La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

Madre Orsola Ledóchowska

STORIA della CONGREGAZIONE

 

(pro manoscritto, Roma)


L'anno 1914

    A Natale ritornai solo per la Messa di Mezzanotte e il giorno di festa. Poi ritornai subito a Pietoburgo viaggiando in mezzo ad una tormenta di neve, e mi ritrovai a Merentahti solo l’otto gennaio 1914, questa volta per rimanervi.

Il tempo passava presto. Le bambine erano buone, le lezioni andavano bene. Accettai al noviziato la sig. Szyrajew – insegnava tanto bene. Sr. Pradzynska iniziò il postulato; il gruppo delle suore cresceva. Il governo russo naturalmente non fece a meno di darci un po’ di fastidio. Mi proibirono di insegnare il francese; spiegai che il divieto era assurdo, perché avevamo il permesso per la scuola ed io avevo dato l’esame necessario. Le autorità russe non avevano preso in considerazione le mie rimostranze, però continuai a dare le lezioni lo stesso.

Devo raccontare qui un avvenimento, che ebbe luogo nella nostra vita silenziosa. Venne il primo aprile. Pensai di fare a tutti uno scherzo. Da molto tempo ci minacciava la visita dell’ispettore scolastico ‑ non era questa una prospettiva piacevole. Dissi a Sr. Angela di indossare la pelliccia, il cappello e di arrivare con la carrozza davanti all'entrata dell’istituto verso le ore due. Sr. Pradzynska era a corrente del segreto. Alle 2 arriva la carrozza. I cavalli non sono nostri ‑ sicuramente viene l’ispettore. Mentre io ricevo quel signore, Sr. Pradzynska corre sopra: “L’ispettore! Chiama Sr. Arciszewska, l'unica che parla bene il russo, affinché scendesse.” Ella si aggiusta il vestito, si fa il segno di croce ed entra nel parlatorio, io la presento ed essa meravigliatissima e scoppia in una risata: "Sr. Angela!" Zitta, andiamo con tutta la serietà dalle bambine. Sopra una grande confusione. Le alunne nascondono i libri e i quaderni polacchi. Jòzia Kruszanowska grida: “buttate via, bruciate, strappate!” Le insegnanti rosse in viso e tremanti mandano le allieve in classe. Entro coll’ispettore – tutti si alzano in piedi – le bambine gridano – non sanno cosa pensare, finalmente un gran ridere – prima aprilis – lo scherzo riuscì ottimamente – non si poteva parlare più delle lezioni – la giornata passò allegramente.

Nel mese di maggio riprendemmo la costruzione. Prima una bellissima terrazza dalla parte del mare, in pietra levigata, poi ingrandimmo la casa dal lato sinistro – lì dovevamo trasferire la cucina ed alcune stanze appartenenti alla fattoria. Con questo sarebbe finita la costruzione. Così pensavo. Durante il mese di maggio venne il vero ispettore e si fermò da noi per due giorni. Gli piacque molto la rappresentazione in lingua russa, la quale ebbe luogo una sera – bamboline – “Boze cara chrani”. Era contento – però molto antipatico nell’esaminare – sottolineava molto la schiavitù della Polonia.

Di nuovo cominciarono le vacanze, tanto attese – non pensavamo che la gioia così presto sarebbe cambiata nel dolore. Di nuovo venne Madre Immacolata e Sr. Cordula, le sign. Skrzynskie, le bambine; fra poco sarebbe entrata da noi Gabrysia Skrzynska – doveva occupare nel refettorio il posto della sign. Szyrajew, la quale ci lasciò. Le vacanze si promettevano tanto serene. La scuola andava sempre meglio – anche finanziariamente Merentahti stava adesso benino. Chiudendo i conti dell’anno feci notare a Sr. Zaborska dicendo che adesso Merentahti stava in piedi, gli edifici erano completi – bisognava solo migliorare, abbellire e perfezionare tutto insieme. Comprai ancora un bel pezzetto di terra, mi pare che avevamo circa 50 ha di pineta, dei prati e dei campi. Il futuro si prospettava in maniera sempre più serena. Si presentavano molte alunne ‑ il posto ci bastava per 45; avevamo anche circa 20 bambini poveri e tutta questa opera doveva cadere così improvvisamente.

Il 29 mi recai a Cracovia e a Varsavia, ove mi aveva invitato la sig. Wolowska. Voleva che io tenessi per lei e le signorine che aveva riunito intorno a sé (4-6), un ciclo di conferenze sulla nostra vita religiosa – desiderava darci la sua scuola ed unirsi a noi (il che non avvenne mai).

