La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante |
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Ricordo di SUOR PAOLA |
MEMORIE
di Suor M.PAOLA
Anita Goldman
(scritte da lei stessa)
“Io sottoscritta Anita Goldman – Sr. Maria Paola di Cristo Re, sono nata a
Łódź (figlia unica) il 27.02.1928 da Ignazio Isacco, direttore di fabbrica e da Isabella Śpiewak.Quando scoppiò la guerra mi trovavo nel sanatorio di Zakopane sul Bystre e lì ebbi, per la prima volta, i contatti con la nostra Congregazione.
La guerra non mi ha più permesso di unirmi ai miei genitori dei quali non avevo più notizie fin dalla primavera del 1943.
Sono stata per cinque anni nelle case della Congregazione, a Zakopane, a Varsavia - Tamka 30, a Lipnica Murowana e infine a Chylice da dove frequentavo il Liceo Classico di Skolimowo.
Il 21 ottobre 1945 sono entrata nella Congregazione e sono rimasta a Chylice fino alla maturità classica e cioè fino al 1947. In agosto dello stesso anno, sono partita per il noviziato a Pniewy. Dopo aver finito il noviziato ho lavorato nella nostra scuola di Pniewy come segretaria.
A settembre del 1949 sono partita per la Nuova Zelanda, soffermandomi per tre mesi in Francia a Ucel (Ardèche) e quattro mesi dalla mia famiglia in Australia (Melbourne, Horsham).
In Nuova Zelanda (Wellington) ho lavorato per quattro anni come educatrice nella casa delle studentesse.
A maggio del 1954 sono partita per Roma in Via di Villa Ricotti, dove sono rimasta per un anno frequentando il corso di taglio e cucito e aiutando in casa.
Nel 1955, a settembre, sono partita per Matrice (Campobasso), dove sono rimasta e dove ho lavorato come educatrice per quattordici anni, di cui nove come educatrice e direttrice della comunità. Mi sono impegnata inoltre nel lavoro sociale, parrocchiale e con il coro. Ho frequentato la scuola del servizio sociale e sociologia applicata, nel vicino Campobasso.
Nel frattempo, e cioè nel 1963 e nel 1964 sono stata operata all’anca e al ginocchio a Roma.
A gennaio del 1969 sono ritornata all’ospedale di Roma e dopo altri interventi e cure durate un anno sono arrivata a Scauri, dove ho finito la convalescenza e mi sono applicata nel lavoro parrocchiale e catechistico. Intanto ho finito la tesina nel campo del servizio sociale e ho conseguito il diploma nel 1972 .
Nel 1975 ho conseguito il diploma in Istituto Superiore di Teologia.
Attualmente insegno religione nella scuola media di Scauri e continuo a lavorare nel campo catechetico come anche nel lavoro della nostra parrocchia".
s.Paola Goldman
…segue aggiunto dalla Comunità:
Dal 1975 al 1978 sr Paola ha svolto attività dell’insegnante di religione nella scuola media di Scauri e la catechesi parrocchiale, incontri giovanili e l’attività di animazione liturgica. Negli anni 1978 – 81 è stata direttrice della casa di Scauri, conservando la stessa responsabilità nel campo catechistico e scolastico. Negli anni seguenti: 1982 – 2000 continuano le stesse responsabilità un po’ diminuite a causa delle sue condizioni di salute.
A primavera del 1999 le condizioni di salute si aggravano così che sr.Paola è costretta a subire i diversi ricoveri ospedalieri.
All’inizio del mese di dicembre ’00 la situazione precipita e, dopo una grande sofferenza muore il 20 gennaio 2001 all’ospedale di Minturno.
La Comunità di Scauri
NB.
Il desiderio di sr.Paola era di mettere, come memorie, i seguenti frammenti della sua tesina:
LA TEOLOGIA DELLA SECOLARIZZAZIONE come risposta alla provocazione
Le tre principali caratteristiche
della teologia della secolarizzazione
… la mia provenienza da una famiglia di ebrei catalogati dal punto di vista religioso come liberali o progressisti ed il fatto che già dall’età della fanciullezza, per motivi di salute, vissi in un ambiente cristiano, avrebbero potuto limitare la ricchezza e molteplicità di esperienze collegate con un tale passaggio. D’altra parte però, la privazione degli svaghi infantili, causata da una lunga malattia, mi rese più riflessiva e più pensosa nei riguardi dei modelli di fede e di morale che quel particolare ambiente presentava. Tali esperienze, nonostante la loro intensità, diventano però molto sfumate al momento in cui, razionalizzate, per comunicare agli altri, subiscono una trasposizione al livello di pensare adulto.
(…)
Mi permetto, a questo punto, di portare come esempio una mia esperienza personale, forse non molto significativa, perché vissuta nella fanciullezza e risalente a diversi anni fa.
