di Calcutta”.

Viene inoltre sottolineata la sua straordinaria capacità di unire il soprannaturale con il temporale, la mistica e la praticità che faceva sì che Madre Orsola, questa “donna, proprio straordinaria, fosse allo stesso tempo la più ordinaria; che, come affermano concordemente i suoi contemporanei, da lei irradiava la santità, e allo stesso tempo, grazie alla straordinaria naturalezza, alla semplicità, alla sua immediatezza  per ciascuna era semplicemente «una di noi»”[11]

Le partecipanti al  Congresso della Grande Famiglia di Sant’Angela Merici (orsoline), nella lettera postulatoria prima della beatificazione, sottolinearono le manifestazioni concrete delle più audaci iniziative di Madre Orsola: “invio delle sue suore, prime religiose-catechiste in Polonia, nelle scuole statali (1922); educazione della società alla coscienza ecclesiale e alla responsabile collaborazione, mediante le conferenze, la radio e la stampa (1925); preparazione delle squadre di catechiste ed educatrici laiche, e la collaborazione con esse nelle zone periferiche, sottosviluppate della Polonia; lavoro delle suore nelle fabbriche dell’Ardèche (Francia, 1930), accanto alle giovani emigrate, come loro salariate; semplificazione dell’abito religioso, adatto ad ogni tipo di lavoro. Questo apporto meritò a Madre Orsola di essere chiamata pioniera nella vita religiosa e precorritrice dei più validi aggiornamenti che la Chiesa del Concilio indica in questo settore”[12].

Anche le più alte autorità della Chiesa polacca e di quella universale stimano Madre Orsola come una persona che nell’azione evangelizzatrice abbia sorpassato i propri tempi:

“La grandezza della missione di Madre Ledóchowska sta nel fatto di saper adattare la vita religiosa – nulla togliendo alla sua dignità, rinunciando soltanto ad alcune forme esterne tradizionali – adattandole ai tempi e agli uomini di oggi”[13].

In modo analogo il Postulatore del processo di canonizzazione valuta Madre Orsola:

“Tanti anni fa, quando non si parlava né di rinnovamento della vita religiosa, né di adattamento, quando non si parlava di movimento ecumenico, – i santi [si tratta di San Pio X e di Madre Orsola] ci pensavano già. I santi sono quelli che parlano poco, e vivono molto. E vivono molto perché si accostano alla Vita, al Gesù Cristo, nostro Signore”[14].

Il Card. Luigi Raimondi, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, si esprime col massimo riconoscimento:

“Quando si legge la sua biografia, siamo colti da stupore. Che ricchezza! che magnanimità! Una persona forte e bella, piena di fede. Una persona d’azione, di realizzazione. Stupisce nella Serva di Dio la capacità di armonizzare un’intensa vita interiore con un’attività ugualmente intensa. La sua anima, aperta totalmente a Dio, voleva abbracciare l’umanità intera. E’ una donna straordinaria! Un capolavoro di Dio! Tutta la sua vita desta stupore. E perché? Perché non viveva per sé, ma esclusivamente per Dio e per gli altri. Passò nella vita come una meteora luminosa. Compì opere straordinarie. Il suo atteggiamento ci costringe a realizzare i doveri a noi affidati con lo stesso amore per l’ideale e per la propria vocazione”[15].

Il Card. Stefan Wyszyński riteneva Madre Orsola addirittura una precorritrice dei cambiamenti conciliari:

“Il buon Maestro, Gesù Cristo, consiglia di riconoscere gli alberi dai loro frutti (cfr. Mt 7, 20). Vorremmo applicare tale consiglio, riflettendo sui frutti della vita di Giulia Orsola Ledóchowska, Fondatrice della Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante.

Metteva in pratica i suoi programmi riformatori a cavallo della storia, sperimentando lo spirito dei tempi, per sentire i loro nuovi bisogni e per rimediare ad essi nel modo più efficace possibile.

Sembra che la Fondatrice delle orsoline grigie intuisse che si stava avvicinando una grande svolta nella vita religiosa nella Chiesa. Voleva dunque avvicinarla alla quotidianità delle cose di Dio in tempi mutevoli.

Con cautela, come un fiore di primavera, che spunta dal manto di neve, emerge la nuova forma della vita religiosa al servizio del mondo redento dal Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, per dare al mondo una Vita nuova.

Anche se, infatti, la vita religiosa era ormai da tempo discesa dai monti dei benedettini e dalle valli dei cistercensi, benché ormai essa si stesse avvicinando al mondo nell’attività francescana e in quella domenicana, benché con coraggio avesse impugnato lo stendardo del Re nel fervoroso apostolato dei figli di Sant’Ignazio, benché, sull’esempio di San Vincenzo de’ Paoli avesse riempita la vita degli uomini di congregazioni e di opere di carità, di assistenza, di quelle educative e di opere missionarie, tuttavia occorreva fare ancora un altro passo avanti.

