La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

Madre Orsola Ledóchowska

STORIA della CONGREGAZIONE

 

(pro manoscritto, Roma)


A DJURSHOLM (1915-1917)

    Non era così facile come a Sodertalje ‑ perché mancavano i mobili e bisognava ingegnarsi ed arrangiarsi, per non comperare troppe cose. Di nuovo tutte le difficoltà che porta con sé l’apertura di una nuova casa, però tutto va bene quando si lavora. Con quanta dedizione e spirito di sacrificio lavoravano le mie suore! Già il 15 settembre la signora Sollet ci portò le sue due figliole ‑ prime alunne della nostra scuola di lingue “Sprakinstitutet”. Una difficoltà costituiva nei primi tempi la distanza tra una villa e l'altra - sempre circa 6 minuti di cammino ‑ ma poi tutto si sistemò: le camere da letto nella villa Berchmans, la cucina, la lavanderia, le classi alle quali in breve tempo poi si aggiunse anche la cappella ‑ tutto il movimento giornaliero, nella villa Karlson.

Le allieve arrivavano sempre più numerose ‑ si avverarono le previsioni del buon Padre Benelius ‑ la scuola acquistò simpatia ed era anche "elegante". Le signorine scandinave dopo aver finito la scuola vanno di solito all'estero per studiare le lingue  e poi non le imparano lo stesso, perché sono proprio negato per questo genere di studi. Durante la guerra non potevano viaggiare, perciò il nostro istituto le attirava sempre di più – anche perché fu unico di questo genere in tutta la Scandinavia. Arrivarono anche alcune signorine polacche ‑ la Principessa Lubecka ci portò le sue tre figliole, venne Hanka Wolowicz, Iza Sopocko e poi le due Tyszkiewicz e sempre più numerose le signorine svedesi e danesi... Vi era tanto lavoro nel “Sprakinstitutet”. Venne da noi anche Sr. Lozinsks la quale era andata in famiglia - e perfino Mille Marie Paput, la nostra buona Francese, arrivò attraversando con molta difficoltà varie frontiere; la guerra la trovò a Wolyn - dovette combattere con gli Austriaci, Tedeschi ed anche con gli Inglesi per poter raggiungere la Scandinavia. Gli Inglesi non volevano lasciarla passare perché era diretta dalla sorella del "Papa nero" ‑ e volevano per forza far diventare Tedesco mio fratello. Ella viaggiò circa tre mesi da Wolyn a Stoccolma, riscuoteva i diritti e litigava dappertutto, elle a fait du train ‑ e finalmente riuscì a vincere tutte le difficoltà.

Le lezioni andavano bene ‑ le nostre signorine erano simpatiche ‑ però molto diverse dalle nostre Polacche ‑ cioè le nostre allieve dell'anteguerra (purtroppo adesso anche la nostra gioventù diventa sempre più simile a loro). Superficiali, quasi senza religione, avevano in testa solo i divertimenti e le toillette “hawa del bra” come dicono. Dello studio non s'interessavano perché quel che importa sono i vestiti, i balli ed i ragazzi. Però in convivenza erano molto carine. Non ci interessavamo della loro formazione religiosa ‑ erano protestanti, religiosamente piuttosto indifferenti; non cercavo di convertirle, come spesso succedeva nei conventi all'estero, so quali conseguenze ci sono da aspettarsi… una ragazza si esalta e dopo qualche mese si converte, poi ritorna a casa ‑ rientra nel vecchio ambiente, si fidanza con un protestante, diventa indifferente per il cattolicesimo ‑ rimane ne pesce ne carne, queste conversioni portano più danni che vantaggi alla Chiesa. Non nascondevamo alle nostre allieve il fatto di essere cattoliche, avevano il libero accesso alla cappella ed alle nostre funzioni; cercavo di elevare un po' la loro mente così superficiale e questo era tutto. Credo, che alcune più in là rifletterono su quel che videro da noi ed alcune di loro so che passarono al cattolicesimo; il seme gettato un volta ‑ quasi invisibilmente venne a portare il suo frutto. La nostra vita religiosa, vita di Congregazione invece doveva portare l'impronta di clandestinità. In Svezia era vietata l'esistenza degli ordini religiosi ‑ e noi non potevamo manifestare di essere Suore. Portavamo dei vestiti neri da persone laiche ed all'inizio non avevamo nemmeno il refettorio; le suore di coro mangiavano con le signorine e le suore converse in cucina. Ci riunivamo in cappella ed ogni tanto per le conferenze che tenevo per loro. Feci venire ancora le altre suore converse ‑ il nostro gruppetto cresceva e stavamo tanto bene insieme, perché unite, ed il Signore era con noi.

La guerra continuava, in Polonia aumentava la miseria e bisognava pensare di nuovo a raccogliere un po' di denaro con le conferenze.

Il 27 ottobre ebbi la prima conferenza in svedese a Stoccol­ma nel Grand'Hotel ‑ e subito ai primi di novembre iniziai tutto un ciclo, tutte nella stessa lingua. Cominciai dall'Upsala – poi Goteborg, fui invitata lì dalle persone tanto buone, non mi ricordo il cognome della famiglia, per qualche giorno ricevetti un'ospitalità così cordiale (avevo un fortissimo raffreddore) che potevo dire soltanto: “Che il Signore stesso li ricompensi”. Conobbi l’nterieur di un'abbiente casa svedese ‑ benessere, comodità, gioia di vivere ‑ molta bontà e cordialità ‑ invece presso l’aristocrazia svedese non trovai tanta bontà di cuore.

Il 9 novembre tenni una conferenza a Gotegorg in una grande sala ‑ ove si radunarono 800 persone. Poi proseguii per Malmo, dopo essermi congedata dalla buona famiglia svedese che mi aveva dato l'ospitalità. Anche lì trovai una casa ospitale dalla signora Nielson di origine polacca, ed ebbi due conferenze il 12 ed il 13 novembre sempre con degli ascoltatori molto numerosi ‑ affluiva anche il denaro il quale inviavo al Comitato di Sienkiewicz a Vevey. Poi andai in Danimarca a Kopenaghen. Feci i primi passi per iscritto per recarmi in Danimarca ed incontrai delle difficoltà. La signora alla quale mi rivolsi mi rispose molto freddamente che non tutti possono essere ricevuti a Kopenaghen – in quanto bisognava avere delle buone capacità oratorie. Mi salvò la moglie dell'ambasciatore danese a Stoccolma, la signora Scavenius la quale organizzò tutto con la sua madre signora Etatsvvadinde Louise Hansen e questa con la signora Alberti. Si occuparono dell'organizzazione in Roindelig, Kwindelig, Loeseforening e ci riuscirono veramente tanto bene. Quando la nave, che mi portò da Malmo a Copenaghen entrò nel porto, mi accolse sul posto la signora Hansen; si occuparono di me con tanta cordialità che i miei timori si dissiparono. Presero per me una camera in un buon albergo e mi recai poi in visita a diverse persone ‑ questi furono i miei primi paesi sulla terra danese. La lingua danese somiglia molto a quella svedese, perciò in quest'ultima potevo facilmente farmi intendere.

