La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

LA SANTITÀ PER TUTTI

Non tutti siamo chiamati all’eroismo del martirio, ma tutti siamo chiamati all’eroismo della santità.

O. Ledóchowska

Madre Orsola Ledóchowska (1865-1939), beatificata da Giovanni Paolo II il 20 giugno 1983, a Poznań, appartiene a quelle persone che nel XX secolo hanno testimoniato con il loro atteggiamento, che la viva fede, l’ardente amore per Cristo e la vita secondo il suo Vangelo sono possibili in tutte le circostanze, apparentemente anche le più sfavorevoli, costituendo una fonte di nuove ispirazioni e di dinamismo spirituale e apostolico.

Nella sua vita, piena del carismatico fuoco dell’amore, ha creato un nuovo modello di persona consacrata. Come fondatrice della Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, ha proposto un nuovo carisma della vita religiosa e, come apostola, sollecita per la vita altrui, ha indicato una nuova, semplice, «grigia» via di santità, accessibile a tutti, che consiste nel realizzare l’amore per Dio e per l’uomo, nel compiere i doveri di ogni giorno, uniti allo stato di vita scelto.

Madre Orsola univa l’amore di Cristo, che ama sino alla fine, sino all’agonia e alla morte “per noi e per la nostra salvezza”, con il calore dell’amore per ogni uomo e con il desiderio di aiutarlo a rendersi conto dell’amore che Dio gli elargisce. Dalla contemplazione di Gesù crocifisso, del Sacro Cuore di Gesù agonizzante, dalla profonda vita di preghiera, attingeva l’ispirazione e la forza per amare Dio e gli uomini con un amore generoso, che non si tira indietro di fronte alla fatica e alla sofferenza e per amare gioiosamente. L’amore per Dio e il disinteressato amore per gli uomini era la fonte della sua ricchezza interiore e della sua felicità.

Da Madre Ledóchowska irradiava un profondo ottimismo cristiano, che nasceva dalla convinzione, che a dirigere la nostra vita è Dio che ama. In questo ottimismo va cercata la sorgente della serenità del suo animo e della sua gioia interiore ed esteriore.

Dio aveva previsto per lei una vita piena di inattese chiamate e di compiti sulle vie del mondo. Le seguiva con coraggio, desiderando soltanto il compimento della volontà di Dio. Il suo motto: “Come Dio vuole”! era il consenso ai più difficili eventi della vita.

Dalla casa paterna portò una fede viva e profonda, il rispetto per ogni uomo e il desiderio di aiutarlo. Oltre a Madre Orsola, da quella casa uscirono ancora altre persone, che portarono nella vita della Chiesa l’”eroismo della santità”. Sua sorella, Maria Teresa Ledóchowska, fu la grande apostola dell’Africa. Fondò una nuova Congregazione: il Sodalizio di San Pietro Claver, per l’aiuto alle missioni africane. Nel 1975, fu beatificata a Roma, da Paolo VI. Suo fratello, Vladimiro Ledóchowski, fu per anni, insigne e pio preposito generale dell’Ordine dei gesuiti. L’altro fratello, Ignazio Ledóchowski, fu un eroico generale dell’esercito polacco, pieno di profonda e viva fede; morì nel 1945 nel campo tedesco di Dora-Nordhausen.

Sin dalla giovinezza Madre Orsola sentì il desiderio di rispondere con un amore indiviso all’ineffabile amore di Cristo. Ancora ventenne, rivelò a suo fratello Vladimiro questo profondissimo desiderio e delineò il programma di vita: “Sapessi solo amare! Ardere e consumarmi nell’amore!”, „per dare Dio a tutti”.

Entrando a 21 anni nell’Ordine delle Orsoline a Cracovia realizzò il desiderio di donarsi totalmente a Dio che ama. Fu una fervente religiosa ritenuta dalle superiore „un raggio di grazia” per il convento. Lavorò come educatrice e insegnante nel ginnasio di Cracovia. Nel 1907, insieme ad alcune suore fu mandata nelle missioni, in Russia, per dirigere l’internato presso il Ginnasio polacco di Santa Caterina a San Pietroburgo, dove le religiose vivevano e lavoravano in condizioni di clandestinità.