In Polonia, l’annunzio di tale passo verso le nuove necessità furono le congregazioni del Servo di Dio Padre Onorato Koźmiński, cappuccino.

Madre Ledóchowska allarga le sue braccia – penetra nei paesi dell’est, si reca in quelli scandinavi, si avvicina agli operai danesi, cerca gli emigrati, prima di tornare in Patria, ricca d’esperienza e di modelli quasi pronti per un’organizzazione ecumenica e per il lavoro tra i bambini, tra la gioventù universitaria, nei vasti territori della Polessia o nella Polonia centrale.

La Madre compie coraggiosi tentativi, non teme l’esito incerto, tenta, prova se stessa e le sue collaboratrici, infonde in esse il coraggio cristiano di fronte ai tentativi impopolari e difficili da valutare in una società abituata ai modi di operare ormai sperimentati ed efficaci. Le sue iniziative coglievano di sorpresa, destavano resistenza, discussioni, riserve, benché si intuisse, che il lavoro della nuova Congregazione corrispondeva alle necessità dei tempi che stavano cambiando.

Oggi, dopo alcune decine di anni di tali iniziative, si può ammirare l’intuizione della Madre nello spirito e negli orientamenti delle trasformazioni attese. Conservando lo spirito religioso, la sua vita palpitava nelle diverse forme organizzative. Lentamente le persone si abituavano alle suore grigie e ammettevano che così sarebbe stato più facile raggiungere i figli di Dio.

Occorre anche ricordare, che mancava ancora tanto tempo alla promulgazione del decreto Perfectae caritatis del Concilio Vaticano II. Oggi però possiamo testimoniare che Madre Orsola ebbe una buona intuizione delle future trasformazioni e delle necessità dei tempi di oggi. Ciò non poteva accadere senza la piena comprensione del fatto che Cristo sempre è il Padre del secolo futuro.

In questo legame con il pensiero di Dio nel mondo, vediamo la grandezza della Fondatrice della Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, il quale più non muore, vive eternamente ed è Sovrano e centro di tutti i cuori”[16].

Giovanni Paolo II, parlando della vita e della sorte di Madre Orsola, ha sottolineato che nonostante gli avvenimenti complessi e drammatici “lei, senza mai perdersi d'animo, seppe profittare di tutto per lasciare dovunque l'impronta del suo stile e della sua incondizionata dedizione a Dio e ai fratelli. (…) Il suo amore per tutti le faceva sorpassare i tempi”[17].

In occasione del 75° della Congregazione, Giovanni Paolo II definì Madre Orsola “un’apostola della nuova evangelizzazione”: sensibile ai bisogni dei propri tempi, li affrontava con coraggio, trovando modi nuovi e pratici per la loro soluzione. Si tratta qui prima di tutto della questione dell'educazione dei bambini e dei giovani, del ruolo e dell'identità della vocazione della donna, del problema del lavoro e delle questioni sociali ad esso unite. Grazie a ciò si può dire che la Beata Orsola Ledóchowska fu, ai suoi tempi, l'apostola della nuova evangelizzazione, dando prova con la propria vita e attività che l'amore evangelico è sempre attuale, creativo ed efficace”[18].



[1] M. O. Ledóchowska, Lettera alle suore del 1932.

[2] Sr. K. Soszyńska, in: Niewiasta, której uczynki sławić będą pokolenia. Błogosławiona Urszula Ledóchowska, Roma 1984, p. 200.

[3] M. O. Ledóchowska, in: Ibidem., p. 172.

[4] Ibidem., p. 172.

[5] Costituzioni della Congregazione, Pniewy 1933, XXI.

[6] M. O. Ledóchowska, Akcja katolicka, in “Dzwonek Św. Olafa” 1935, n° 2.

[7] Niewiasta, której uczynki sławić będą pokolenia, p. 117.

[8] Ibidem., p. 248.

[9] Direttorio per le suore funzionarie, Pniewy 1933, p. 61-62.

[10] P. Ziemski, Lettera del 1923 (Archivio della Congregazione).

[11] Miłość krzyża się nie lęka… Listy Julii Ledóchowskiej – bł. Urszuli i wspomnienia o niej (red. A. e T. Szafrański), Varsavia 1991, p. 7-8.

[12] Lettera postulatoria delle rappresentanti delle orsoline di tutto il mondo (Archivio della Congregazione).

[13] Mons. F. Jedwabski, Żyć teraźniejszością, in: Miłość krzyża się nie lęka, p. 296-297.

[14] P. P. Molinari SI, Omelia in occasione del 50° della Congregazione.

[15] Card. L. Raimondi, in: Ibidem, p. 267.

[16] Card. Stefan Wyszyński, in: Ibidem., p. 267-268.

[17] Giovanni Paolo II, Discorso del 29.05.1984.

[18] Giovanni Paolo II, Lettera alla Congregazione del 20.06.1995.


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