La prima conferenza tenni il 18 novembre a Kwindeling Loeseforening in francese. La sala era piena ‑ erano presenti diversa ambasciate ‑ un pubblico molto elegante. Dimostrarono molto interesse per l'argomento e simpatia per la mia persona. Il giorno dopo parlai in svedese a Odo‑Fellow Palacet ‑ venne anche Georg Brandes e pur se non erano presenti tante persone ‑ erano solo circa 500 ‑ anche questa volta prestarono molto interesse.

Andai da Georg Brandes; uno scrittore ebreo. Era amareggiato coi Polacchi ‑ dicevano che si era comportato in una maniera bruttissima, perché nel suo primo libro parlò con tanto entusiasmo della Polonia ‑ invece poi si offese e fece il contrario. Mi raccontò tutte le sue amarezze. Cercavo di rasserenarlo ‑ fu molto cordiale con me ‑ promise anche che se avessi organizzato una serata di beneficenza per la Polonia avrebbe parlato ai convenuti. E’ un grande personaggio in Danimarca; mi fece pena, perché si vedeva che era un uomo di buon cuore, però senza fede e per questo si trovava male.

Ancora non avevo scritto che il 16 ebbi un'altra conferenza presso i Gesuiti, intitolata "Il cattolicesimo in Polonia".

Ricevetti una lettera dalla provincia con invito per una conferenza, ­però dovevo tornare; salutai cordialmente i miei nuovi ci e tornai a casa.

Silenziosamente passarono le prime feste di Natale a Djursholm ove di nuovo abbiamo avuto la Messa di Mezzanotte; une e delle Suore si trovava a Pietroburgo ‑ non eravamo tutto sotto il medesimo tetto, però non v'era più quella desolante solitudine dell'anno passato.

Immediatamente dopo le feste avrei dovuto cominciare "une tournée” di conferenze in Danimarca.

1916

A metà gennaio mi misi di nuovo in viaggio - faceva terribilmente ­freddo ‑ però la sera stessa della mia partenza venne il disgelo e durante tutto il mio soggiorno in Danimarca ho avuto buon tempo. Une attention du bon Dieu". Non parlerò di ciascuna conferenza; segnerò solo i nomi delle città nelle quali parlai.

 

La prima conferenza il 17 gennaio a Koge, poi Kovsor, Odessa, Silkeborg, Aalborg, Aarhus e Horsens. Organizzò questa “tourné" il redattore del "Ostsjoellands Folkeblad” il signor Soarve. Dappertutto incontrai una grande cordialità ed interesse per la causa polacca. In provincia conobbi la vita della piccola borghesia danese, le mogli dei pastori, vescovi, le famiglie degli impiegati - abbastanza burgelich, romantisch. Si può trovare da loro molta cordialità, molto calore della famiglia, poca distin­zione, poco idealismo. Quando stanno seduti a bere il loro caffè con “Kager Ami" (coi biscotti) sembrano così contenti come se nulla mancasse a completare la loro felicità. Gli Svedesi sono più eleganti, i Danesi più semplici e più cordiali nella vita quotidiana.

A Aalborg incontrai il Padre Sassen, Camilliano. Quei Padri si occupano del lavoro pastorale tra i cattolici ad Aalborg e dell'ospedale. Hanno molti Polacchi nella loro parrocchia ‑ e si preoccupano dell'educazione dei ragazzi. Durante il pranzo al quale ci invitò una buona cattolica, la Signora Frytsche, Padre Sassen cominciò a chiederci di aprire un asilo per i bambini degli operai polacchi, i quali in tempo di guerra risiedevano la Danimarca in numero di 15.000. Di conseguenza c'erano anche moltissimi bambini ‑ molti orfani del tutto ‑ oppure orfani di padre; le madri non ce la facevano a guadagnare il pane ed occuparsi di loro e li lasciavano negli orfanotrofi danesi. Questi piccoli erano ormai perduti per la loro Patria ed ancor peggio per il cattolicesimo. Per noi che eravamo senza risorse e lottavamo per guadagnarci un pezzo di pane in un paese straniero, aprire un asilo era un'impresa quasi impossibile, così dovetti rispondere al Padre Sassen, il quale però più tardi riuscì a rag­giungere il suo scopo.

All'inizio di febbraio ritornai a Djursholm. Anche lì ci attendeva il lavoro. Dal mese di gennaio 1916 iniziai l'edizione di un piccolo mensile per i cattolici svedesi. Io scrivevo e la mia grande amica svedese Doktorinnan Lilly Sundstvon correggeva. In quei tempi questo era l'unico giornale cattolico in Svezia. Era intitolato "Solglimstar" cioè “Raggi di sole" ‑ raccolta dei brevi articoli di contenuto religioso ed ascetico. Fu questo per me un grande lavoro, però ero contenta che almeno in qualche anima potevo infondere un po' di fiducia e di pace.

In quei tempi si organizzò il Comitato Polacco ‑ molti erano i Polacchi che vivevano a Stoccolma. L’iniziativa fu del Signor Lednicki ‑ il quale mi aveva chiamato a collaborare ‑ come pre­sidente fu nominato il signor Pomian. Appartenevo all’amministrazione del comitato. Non so molto bene, come questo avrebbe dovuto aiutare la causa polacca. Ritenevo come il mio dovere di pren­dere parte nelle riunioni ‑ però dopo un po' di tempo comincia­rono a litigare accanitamente ed io mi ritirai dall'amministrazione - poi continuai soltanto a frequentare le riunioni per non perdere il contatto con la colonia polacca.

Ai primi di aprile volevo avere una conferenza a Norrkopin, tutto era già preparato e pronto, quando improvvisamente la poli­zia me lo proibì. Si fece una grande pubblicità intorno all'av­venimento ‑ i giornali erano pieni di sdegno ‑ era l’unica volta che una cosa simile mi capitò durante il mio soggiorno in Scandinavia.