Con la sua personalità e per il suo modo di intendere il cristianesimo come una religione d’amore, e l’educazione come un premuroso accompagnamento del bambino e del giovane nella crescita, determinata da leggi irripetibili nel caso di ogni persona, introdusse un nuovo spirito in entrambe le scuole. Così si esprimono le sue educande, scrivendo: „Ci ha fatto vedere Dio come amore. E questo era il grande novum, che provocò una svolta nelle nostre menti e nei nostri cuori e portò frutti in tutta la vita”.

Lavorando a San Pietroburgo, nello stesso tempo, Madre Orsola fondò in Finlandia il ginnasio che venne chiamato „la scuola della gioia” e nel quale applicò i propri metodi educativi, che nascevano dal rispetto di ogni giovane e dalla convinzione che l’atmosfera d’amore e di gioia crea un clima adatto a un corretto sviluppo della gioventù.

Nel 1914 Madre Ledóchowska fu espulsa dalla Russia. L’ulteriore cammino condusse lei e le sue suore attraverso i paesi scandinavi. Imparò, l’una dopo l’altra la lingua di ciascun paese, svolse l’apostolato tra i Polacchi lì presenti e nell’ambiente locale.

In Finlandia – oltre alla conduzione del ginnasio – ebbe cura dei Finlandesi, ufficialmente luterani, di fatto privi di cura pastorale. Per essi tradusse in finlandese il catechismo e il libro di preghiere, ampliò la cappella affinché potessero partecipare alle funzioni insieme ai cattolici. Asistette i malati e i poveri.

Espulsa non soltanto dalla Russia, ma dall’intero impero russo, e dunque anche dalla Finlandia, si fermò in Svezia, a Stoccolma. Visse terribili momenti di separazione dalla comunità religiosa, sperimentò le incertezze riguardo all’esistenza e al futuro di essa. Purificata dalla sofferenza, ritrovò le forze nella preghiera. In quella terra, quasi completamente protestante e a lei culturalmente estranea, scorse numerose possibilità di fare del bene.

Dimostrò questo prima di tutto verso i Polacchi, emigrati come lei. Scriveva: „Vengono da me spesso coloro che hanno bisogno di aiuto e di cuore. Li comprendo tutti e sono lieta di poter portare un po’ di sollievo almeno a qualcuno”.

In casa della Madre a Stoccolma si riunivano e si consultavano i Polacchi dei territori sotto il dominio russo, austriaco e di quello prussiano. Vi prendevano parte rappresentanti di vari ambienti, di vari gruppi e di vari orientamenti politici. Madre Orsola li aiutava a superare le differenze e le barriere esistenti tra loro e ad unirsi nel conseguire un fine comune, che era il bene della Patria.

Negli anni 1915-1918, svolse un’intensa attività patriottica. Su richiesta di Henryk Sienkiewicz, che stava a capo del Comitato di Aiuto per le Vittime di Guerra in Polonia (Svizzera), intraprese una grande azione di conferenze. Ne tenne oltre 80 nei paesi scandinavi, nelle lingue: francese, tedesca, inglese, svedese, norvegese e danese. Parlava della storia della Polonia, della sua cultura, della letteratura, dell’arte, del suo cattolicesimo, e prima di tutto del diritto della nazione polacca alla sovranità e al possesso di uno Stato proprio.

Era consapevole della grave situazione della Polonia, delle sue sconfitte, spesso causate dagli errori della stessa. Aveva tuttavia un profondo senso della dignità e del valore della propria nazione, dei suoi meriti per l’Europa. Domandava dunque l’aiuto, ma allo stesso tempo rivendicava per essa la giustizia.

Alle conferenze partecipavano: re (di Svezia e di Norvegia), ambasciatori di numerosi Stati, politici, uomini di scienza, di arte, scrittori, clero di varie confessioni e anche persone semplici e prive di istruzione. Le parole della Madre, colme d’amore per la Patria, trovavano una viva eco nella stampa. Inoltre, scriveva degli articoli, pubblicava appelli, organizzava lezioni di storia della Polonia per gli Svedesi, fondava comitati locali di aiuto alla Polonia.