Ottenuto dai genitori il permesso di assistere alle lezioni di religione, rimasi affascinata, in un modo irresistibile, dalla figura e dall’insegnamento di Cristo (il catechista era bravo). Quanto alla morale, mi erano piaciute particolarmente le lezioni sulle beatitudini. Purtroppo però, la realtà quotidiana dell’ambiente cristiano che mi accolse, messa a confronto con questo insegnamento, costituiva per me un vero choc e mi faceva dubitare. Se nessuna riusciva minimamente a metterlo in pratica, significava evidentemente che si trattava di un’utopia, una favola bellissima, troppo bella per essere vera. Avrei voluto conoscere almeno una sola persona coerente alla propria fede, per convincermi che il mio desiderio di vivere sul serio il Vangelo non sarebbe stato solo frutto di una audace e assurda presunzione. Ho vissuto al contrario l’esperienza di Sant’Agostino e cioè dicevo a me stessa: “Se non ce la fa nessuno, perché t’illudi, tu, di riuscirci?” Quanta sofferenza e divisione nel cuore di una bambina undicenne, tra il desiderio del battesimo ed il timore di assumere un impegno impossibile da realizzare. Mi astenevo dal passo decisivo, ma continuavo d ascolatare le lezioni ed a guardarmi attorno nella ricerca di qualcuno, che mi avrebbe potuto confermare la verità con la testimonianza di vita.
Mi attirava ed entusiasmava la dottrina della grazia, l’Eucaristia e la morale del Vangelo, ma mi ripugnavano e lasciavano perplessa: le preghiere adoperate come formule magiche (5 Pater, Ave, Gloria per…), le novene che perdevano la loro efficacia se subivano un’interruzione, il “magico nove” dei primi venerdì del mese, l’impostazione pratica della morale, tanto negativa, formalistica e basata sulla paura. Il clima dell’ambiente era malsano, come facilmente avviene nei collegi, case di cura per i bambini ed altri agglomerati del genere.
Ogni mese c’era la confessione e la comunione per tutte, che non venivano precedute da alcuna preparazione. Era questa la pratica che maggiormente mi scandalizzava. Alle mie compagne di degenza, il timore di una comunione sacrilega imponeva una rigida autovigilanza tra la confessione e la recezione dell’Eucaristia e… faceva rimandare (tutto ben pianificato!) a dopo la celebrazione, gli imbrogli, le bugie, i discorsi licenziosi ed i regolamenti dei conti.
Io, che non ero sufficientemente istruita sul peccato originale, ero convinta che le confessioni frequenti erano una presa in giro nei confronti di Dio, perché fattane una bisognava rimanere fedeli all’impegno e non ripeterle più.
Nella mia esperienza infantile entrano in collisione due immagini di Dio: una piuttosto ibrida e talvolta meschina che traspare dalle conversazioni, dai modelli di comportamento morale dell’ambiente e da alcune “pratiche religiose”, l’altra, presentata a scuola, che completa e perfeziona invece, in un modo avvincente, nella persona di Cristo, l’idea sobria del Dio dei padri, che avevo riportato dal mio ambiente familiare. Tutta presa ed affascinata da quest’ultima, sembrava che ignorassi la prima, mentre era proprio quella che mi faceva dubitare e metteva in questione il valore di ciò che veniva insegnato al livello di dottrina.
(…)
Con lo scoppio della guerra, lasciai la casa di cura e venni accolta da una comunità religiosa giovane (di fondazione) e fervorosa. Vi trovai finalmente, al livello di vita vissuta, ciò che mi affascinava tanto al livello di dottrina, più un riserbo delicatissimo, cioè l’assenza di una minima pressione o incoraggiamento per farmi entrare nella Chiesa. Impiegai ancora più di un anno per osservare la vita delle suore, senza accennarli mai al mio desiderio di diventare cristiana. La decisione stava maturando. Gliela comunicai, dopo aver ricevuto il consenso dei genitori ed iniziai il catecumenato. A quattordici anni ricevetti il battesimo e a diciassette facevo già parte di quella comunità che, per degli anni, con gioia e semplicità, aveva esposto al pericolo, giorno per giorno, la propria vita, per la salvezza degli altri.
Nell’ambiente della medesima comunità, avvenivano frequentemente conversioni degli adulti che da molto tempo vivevano senza fede. Essa costituiva veramente quel lievito che lavorava silenziosamente ed efficacemente e ciò le era talmente connaturale che non ne era nemmeno consapevole.
L’ultima parola a proposito del cristianesimo nella sua funzione di “carica salvifica” riguarda il problema della sua efficacia, che non potrà certamente consistere in spettacolari e trionfalistiche conquiste, ma dovrà seguire la parabola del chicco di grano e l’itinerariodi Cristo: vivere per gli altri – morire per gli altri; testimonianza quotidiana – croce – sepolcro – risurrezione.
CENTRO DIOCESANO DI TEOLOGIA
Arcidiocesi di Gaeta
IV anno – sr. Anita Goldman