Cominciai a pensare alla Norvegia ‑ volevo interessare anche lì la gente della causa della Polonia. Non sapevo però dove recarmi. Nell’autunno mi telefonò Kammerrinde Egeberg nel Grand Hotel di Stoccolma – il quale avrebbe desiderato vedere il nostro "Sprakinstitut". Mi offersi di andarla a prendere a Stoccolma e di portarla da noi e così feci. Non la conoscevo per niente, una persona di età un po' avanzata, simpatica, la quale parlava francese; andammo assieme a Djursholm, le feci visitare l'istituto, la ospitai e poi se ne andò. Mi lasciò il suo indirizzo: "Se qualche volta potrò esserle utile, l'aiuterò molto volentieri". Andaì al consolato norvegese chiedendo le indicazione dove mi sarei potuta rivolgere per avere la conferenza – “foredragstournee” in Norvegia. Mi diedero gli indirizzi dei redattori dei diversi giornali e poi mi domandarono: Lei non conosce nessuno nella Cristiania?” ‑ "Conosco solo Kammerherinde Egeberg”. "Allora lei ha  tutto quello che le occorre. Ella è una delle persone più importanti in Christiania; si rivolga a lei". Così feci ed ella mi invitò gli ascoltatori, organizzò la conferenza e tutta la tournée in Norvegia, fu poi la mia mano destra tutte le volte che mi trovai in Cristiania, proprio come uno strumento della Provvidenza.

Il 3 maggio 1916 il Comitato organizzò una serata per cele­brare l'anniversario della Costituzione a K.F.U.M. Tenni una breve allocuzione e poi andai via per prendere il treno per Christiania. Lì m'attendeva Kammerherinde Egeberg ‑ mi sistemò nell'albergo, non mi ricordo quale, mi pare nel Kosmopolite ‑ per facilitarmi gli incontri coi giornalisti, mi accompagnò dovunque mi occorresse andare, in una parola era gentilissima - mi invitava a casa sua per i pranzi ecc. Alle 4 del pomeriggio vennero da me moltissimi giornalisti per le interviste, raccontai tutto quello che ho potuto dire.

Il 5 maggio la sera, la conferenza ‑ la sala era piena ‑ rac­colsi fino a 800 kr. I giornali pubblicarono delle bellissime critiche.

Il 6 mi recai in treno a Troutheim - molto lontano verso il nord. Il 7 sera la conferenza ‑ poi con la nave a Aalesund. L'otto sera la conferenza a Aalesund ‑ una bellissima cittadina ‑ 15.000 abitanti, sulle rocce vicino al mare, città dei pescatori - rocce ed acqua. Arrivai al pomeriggio del giorno 9, mi sentivo terribilmente male ‑ che brutta situazione ‑ così lontano dai miei, perché il treno qui non arrivava, solo la nave ‑ non cono­scevo nessuno, se mi fosse capitato di ammalarmi? Il Signore però fu tanto buono ‑ il giorno dopo stavo già meglio. Approfittai del tempo per arrampicarmi sopra una montagna rocciosa – in ­cima c'era un piccolo albergo ‑ una magnifica veduta – come è bella Aalesund in mezzo ai fiordi norvegesi!

Alla sera la conferenza ‑ la sala piena ‑ alla fine tutti si alzarono e gridavano "viva la Polonia" ‑ che impressione fece quell'entusiasmo per la Polonia in questa cittadina nordica in mezzo ai fiordi. Siccome dovevo attendere per una giornata la nave, approfittai del tempo per fare conoscenza con dei diversi consoli – nel pomeriggio (la nave doveva arrivare a mezzogiorno però portava qualche ora di ritardo), m’invitò per il tè, mi pare, il Console Kraasbye ‑ la maggioranza degli ospiti era composta di vecchie signore, molto buone, ma un po' arretrate ‑ mi raccontavano che avevano paura di viaggiare col treno, perché questo non si trova in Aalesund ‑ preferiscono la nave ‑ questo è il loro mezzo di locomozione.

Alle 10 di sera mi recai col facchino al porto - era ancora giorno fuori – aspettiamo, aspettiamo, cominciavo ad esasperarmi, perché mi sembrava di non uscire più da quel fiordo, domani alle sette avrei dovuto tenere la confereza a Bergen. Finalmente all'una di notte si fece vedere da lontano nella debole illuminazione la nave tanto attesa. Si avvicinava pian piano, finalmente si fermò ‑ salii a bordo e partimmo.

Il Comitato che si formò ad Aalesund lavorò molto bene; dopo una breve scadenza di tempo mi annunziarono che avrebbero inviato a Vevey 11.000 franchi.

Il viaggio da Aalesund a Bergen durò molto tempo. Arrivammo solo il 12 maggio verso le sei del pomeriggio. Mi attendeva il signor Izdal, padre di Onorata, una delle nostre allieve. Mi prese a casa sua, mangiai in fretta qualche cosa, mi cambiai e subito venne l'ora della conferenza.

C'era molta gente – un’atmosfera piacevole ‑ il giorno dopo la domenica ‑ ancora nel pomeriggio dovetti ripetere la medesima ‑ la gente mi attendeva, quando lasciai la sala mi stringevano la mano ‑ vi incontrai tanta cordialità.

Il giorno dopo di nuovo con la nave a Stavanger, il 15 sera la conferenza ‑ anche lì organizzeranno un comitato.

Il 16 in viaggio per Bergen ‑ Christiania. Vi arrivai il 17 e di nuovo la sera la conferenza.

Il 19 ancora la conferenza nell’aula dell’università.

Il 20 l'udienza dal Re di Norvegia (non mi ricordo esatta­mente se ebbe luogo il 20 o più presto). Mi ricevette con molta gentilezza ‑ è molto semplice ‑ parlava francese, ma non molto bene. Aveva accanto a sé un grande, bellissimo cane. Gli parlai della Polonia e dell'aiuto che cercavo per la mia patria in Norvegia. Pìù tardi tramite Kammerinde Egeberg mi inviò 1.000 kr., chiedendo affinché nessuno lo venisse a sapere. Così finii la tournée e mi congedai dalla infinitamente buona Kammerinde Egeberg e dall'altra buona gente che conobbi, e tornai a Djursholm. Christiania è molto bella – una città piuttosto piccola ‑ al centro sopra un monte vi è il castello reale circondato pure dalle montagne - pulita, veramente carina.