Madre Orsola aveva il dono di unire nell’azione persone di varie confessioni, di varie opinioni, di varie nazionalità e anche di vari ceti sociali. Avevano dichiarato la disponibilità di collaborare sia il locale rabbino che l’arcivescovo protestante di Uppsala, Nathan Söderblom, famoso studioso di scienze religiose e iniziatore del movimento ecumenico e tanti altri. Nella pubblicazione dell’opera Polonica, dedicata alla cultura polacca, la Madre coinvolse i più famosi scrittori scandinavi. Lei stessa vi contribuì con uno studio sul culto della Madonna in Polonia.

Le reazioni ai suoi interventi erano non soltanto commoventi, ma spesso avevano anche un senso simbolico. Per esempio, dopo una delle conferenze a Stoccolma, nel 1915, venne da lei il ministro russo, le consegnò 1000 rubli per l’aiuto alla Polonia e disse: „Non siamo tutti così”. Il re di Norvegia invece mandò, tramite un messo, 1000 corone per la Polonia, dicendo: „Che questo rimanga un segreto”.

Contemporaneamente la Madre lavorava per gli Svedesi. A Stoccolma diresse l’Istituto Linguistico per le ragazze dei paesi scandinavi, protestanti, organizzò la Congregazione Mariana per le signore (Svedesi), cominciò a pubblicare il primo e in quel tempo unico periodico cattolico in Svezia.

La successiva tappa del suo percorso apostolico fu la Danimarca. Lì si prese cura degli emigrati polacchi, operai stagionali, che a causa dello scoppio della guera  non erano potuti tornare nel paese natale. Tra loro c’erano molti bambini – orfani di entrambi i genitori o di uno di essi. Per loro aprì una casa e faceva di tutto, perché crescessero come buoni Polacchi e cattolici. Nel 1920 li prese con sé in Polonia. Gestì anche un istituto di economia domestica per le ragazze danesi. Ad Aalborg, insieme al pastore protestante, organizzò un centro diurno di accoglienza per i bambini danesi che vagabondavano per le strade.

Durante la sua attività nei paesi scandinavi, negli anni 1914-1920, alla domanda di un diplomatico polacco quale politica rappresentasse, rispose senza esitare: „La mia politica è l’amore di Dio e della Patria”. Più tardi pronunciò d elle parole, molto attuali anche oggi: „Nelle nostre condizioni tutto ci dovrebbe unire. Questo è il mio compito politico – insegnare la comprensione che soltanto tenendoci  uniti possiamo fare qualche cosa”.

Intendeva l’amore per la Patria come un concreto e generoso servizio ad essa, perciò dopo che la Polonia ebbe riacquistato l’indipendenza, la Madre, insieme ad un gruppo di sue collaboratrici e con i bambini polacchi, tornò in Polonia, nel 1920. Con il permesso della Sede Apostolica la comunità delle suore, formata in straordinarie condizioni di esilio e di clandestinità, fu trasformata in Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante. Sia la Madre che la Congregazione in celere sviluppo, che lei guidò fino alla morte, erano impegnate nella costruzione della Patria rinata, prima di tutto nel campo dell’educazione dei bambini e dei giovani, e poi anche nella formazione degli insegnanti e degli educatori. Nel ventennio tra le due guerre, fondò in Polonia scuole di vario tipo, internati, pensionati universitari, seminari per gli insegnanti, istituti di economia domestica, scuola per educatori e per i direttori di istituzioni educative. Con il trascorrere del tempo, la Congregazione estese la sua attività apostolica all’Italia e alla Francia.

La Madre nutriva un particolare amore per la Polessia. Nelle terre più trascurate dal punto di vista culturale e diversificate sotto l’aspetto religioso (il 95% della popolazione era ortodossa) creò delle oasi di preghiera e di cultura cristiana. Le suore abitavano tra la gente in povere casupole. Gestivano scuole materne, elementari, oratori con doposcuola, ambulatori per i malati, circoli per le donne del paese, corsi professionali, e perfino università popolari (in collaborazione con Don Jan Zieja). Una semplice stanza rurale serviva da cappella, nella quale per la mancanza del sacerdote, che veniva soltanto una volta ogni tanto, le suore organizzavano nei giorni festivi le funzioni e la catechesi per gli adulti. Nell’estate l’insegnamento della religione si teneva di solito sui pascoli. La Madre, che non era in grado di assicurare il personale adatto in tutti i posti di lavoro, che diventavano sempre più numerosi, riuscì ad ottenere la collaborazione di assistenti laiche, di solito delle giovani, disposte a dedicare il loro tempo al servizio sociale gratuito.