Prima della partenza da Merentahti apprendemmo la notizia dell’assassinio di Sarajevo, commesso sul discendente al trono austriaco e la sua moglie. Un crimine tremendo il quale ci riempì di timore, se non avrebbe causato la guerra. Però malgrado tutto partii. E a Cracovia come pure a Varsavia trovai la calma. Dalla sig. Wolowska tutte erano piene di buona volontà, però mi accorsi che l'unione con noi non avrebbe potuto avvenire. Mi si presentò una candidata per la suora di coro molto simpatica; avrebbe dovuto venire a ottobre. Verso la metà di luglio tornai a Merentahti. Trovai il giardino ben ripulito e tutta la compagnia allegra e contenta. A causa della mancanza dei sacerdoti iniziai di fare gli esercizi spirituali alle bambine e poi alle suore. Le notizie che circolavano intanto erano preoccupanti. Ci minacciava la guerra. Gli esercizi spirituali delle suore avrebbero dovuto finire il due agosto con un'adorazione di 24 ore. Una delle ultime conferenze ebbe come argomento le parole di S. Paolo: "Non sia mai, che mi glori d'altro se non della croce del Signore nostro, Gesù Cristo” – fu questo l’invito all’amore della croce, ma ancora non sapevo che una croce pesante ci attendeva.

Il primo agosto si sparse la notizia dello scoppio della guerra tra i Tedeschi ed i Russi. Mi recai a Jukkala, dal capitano il quale la confermò. L'adorazione del giorno 2 non fu per noi più un giorno di festa pieno di gioia come al solito - eravamo molto preoccupate. Il 3 agosto ricevemmo nella piccola casetta destinata una volta al sacerdote, il plotone dei soldati. Cercammo di sistemarli il meglio possibile. Il 4 agosto avevo bisogno di recarmi ad Ussikirko ‑ vi andai con Sr. Zaborska. Al ritorno le suore mi vennero incontro con una triste notizia: era venuto un poliziotto mezzo ubriaco aveva detto: "Bisogna che la casa sia pulita". Quando le suore risposero che era pulita spiegò che tutte le suddite tedesche ed austriache devono subito abbandonare la Finlandia. Non volevo crederci, perché non aveva lisciato alcun documento; la questione si presentava sempre più grave. Decisi di recarmi l'indomani ad Ussikirko per prendere delle informazioni esatte presso le autorità. Vi andai con Sr. Zaborska e venimmo a sapere che era proprio così quantunque la guerra con Austria non fosse stata ancora dichiarata, tutti i sudditi austriaci avrebbero dovuto lasciare immediatamente la Finlandia attraverso Torneo. Fu questa una notizia terribile. Prima Sr. Zaborska voleva che andassimo a Cracovia. “Tutto questo non durerà molto tempo; gli uomini di oggi non sono così stupidi da farsi uccidere a lungo andare ‑ dopo qualche settimana tornerà la pace ed intanto, Lei Madre, aiuterà nel lavoro le suore di Cracovia. A Merentahti questa notizia aveva causato molto dolore ‑ la Madre partirà; le mie figliole mi volevano tanto bene e sapevano quanto io le amassi. Dopo esserci consigliate con Sr. Maculewicz avevamo deciso di provare se non ci avrebbero permesso di andare a Pietroburgo ‑ i giornali russi non avevano parlato dell’evacuazione dei sudditi austriaci; se non ci avessero dato permesso avremmo dovuto dirigerci verso Torneo. Cominciammo a fare le valigie. Il piccolo baule con le cose più necessarie ‑ le disposizioni per il futuro; le insegnanti estranee e le suore, dovevano partire per Varsavia. Sr. Zaborska con le suore e le bambine doveva attendere a Merentahti i nuovi ordini: le notizie da Pietroburgo prima di portare le alunne in città. Quante lacrime furono versate! La tristezza si sostituì all'allegra atmosfera delle vacanze.

Il 6 agosto ‑ la festa della Trasfigurazione ‑ per me vi fu l’ultima S.Messa a Merentahti nella nostra bella cappellina. Suonai l'organo, cantammo "Non ci abbandonare" ‑ quanto ci dispiaceva! ‑ Ancora una volta andammo dalla nostra Stella del Mare ‑ i cavalli già ci attendevano ‑ partii; tutti erano in lacrime, il cuore gemeva per il dolore, ma grazie a Dio ci fu anche questa sottomissione alla Sua Volontà, che rende santa la sofferenza – e da anche un po' di speranza di poter arrivare Pietroburgo e restare lì, unite tra di noi. La sera attendevamo la telefonata di Suor Maculewicz ‑ o Pietroburgo oppure sulla via Torneo – Cracovia. Entriamo nelle carrozze, in una, io con Sr. Maculewicz, nell'altra, Sr. Wielowiejska, Sr. Margherita e Sr. Marta. Sventoliamo i fazzoletti ancora ed ancora e dopo poco perdiamo di vista il nostro caro Merentahti. Non sapevamo ancora allora che Pietroburgo e Merentahti furono solo delle singole tappe, che avrebbero dovuto portarci alla Casa Madre della nuova Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante. Nel mio cuore rimane sempre il sereno ricordo di quel luogo silenzioso nella quiete della pineta sulla sponda del golfo finlandese, col silenzio, che interrompeva soltanto il rumore del mare e del vento tra gli alberi, i campanelli delle mucche finlandesi e le voci allegre delle nostre bambine.