Con gioia ritornai dai miei. Les tournées de conférences non appartenevano ai momenti più piacevoli della vita, pur se la bontà che dovunque mi dimostrarono me li rese più dolci.

Organizzai con le nostre signorine una gita di qualche gior­no (a maggio andai con loro a Upsala) ad Alwastra e Vadstena. Le allieve erano 20 e con loro Sr. Lozinska, una buona giornalista del Aftongblabed, Anna Lisa Anderson ed io. Scelsi come termine dell'escursione un angolo della Svezia più conosciuto attraverso le legende e i ricordi gloriosi e santi del passato. E' bella Ostergotland con Alwastra ‑ Vadstena, località così care ai cuori degli Svedesi e dei cattolici. Mi fissai un appuntamento con la buona Ellen Key, la quale ci trovò il luogo per pernottare. La giornata fu bellissima. Verso le tre del pomeriggio scendemmo in una piccola stazione ferroviaria dalla quale ci recammo da Ellen Key. Ci uscì incontro con un enorme cane di San Bernardo ‑ Wild, il quale le fa sempre compagnia. Trovammo la merenda preparata ‑ poi visitammo la casa molto bella "Stranden” con una magnifica veduta sul “Watternsjo” ‑ ed andammo a fare una passeggiata attraverso un bosco di faggi; ci fu anche una spedizione con le barche alle grotte Rodgawels, dalle quali nei tempi pagani si spandevano gli incantesimi di Omberg. I raggi del sole gettavano dei riflessi dorati sul bosco e sul lago, come se la regina Omma si fosse servita di tutto l’oro, che costituiva la provvista del suo tesoro, per abbellire il suo regno. La sera ci sistemammo in parte nell'albergo Alwastra, in parte nelle piccole case dei pescatori sul lago. Il giorno dopo la mattina presto lasciai la compagnia ancora immersa nel sonno e mi diressi verso Omberg. Silenzio ‑ una bellissima mattina d'estate ‑ sentivo lo spirito di Santa Brigida e dei santi monaci che una volta abitarono qui e percorrevano i pendii di questo monte ‑ il pensiero s’immerge nel passato – trascorsero qui la loro esistenza terrena, amarono, soffrirono e lavorarono ‑ ed il futuro… Si trovano lassù nello splendore della gloria eterna. Feci in quel luogo la mia meditazione ‑ vi si stava tanto bene in quel bosco in mezzo ai ricordi dei Santi, però bisognava tornare - mandare via dal letto le pigrone ‑ portarle a colazione.

Verso le 11 venne Ellen Key incomparabile come cicerone per accompagnarci sull’Omberg. Sempre più in alto attraverso i boschi fino alla sua cima. Una veduta meravigliosa di tutta la regione circostante; ai nostri piedi il lago, i boschi e le campagne coi villaggi. Riposammo un po’ e discendemmo dall'Omberg per un'altra via ‑ una passeggiata meravigliosa ‑ solo verso le 3 ritornammo per il pranzo all'albergo.

Ellen Key ritornò verso le 5 e ci condusse alle rovine del vecchio monastero dei Cistercensi Alwastra ‑ rovine antiche e venerande. Abbiamo bevuto alla fonte conventuale, che i monaci ricoprirono una volta. Dall'Alwastra si vede un vecchio cimitero che conta, come dicono, 2.000 anni ‑ poi il luogo ove trovarono delle tracce della costruzione sui pali dell'epoca della pietra, di 4.000 anni fa. Vecchie rovine dei tempi nei quali regnava il paganesimo coi suoi incantesimi i quali vennero spezzati dal suono delle campane del convento e la croce di Cristo annientò il loro potere.

La sera tardi ringraziammo Ellen Key della sua grande bontà – e molto stanche andammo a dormire. Il giorno seguente la mattina partimmo col treno per la città di Santa Brigida ‑ Vadsten. Subito dopo l'arrivo indirizzammo i nostri primi passi al convento di questa Santa. Davanti al convento un grande spiazzale coperto di erba circondato dai vecchi alberi. La chiesa non molto grande, con un grazioso campanile. Accanto alla chiesa il convento, tutto sulle sponde del Vattersnjo. L'interno della chiesa bellissimo gotico, le pareti in pietra di una strana tinta bruno celestina conferiscono un aspetto strano, ultraterreno a tutto l’insieme. Nell'angolo si vedono i crani di S.Brigida e della figlia S.Caterina ‑ buttate lì senza alcun rispetto ed esposte per farli vedere ai visitatori. C'è un acustica straordinaria tra questi vecchi muri. Tutto l'insieme perde ogni bellezza per le restaurazioni posticce ‑ però fa una grande impressione questa chiesa così antica e costruita secondo le indicazioni di Santa Brigida. Visitammo il convento Wasaborgen ‑ il castello della dinastia dei Wasa.

Per il pomeriggio ci invitò a casa sua a Naddo, Werner von Heidenstan. Inviò le barche, perché ci portassero alla sua residenza, ci attendeva sulla riva salutandoci cordialmente. Ci fece visitare la biblioteca, il salone ed il giardino. Chiesi affinché ci leggesse il brano sulla morte di Santa Brigida dalla sua opera intitolata appunto "Santa Brigida". Ci sedemmo nel salone e lui leggeva con una voce sonora, tutto preso dalla santi­tà dell'argomento e mi rimasero sempre impresse nella memoria le ultime parole di quel libro, nel quale in una maniera così bella il poeta traccio il carattere di questa grande figlia della terra svedese.

Mi regalò le sue poesie ‑ ultima correzione con delle annotazioni ‑ bellissime. Quanta profondità in quei scritti! Peccato che malgrado la loro elevatezza, nella sua vita quotidiana fosse di morale così dubbia. Alla fine ricevemmo un'ottima cena.

Le mie signorine erano molto entusiaste di tutto ed in un modo particolare del poeta. La sera tardi ci riaccompagno al lago, ove già ci attendevano le barche. La sera era chiara e tran­quilla ‑ abbiamo salutato il gentile signore della casa e le barche si allontanarono dalla riva. Allora le mie signorine dimostrarono il loro entusiasmo per il poeta gridando “evviva” ed egli rimaneva fermo sulla riva e ci guardava, finché non sparimmo dai suoi occhi. Allora mi fece tanta pena. Possedeva tutto quello che il mondo chiama felicità e ciò nonostante era solo ed avevo sentito in lui una tristezza. Se gli si potesse dare Dio…

Il giorno seguente ritornammo a Djursholm; le signorine erano molto contente ‑ questa gita rimarrà impressa nella mia e nel­la loro memoria. E' una grande cosa poter seguire la traccia dei ricordi dei Santi.