Sensibile ai cambiamenti, che si compivano nel mondo e nella Chiesa, Madre Orsola trattò importanti problemi sociali, tra gli altri: la questione del posto e del ruolo della donna nella Chiesa e nella società. Tenendo delle conferenze, scrivendo degli articoli, organizzando degli incontri, si rivolgeva alle donne polacche, indicando ciò che vi è di più prezioso nella donna – la maternità e l’amore come legame della società, prima di tutto di quella familiare, senza la quale non c’è uno sviluppo corretto dell’uomo. I problemi sociali non si possono risolvere con decisioni politiche e iniziative istituzionali. Soltanto „sulle ginocchia di una santa madre si educano i santi, i sacerdoti, i politici, gli impiegati”. L’amore della madre è la radice della civiltà dell’amore.

L’educazione dell’uomo, l’educazione cristiana, presuppone una precisa gerarchia di valori. Madre Orsola espresse questa verità in modo semplice: „Il compito di una madre e di un’educatrice è quello di dare Dio al bambino. Se gli darai Dio, gli avrai dato tutto, se non gli avrai dato Dio, non gli avrai dato nulla”.

Il profilo della vita di Madre Orsola, nonostante le svariate attività e le situazioni tante volte complicate, era trasparente e chiaro: compiere la volontà di Dio in ogni situazione e in ogni luogo, amare, consumarsi nell’amore, riversare l’amore nel cuore di ogni uomo che si incontra.

Con l’esempio della sua vita, con i suoi scritti, Madre Orsola formò il carisma della famiglia religiosa da lei fondata. Esso propone una vita che nasce dal realismo della fede, dal dinamismo dell’amore e della semplicità, il cui simbolo esterno è il semplice, grigio abito religioso. L’amore di Cristo, i suoi doni sono una ricchezza talmente grande, da non aver bisogno di aggiunte esterne, per aumentare a se stessi la serietà o l’importanza. Il cammino verso la santità, realizzato e proposto dalla Madre, è semplice: credi in Cristo che ama sino alla fine, abbandonati a Lui senza limiti e ama, ama fino al dolore (come Gesù – fino all’agonia), lavora con zelo per gli altri, nella convinzione che „la santità è il compiere i doveri più ordinari con un amore straordinario, con ardore soprannaturale”.

Un tale modello per santificare la grigia realtà di ogni giorno, con l’ardore dell’amore, attinto dal Cuore Divino, lei lo proponeva non soltanto alle religiose. Con la sua sollecitudine apostolica abbracciava tutti, conforme alla convinzione che „chi ama e conosce Gesù, desidera condurre tutti a Lui”.

Alcune decine di anni prima del Concilio Vaticano II, Madre Orsola ricordava spesso e con fermezza, che tutti sono chiamati alla santità, e proponeva una via semplice, „grigia” di santificazione della vita di ogni giorno, la via dell’amore nel grigiore quotidiano.

La Madre correggeva un erroneo concetto di santità: „Spesso pensiamo che diventare santi sia molto difficile, e perciò rinunciamo alla santità, tranquillizzando la propria coscienza affermando: la santità non è per me! E’ un errore. Dobbiamo diventare santi, se vogliamo raggiungere il cielo”.

La santità è la più sublime e la più importante vocazione di ogni uomo: „Il sommo bene sulla terra è la santità, l’unico fine valido, a cui vale la pena tendere sulla terra – è la santità, l’unico tesoro che va conquistato è la santità, l’unica sorgente della felicità che mai inaridisce – è la santità, la santità e una volta ancora, la santità”.

Ciò richiede sforzo da parte dell’uomo: „Non tutti siamo chiamati all’eroismo del martirio, ma tutti siamo chiamati all’eroismo della santità”.