Le vacanze ci portarono di nuovo i villeggianti, perché ave­vamo bisogno di guadagnare e sempre rimanevo con questo pensiero, che i nostri risparmi sarebbero serviti in Polonia. Gli ospiti non c'impedirono di approfittare di questo tempo anche per il riposo. Sono riuscita a fare in silenzio i miei esercizi spiri­tuali e ci siamo trovati tanto bene insieme. Solo il lontano eco della guerra, la nostalgia della Patria ed un certo senso di vergogna che noi stiamo bene, mentre in Polonia si soffre, mi turbavano la pace.

Finirono le vacanze, iniziò il nuovo anno scolastico 1916/17. Dovemmo prendere in affitto ancora un'altra villa, perché avevamo più di 50 allieve, nella maggior parte norvegesi. Che ragazze selvagge queste Norvegesi ‑ hanno un'infinità di denaro e non pensano che al divertimento. Avevamo sempre più lavoro con loro, e mi era difficile capire, come la gente vedendo quanto avessimo da fare (50 signorine scatenate) potessero ancora sospettarmi che fossi una spia; e pure mi ritenevano tale. Una volta tornai da Kopenaghen con una nuova allieva. Siccome feci ritardo per il tram elettrico che andava a Djursholm, presi in fretta una macchina per poterlo raggiungere alla prossima stazione. Per disgrazia la direzione fu la medesima che portava alla legazione inglese. Raggiungemmo il tram e tornammo a casa. Qualche giorno dopo mi recai per gli affari dal conte Hadig, il Ministro austriaco. Questi si rivolse a me con un tanto di rimprovero: "Signora, lei attira su di sé dei sospetti. Tornando da Kopenaghen si recò immediatamente alla legazione inglese ‑ sembra come se avesse portato con sé dei documenti". Ero sdegnata. Come si poteva mentire in questo modo… Però bisognava vedere chi avesse mentito al Ministro.

Il primo o il due novembre i Tedeschi proclamarono il regno di Polonia ‑ naturalmente i terreni dell'occupazione russa ed austriaca passarono nelle loro mani. Della parte di Poznan non si parlava. Domenica il 3, telefona a me la signora Anie Akerhelm, corrispondente del “Nya daglig Allemanda", un giornale filo‑tedesco, che vuole incontrarmi. Avevo una forte emicrania. Non avevo voglia di parlare sull'argomento del "Regno Polacco" ‑ chiesi affinché non venisse, ma non c'era nulla da fare. Si presentò ancora prima del pranzo. La prima domanda: "Cosa pensa lei, signora, riguardo alla proclamazione del Regno Polacco?”. Sento che devo essere molto cauta. "Non sono un uomo politico ‑ e quel che avviene ora può ancora cambiare prima della conclusione della guerra; non vi è ancora nulla di definitivo”. “Oggi penso con dolore, che dopo tutte le sofferenze causate dalla guerra ‑ la gioventù polacca sopravvissuta formerà l'esercito polacco, il quale dovrà combattere coi suoi connazionali, che si trovano sotto lo scettro russo, e questi dovranno lottare non solo fratello contro il fratello, ma anche contro il regno polacco e contro l'aquila bianca. Del resto oggi non si può dire nulla in riguardo; bisogna vedere quale piega prenderanno inseguito gli avvenimenti". Chiesi la signora Akerhjelm di non scrivere di me; non me lo promise, mi assicurò soltanto che avrebbe parlato con molte cautele di questa intervista.

Il giorno seguente apparve l'articolo citando quasi parola per parola quel che avevo detto; nulla vi fu di preciso, però i Te­deschi erano stizziti che non avevo esaltato la loro magnanimità. Mi recai dalla moglie del ministro dell'interno svedese e ella mi disse: "Sa, Signora, questa mattina ho letto la sua intervista con la signora A. Ho dato l'articolo a mio marito dicendogli: Questa contessa Ledòchowska è come un abile uomo politico – non si rende conto veramente quale parte sostenga".

Uscendo incontrai un Polacco, si avvicina e dice: “Presso la legazione russi si racconta che lei ieri a Djursholm ha dato un grande pranzo per sollenizzare l'istituzione del nuovo Regno Polacco. Tutti ne sono sdegnati”. “Ma queste sono delle vere e proprie menzogne. Avevo un'emicrania e nessuno è venuto a visitarmi. L'assicuro che non ho visto nessuno, salvo la signora che scrisse quell’articolo. Devo subito andare al ministero per rettificare".

Così tutti si occupano di me. Ma c'è ancora di meglio. Questo successe di lunedì, invece il mercoledì nelle ore antimeridiane sento squillare il telefono. Mi avvicino: “Chi parla?” "Il Conte Hadig". A nome mio e del mio collega Barone Lucjusz (il ministro tedesco) annunzio che interrompiamo i nostri rapporti con lei" ‑ "Ma perché questo?" ‑ "Lei scrive contro di noi. Ci accusa di dire delle sciocchezze" ‑ "Mi sembra, che il telefono non sia un mezzo adatto per questo genere di conversazioni. Ogni colpevole ha il diritto di difendersi, dunque anche a me spetta il medesimo diritto. Quando posso venire?" ‑ "Nella mattinata di domani?” – “Va bene".

Il giorno dopo, all'ora stabilita mi trovo dal Conte Hadig. L'umiltà è una bella virtù, però ci sono dei momenti nei quali non serve a nulla. E' questo si riferisce proprio al momento di cui parlo. Con la testa molto alta entro, non gli porgo la mano e mi siedo. "Praticamente che cosa lei mi ha da rimprove­rare? ‑ Forse non capisce bene la lingua svedese. Le posso tradurre letteralmente l’articolo con la mia intervista. E adesso che cosa lei vi trova di male?" – “Veramente, non vi trovo nulla". "Allora di che cosa si tratta?” ‑ "Lei simpatizza con la Russia, ha dei poderi là e vorrebbe ritornarvi". “Si intende che avrei voluto riavere le nostre terre. Non simpatizzo coi Russi e non mi intenerisco nemmeno coi Tedeschi. Hanno fatto molto per la Polonia ‑ cioè hanno restituito quelle terre delle quali s'impossessarono con violenza, per di più senza restituire la zona di Poznan, la quale del resto non ridaranno mai. E' un furto... La nostra Chiesa ritiene come rapinatori anche quelli che s'impossessarono dello Stato della Chiesa.

Egli ancora continuò di enumerare le mie colpe, ed io gli risposi: «Lei non pensa al modo in cui parla, pero deve ballare secondo come i Tedeschi fischiano”. Mi alzai e me ne andai. Era furioso con me. Da allora per sei mesi durò il disaccordo. Egli parlava male di me ed io di lui, però naturalmente io non gli ho potuto nuocere, quanto lui a me. Arrivò a questo punto che Lady Isabella Howard mi avverti di non farmi sentire né notare, perché già si parlava di me alla corte del re, ed un bel giorno mi avrebbero potuto espellere dalla Svezia. Grazie a Dio questo non successe perché non avrei saputo nemmeno dove recarmi.

1916

Verso il 20 novembre ci pervenne la notizia della morte del grande Polacco Enrico Sienkiewicz. Morì dopo una breve malattia a Vevey, ove dall'inizio della guerra lavorava come presidente del Comitato per gli aiuti alle vittime della guerra in Polonia ‑ completamente dedito a quest'opera di misericordia. Il ventiquattro, giorno della sua sepoltura vi fu una solenne Messa da “Requiem" nella chiesa dei Padri Gesuiti a Stoccolma. Il catafalco era coperto con la bandiera polacca; la chiesa piena di Polacchi (membri delle varie legazioni) e degli Svedesi. Dopo la S.Messa cantammo nella terra straniera, però con tutto il cuore “Boze cos Polske" (O Dio che la Polonia). Un ardente cuore polacco aveva cessato di battere. Non era arrivato a vedere la risur­rezione della Polonia.

Verso la fine di novembre, le mie signorine cominciarono a far capricci. A ottobre si iscrissero per il secondo semestre perché si trovavano molto bene, a novembre si dispiacquero che non avevo permesso loro di andare alla posta, perché giocavano a fare dei flirt e cominciarono ad essere scontente, in partico­lare le Norvegesi. Tutto andava male. Una dopo l'altra avevano cominciato a ritirarsi dal Capo d'Anno. Ero molto preoccupata; se la metà di loro fosse andata via come avrei potuto andare avanti materialmente con le mie quattro ville?

Un Norvegese, il quale aveva sistemato da noi sua figlia e due altre signorine, mi scrisse direttamente, che siccome qualche cosa non andava bene nel pensionato durante le vacanze, dopo aver parlato con le ragazze, mi avrebbe avvisato se fossero tornate o no. Questa veramente fu troppo grossa. Gli scrissi dicendo che da noi in Polonia si domanda agli educatori se sono contenti degli allievi e non agli alunni se sono contenti dei loro educatori e chiedevo che le signorine non fossero tornate più. Era molto inquieto, ma quando gli scrissi che avrebbe dovuto anche ringraziarci, ci inviò una bella lettera ed un album dalla Norvegia. Che buffa gente.

Bisognava rimediare e prevenire affinché non avvenisse questo sfollamento. Cominciammo ad esercitare una commediola francese “La foire de Seville”, ed annunziai, che dopo le feste avremmo organizzato una grande rappresentazione nel Grand Hotel. Questo annunzio – ed il tempo più sereno si vede - influirono bene sulle nostre signorine. Il numero delle "fuggitive” non aumentò più. Partirono per le vacanze di Natale tutte di buon umore. Poche si ritirarono e molte nuove si erano prenotate, perciò mi tranquillizzai riguardo al secondo semestre. Subito dopo la partenza delle alunne le suore mi portarono la lettera di una delle allieve scritta in norvegese o danese (le due lingue sono uguali, solo la pronuncia è diversa) alla madre. La lessi; si vede che era rimasta dimenticata in mezzo al disordine delle nostre ragazze. Una lettera orribile; tutto un inveire contro la scuola. Stiamo malissimo. La Contessa non è per nulla contessa, ma una persona comune; falsa e senza cuore. Le insegnanti sono sporche, il mangiare orrendo. Oggi abbiamo avuto il pesce guasto ecc. Chi l’ha scritto? Dalle ultime frasi: "Ebbi una telefonata da Copenhagen – dissi che era il mio fratello" - conobbi la colpevole, però la calligrafia non era sua. Mi accorsi che questa lettera fu spedita in diverse copie dalle varie famiglie norvegesi. Bisognava rimediare. Decisi di recarmi subito dopo le feste a Chrisatiania e parlare con la madre della colpevole, uno dei grandi personaggi di quel luogo.

Le feste passarono di nuovo silenziosamente, con la Meesa di Mezzanotte. Per il secondo giorno di festa invitai da noi la colonia polacca. Cantavano le pastorali e godevano - era questa una riunione veramente polacca. Sembrava di trovarsi in Patria.

1917

Subito dopo le feste, pare dopo il Capo d'Anno, partii per Christiania dalla signora Egeberg, la quale mi invitò a casa sua, il che fu molto vantaggioso per l’azione che dovevo svolgere. Un salone magnifico, la signora Egeberg una grande dama, lui il sciambellano ‑ questo farà effetto. Le raccontai tutta la storia. Era sdegnata per il comportamento delle allieve e subito personalmente telefonò dalla signora Heyerdal chiedendo affinché venisse a parlare con me. Presto arrivò evidentemente preoccupata. La salutiamo - io consegno in mano il "corpus delicti” – legge e subito dice onestamente: “Sí, questo ha scritto la mia Else". “Ma lei lo sa, signora, che questa lettera in molte copie fu inviata a tutti i genitori delle alunne norvegesi e firmata da loro. Lei comprende che questo mi aveva preoccupato. Quando ritornarono, gli abbiamo subito detto che il loro buon aspetto dimostra che non potevano stare così male a Djursholm. Ma perché lei non aveva scritto a me direttamente per domandare come andavano le figliole?” "Non sapevo come scrivere. La lettera era già iniziata, ma poi la strappai. Non volevo nuocere a mia figlia. Adesso cosa sarà con lei? Potrà ancora tornare?” Aveva le lacrime agli occhi fa­cendo queste domande. “L’arte educativa non consiste nell'espel­lere le alunne difficili ma nel condurre all'emendazione; questo è il vero compito degli educatori. Mi invii Else, che domandi scusa, faremo pace, tornerà e sarà buona". Else venne compunta, chiese perdono e la signora Egeberg mi mandò moltissime mamme che abitavano a Christiania ‑ inviarono le loro figliole dopo aver parlato con me per chiedere scusa, alcune firmarono la let­tera soltanto così, per fare un atto di solidarietà... E tutte tornarono dopo le feste. Le nuove che volevano disdire il loro arrivo ci ripensarono. La signora Egeberg affermava che la sis­temazione della questione in Christiania fu un episodio che segnò una svolta nella storia della pedagogia norvegese. Da al­lora fino alla fine dell'anno scolastico non ebbi più alcuna preoccupazione a causa delle alunne norvegesi. Il mangiare era buono e buone erano le insegnanti ‑ buona la Grewinde ‑ e Grewinde era contessa ‑ ecco che cosa può fare un capriccio infantile. Il Signore mi aiutò di evitare la catastrofe. Ci potevano rovinare comple­tamente la scuola.