La Madre traccia la sua semplice via verso la santità: „Di solito la gente ha un erroneo concetto della santità, invece, questa è qualcosa di semplice, di ordinario, bisogna soltanto amare la volontà di Dio e compierla con fedeltà – Dio non pretende nient’altro da noi ”.

La volontà di Dio è l’amore di Cristo e un ardente, attivo amore del prossimo, pieno di abnegazione.

„Amare, soffrire e pregare – è il contenuto di ogni vita con Dio e per Dio”.

Madre Orsola era realista. Mostrando il ruolo fondamentale della preghiera, indicava la necessità dell’azione, della fatica del lavoro: „Non basta soltanto recitare «Venga il tuo regno», bisogna lavorare perché venga il regno di Dio”. Nel modello di santità da lei proposto ha conferito un giusto valore al ruolo dell’azione – del lavoro: „Dedicarsi completamente al lavoro affidato. Non importa se esso è duro, faticoso, se sarà un lavoro non stimato, disprezzato, grigio o noioso. Eseguirlo con precisione, con perseveranza, con amore, con gioia – ecco la migliore penitenza. Un lavoro fatto così sostituirà ogni mortificazione”.

La santità, infatti, è il compiere i propri doveri quotidiani nel miglior modo possibile, per amore di Dio, è l’essere disposti a sacrificare il proprio „io”, per vivere per gli altri.

E c’è ancora un'altra caratteristica importante della via della santità come „l’amore nella grigia quotidianità”, la serenità d’animo derivante dalla consapevolezza di essere amati da Dio, la profonda gioia interiore, che si esprime con il sorriso della bontà, con il „buon umore”. „Una costante serenità d’animo, questo raggio di felicità divina che traspare all’esterno – ecco la vera virtù, ecco il prezioso mezzo di penitenza, ecco il fruttuoso apostolato”.

„Una persona raggiante è di per sé un’apostola che, senza saperlo, conduce a Dio perché dice agli uomini senza parole, ma col sorriso luminoso, che è bene, molto bene, servire Dio, che servire Dio vuol dire trovare quella felicità e quella pace che il mondo non può dare”.

„La serenità d’animo, la santa gioia di un’anima che ama Dio è allo stesso tempo un vero atto d’amore del prossimo, è un piccolo raggio di sole nella nostra vita quotidiana, nella vita grigia. Quanto bene, quanta felicità semina intorno a sé un’anima raggiante di felicità divina! Quanta felicità può portare un sorriso cordiale, quanta fiducia può destare, quanto dolore lenire, quanta consolazione dare”.

„Nulla parla così a chi è indifferente nella fede, a coloro che non credono, come il vedere una persona sempre serena, raggiante di felicità interiore, sorridente, benché si sa che porta più di una croce, che è schiacciata da varie angosce”.

Le parole scritte da Madre Orsola negli anni trenta del XX secolo sulla necessità della santità come il più importante compito della nostra vita, oggi non hanno perso affatto la loro attualità: „Oggi, mentre il mondo diventa sempre più pagano, mentre il materialismo distoglie sempre più le anime da Dio, quando varie false filosofie cercano di occultare dinanzi a noi la verità di Dio, deridendo ciò che abbiamo di più sacro - la nostra fede - dobbiamo guardare la vita dei santi, e in modo particolare quella dei santi che hanno condotto una vita simile alla nostra, che non si distingueva dalla nostra per nessuna straordinarietà, compiendo – e questa è la caratteristica della santità – i doveri più piccoli, ordinari con amore straordinario, con ardore soprannaturale”.

„Un Santo è un amico, è colui che consola, è un fratello che ci vuole bene. Sente le nostre miserie, le nostre angosce, prega per noi, desidera per noi il bene e la felicità, perché lo unisce a noi «la comunione dei santi»”.

Le parole sui santi, pronunciate da Madre Orsola, si riferiscono ora a lei. Anche oggi – come in vita – è tenera e sensibile ai bisogni altrui. Con la sua intercessione sostiene coloro, che a lei si rivolgono. Al santuario di Pniewy, nei pressi di Poznań, dove giacciono le sue spoglie mortali, giungono numerosi pellegrini fiduciosi nel suo aiuto.


"STAMPA" - Testi TESTI - STAMPA