Subito dopo le feste cominciammo ad organizzare la rappresentazione nel Grand Hotel. Preparai già prima delle feste "La foire de Se ville”, una specie di operetta buffa. Adesso biso­gnava tutto esercitare le danze e poi ancora aggiungere una comediola tedesca, inglese e per la fine il “Krakowiak”. Naturalmente questo piaceva alle mie signorine, si esercitavano con tutto impegno, cucivano i costumi e non avevano tempo per fare capricci. Nel Grand Hotel ricevetti come sempre la bella Spegelsalen (ci doveva essere dopo anche una festa da ballo). Le entrate non mi ricordo se erano destinate per il Comitato di Sienkiewicz o per i bambini polacchi. Mi pare che era per quegli ultimi.

Doveva iniziare la rappresentazione. Le legazioni, in parti­colare Lady Isabella Howard e Mmé Tomasini aiutavano a vendere i biglietti. C'era un'infinità di lavoro da fare, però avemmo la sala gremita e tutto andò molto bene. All'inizio Rulka Lubecka recitò il prologo, potio Sprak efter afabet swenska visse “en tete”. Prologo in 10 lingue. Ogni lingua 4 righi, ed in svedese piú a lungo. Il Krakowiak piacque moltissimo ed i giornali scris­sero delle critiche assai favorevoli.

La mia rottura di rapporti coll’Austria e la Germania conti­nuava a durare. Adesso era proprio abbastanza. Mi rivolsi al mio cugino Vlodimiro Ledòchowski e al mio fratello affinché mi aiutassero di finire  questa storia. Tutta la famiglia in buoni rapporti con la corte ed adesso un quasi Austriaco cioè il Conte Hadig mi respinge ‑ un assurdo. Il mio cugino fu aiutante del gio­vane Re Carlo, successore di Francesco Giuseppe, mio fratello ricevette molte decorazioni militari, mi avrebbero potuto aiutare. Anche Padre Vlodimiro i occupò di quest'affare. Dopo poco ditti mi scrisse affinché i rivolgessi per corrispondenza al si­gnor X. (non mi ricordo il cognome ‑ un rappresentante austriaco a Varsavia). Lo feci e ricevetti una risposta molto gentile e molto diplomatica. Il signor X. diceva che conoscendo la delicatezza del Conte Hadig, non poteva supporre che avrebbe potuto mancare di tatto, e mi consigliò di presentargli un'altra volta tutta la questione per iscritto. Capii entre les lignes che Hadig ricevette «einen Wink von oben'' per finire la storia, però io non volevo scrivere a lui ritenendo, che qui s’excuse s'accuse. Così passò il mese di marzo. Intanto trovai un mezzo il quale mi avrebbe po­tuto riconciliare coi Tedeschi e con gli Austriaci. Decisi di organizzare una lotteria a vantaggio di tutti i paesi coinvolti nella guerra. Alla fine avremmo ripetuto "La foire de Séeville” e poi avrebbe seguito la serata danzante. Dovetti fare un po' di chiasso per raggiungere i miei scopi. Le entrate del teatrino sarebbero state destinate per un asilo svedese perché una volta bisognava fare qualche cosa anche per la Svezia. Arrivammo a fare tutto, però fu un lavoro enorme. A casa preparavamo gli oggetti per la lotteria, io giravo tutta Stoccolma chiedendo nei negozi affinché ci dessero qualche cosa, facendo reclame per vendere i biglietti per il teatrino. In quest’occasione scrissi anche al Conte Hadig, dicendo di pensare che nel momento presente non fosse il caso di ricordare i rancori e che certamente anche lui si sa­rebbe unito a noi per portare sollievo al bambini austriaci; avrei contato su di lui per quanto riguarda la pesca. Mi rispose con una lettera gentile e cordiale (ecco Vink von oben) dicendo di essere contento di poter contribuire a un'attività caritativa e ci inviò un bel oggetto di valore per la pesca. Quest'ultima ed il teatrino erano fissate per il mese di aprile. La mattina già partirono le suore per il Grand Hotel con gli oggetti destinati ad essere sorteggiati. Tutti i saloni più la grande sala erano stati lasciati a nostra disposizione. Preparammo il salone austriaco, il salone franco‑inglese, italo‑americano ed a parte quello polacco. All’inizio Sr. Zaborska era molto preoccu­pata, ed essendo incaricata di sistemare gli oggetti si lamentava che non ne trovava il numero sufficiente per riempire i numerosi tavoli. Intanto verso il mezzogiorno cominciarono ad affluire moltissimi fiori, dolciumi ed altri oggetti ed alle due ebbe inizio la pesca.

Pieno dì fiori, le nostre signorine vendevano presso i tavoli. Il più bello fu il salone polacco con la bandiera bianca e rossa e tutto decorato con questi due colori, pieno di torte, di pasticcini, limonate e tè. Alle Svedesi piacevano enormemente i buoni dolci polacchi. Una di loro dopo giorni mi disse: “Che paste buone, ne mangiai per 16 kr. svedesi. Il giorno dopo mi ammalai e dovetti prendere le pastiche”.

Venne anche il Barone Lucjusz ‑ Tedesco, e così l'inimicizia si estinse. Poco dopo arrivò il Principe Ksawery Lubecki, invitò il Barone Lucjusz e me per il té ed in esso abbiamo finito di annegare il nostro antagonismo; per un po’ di tempo soltanto, perché dopo qualche mese di nuovo sorse tra di noi un forte attrito.

Verso le cinque finii la pesca ‑ noi eravamo mezzo morte di stanchezza, le ragazze senza pranzo, ed intanto bisognava comin­ciare subito a preparare “La Fiore de Séville”, vestire le signorine, sistemare il palcoscenico.

Mi pare che alle sette iniziamo la recita, però questa volta con minore applicazione, perché tutti i pensieri correvano verso la serata da ballo. Subito dopo la rappresentazione portarono le sedie ed il locale si trasformò in una sala da ballo. Ecco quello che mi era toccato fare alla vecchiaia ‑ avevo allora 52 anni; non sono mai stata ad una festa da ballo ‑ invece adesso dovevo rimanervi per sorvegliare le mie signorine. Ogni giovanotto doveva venire con molto rispetto a presentarsi e chiedere un per­messo se voleva portare con se la signorina per offrirle qualcosa. Rimanevo seduta lì e mi sembrava tanto buffo guardare quelle figure svolazzanti. Giravano le mogli dei ministri e tutto la società elegante ‑ come mi pareva stupido tutto questo! Girano in­torno come i bambini e sono contenti. Verso le 12 la cena ‑ e poi il finale. A l'una un tram appositamente prenotato ci riportò a Djursholm. Eravamo contente che tutta la storia fosse finita (ci attendevano ancora molte altre) ‑ Che stanchezza! E la gente im­maginava, che questo mi divertisse molto. Il giorno dopo ebbi come premio una grande soddisfazione. Con alcune allieve conse­gnammo all'amministrazione dell'asilo le entrate della recita 2.000 kr. Erano tanto contenti e ringraziavano infinitamente, per­ché in questo modo l'istituzione aveva assicurate le risorse per le spese di un anno intero. Al ritorno mi disse una delle allieve, una buona ragazza norvegese: "Non sapevo che si potesse speri­mentare una soddisfazione così grande facendo del bene agli altri”. Povere figliole, nessuno aveva insegnato loro quel che il prover­bio tedesco esprime così bene: “Geben ist seliger als nehmen". E’ chiusa per loro una delle più sicure fonti della felicità.

Di nuovo finii l’anno scolastico e ci salutarono con: "non dimenticherò mai... gli ottimi dolci oppure le squisite salse, che mangiavamo nel "Sprakinstitutet". Ero abituata a queste espressioni, perché le avevo già sentite dalle nostre buone signorine a Sodertalje. Rimarrà nel loro cuore qualcosa di quello che da noi hanno veduto e sentito?

Durante le vacanze avemmo di nuovo un po’ di ospiti ‑ tra gli altri un Egiziano Farid Bey ‑ espulso dall'Egitto per opera degli Inglesi, perché si adoperava troppo per la causa della li­bertà del suo paese. Un tipo molto interessante ‑ ufficialmente risultava come Maomettano, però praticamente era ateo. Da noi si trovava molto bene e parve che il contatto con la religione cat­tolica non lo lasciasse indifferente. Una volta tenne per noi una conferenza sull'Egitto e ci raccontò molte cose interessanti.

Verso la metà di luglio venne da noi dopo un lungo periodo (pare circa 3 anni) di esilio in Russia l’Arcivescovo Metropolita Szeptycki.

Non avevo scritto che a febbraio in Russia scoppiò una rivoluzione. Costrinsero lo Zar a abdicare e la sua famiglia fu tenuta sotto una specie di arresto, prima nel loro palazzo a Carskie Siolo, poi deportata in fondo della Russia. All'inizio della rivoluzione non ci fu lo spargimento di sangue ‑ invece presto se ne imporporò. Sotto Kierenski vi si sperò che questo movimento si sarebbe potuto dirigere su una via migliore ma Kierenski non potè reggere ed il bolscevismo crudele e sanguinario prese soprav­vento. Però all’inizio, quando le cose non andavano ancora tanto male fu dato l'ordine di liberare i prigionieri politici. Il giorno stabilito andai ad incontrarlo alla stazione e subito invitai coi due suoi compagni ‑ Padre Bocian ed un altro - non mi ricordo il cognome, a Djursholm. Accettò quest'invito molto volentieri. Rimase da noi circa 10 giorni, godeva con tutto il cuore dì questo periodo di riposo dopo la prigionia, che sopportò senza lamenti, pregando incessantemente ‑ adesso col cuore grato accettava il dono della libertà. Godeva le bellezze della natura del fiordo e l'ambiente cordiale, perché cercavamo accontentarlo in tutte le cose. Si serviva anche della cappella - ­tutti e tre vi celebravano ogni giorno la S.Messa ‑ l'Arcivescovo era così contento di poter nuovamente lavorare per le anime. Il suo fervore agiva su di noi, le suore, le allieve e perfino Farid Bey, lo avvicinavano volentieri. Su quest'ultimo fece una grande impressione. Fummo addolorate quando dopo 10 giorni dovette con­gedarsi da noi. Era un sant'uomo. Quanta fiducia riuscì ad infondere nel mio cuore!

Ebbi un dispiacere, perché fui costretta a mandare via Farid-Bey, il quale non aveva la voglia di andarsene, perché si trovava molto bene da noi. Lady Isabella mi spiegava che se avessi tenuto presso di noi questo nemico dell'Inghilterra avrebbe dovuto rompere i rapporti con me. Naturalmente non volevo che ciò avvenisse; la legazione inglese era stata sempre tanto buona con me. Lo annunziai a malincuore a Farid‑Bey, spiegandogli le ragio­ni, non era inquieto, perché capì che non avevo potuto agire di­versamente; gli dispiaceva molto di doverci lasciare.

Intanto le inquietudini in Russia aumentavano. Perciò scrissi alle Suore che si trovavano ancora a Santa Caterina di ritirarsi dal ginnasio, venire da noi per le vacanze, e non tornarvi più. La direzione del ginnasio accettò; avevano chiesto solo al lasciare almeno Sr.Rodziewicz con la quale sarebbe rimasta Suor Izydora, la quale non venne per le vancanze a Djursholm ‑ perché una doveva custodire la casa a Pietroburgo e poi sarebbero ri­maste a Merentahti Sr.Angela e Sr.Anna. Del resto tutte le Suore si erano già riunite in Svezia, solo verso la fine delle vacanze doveva ripartire Sr.Rodziewicz. E' stata per noi una fortuna aver ritirato prima le suore dalla Russia, perché dopo non sarei più riuscita a riprenderle. La prima spinta per fare questo passo me lo diede l'episodio con Janka Dziekonska; se non l'avessero mandata via, forse non avrei chiamato le Suore in Svezia per rimanere. Come la Provvidenza meravigliosamente ci dirige e guida.


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