Alla stazione di Ussikirko c'era una grande confusione ‑ moltissima gente, tutti enormemente agitati tornavano in folla in città; molto chiasso. Ci infiliamo nel vagone della terza classe col batticuore; ci fermeranno sulla frontiera tra la Finlandia e la Russia? Bialy Ostròw ‑ ci faranno passare? Ecco Ostròw. Non guardano nemmeno dentro il treno. La gente entra ­ed esce, un affollamento ‑ si sente il fischio della locomotiva ‑ partiamo verso Pietroburgo. Respirammo. Forse ci permetteranno di rimanervi. La sera già siamo a casa di Sr. Maculewicz; i giornali pubblicano la notizia della guerra con l'Austria. Telefoniamo a Merentahti affinché Sr. Zaborska con le bambine e maggior parte delle suore venisse a Pietroburgo.

Il giorno dopo partirono tutte gli abitanti di Merentahti e Padre Isajewicz con le lacrime agli occhi si congedava dalla sua bella abitazione ‑ dal silenzioso angoletto ove pensava di poter finire la sua vita. Rimasero soltanto Sr. Pradzynska, Suor Angela ed alcune suore converse, non mi ricordo bene quali (Sr. Zita, Sr. Anna, Sr. Adela, Sr. Giulia). Eravamo contente di trovarci di nuovo riunite, ma bisognava sistemare le suore, perché ­dopo il ritorno delle bambine non si poteva tenere nell'Istit­uto di Santa Caterina tutta questa gente. Sr. Arciszewska doveva abitare dalla madre, le 3 suore di Cracovia andarono a Varsavia ‑ ove le aveva invitato la Sig. Wolowska ‑ qualcuna delle suore converse fu mandata a casa, alcune al servizio, le bambine dai genitori. Rimasero quelle suore che erano necessarie a Pietro­burgo. Intanto resero noto, che le suddite austriache di origine ­polacca potevano rimanere in Russia. Ci siamo presentate per farci registrare ‑ noi 4 suddite austriache; ci hanno fatto rimanere però sotto condizione. che non ci sposteremo senza permess­o da Pietroburgo e che non scriveremo all'estero. Accettai, perché già la possibilità di poter rimanere insieme costituiva per noi un grande vantaggio. Folle di sudditi russi espulsi dalla Germania affluivano tutti i giorni a Pietroburgo; tra di loro c’erano molti Polacchi, che la guerra aveva sorpreso nei luoghi di cura. I Tedeschi li trattavano in pessimo modo, trasportandoli carri di bestiame, ingiuriandoli e facendoli soffrire in tutte le maniere immaginabili; tutta questa gente tornava attraverso Torneo e Raume, mal ridotta e stanca ‑ ci decidemmo di venir loro incontro col nostro aiuto. Preparammo i dormitori ancora vuoti delle bambine e li riempimmo di diversi ospiti. Come furono grati per quest'accoglienza! Intanto arrivò da Merentahti Sr. Pradzynska spaventata. Lì veniva sempre il “polisi” per domandare ove era “Kreiwiter”. Si vede che mi attendevano a Torneo e siccome in mezzo alla confusione avevano lasciato passare alcune persone senza passaporto mi cercavano perché non mi avevano trovata tra le segnate.

Sono convinta che questa evacuazione dei sudditi austriaci prima della dichiarazione della guerra con Austria fu inventata dal Governatore Generale Zain ‑ per disfarsi di me, perché non so per quale ragione mi aveva preso in odio. Venne il momento in cui i soldati perquisirono l'Istituto; lo circondarono. L’ufficiale mise le guardie all' entrata con l'ordine di sparare se qualcuno avesse tentato di uscire da casa, perché deve cercare gli ufficiali austriaci... anche questa fu una scusa per cercare. Nella mia cella avevano battuto i materassi, conficcarono la sciabola nella fessura del pavimento ‑ ordinarono ad un soldato di entrare dentro il serbatoio d'acqua e quando questi rispose che il serbatoio era pieno, l'ufficiale gridò: “Non fa niente, cerchi, cerchi!” e questi dovette esplorarlo con la sciabola per vedere se ero nascosta nell’acqua come se fossi un'anitra. Sr. Pradzynska fece vedere un'apertura nel pavimento del corridoio che portava in un ripostiglio ove bisognava camminare carponi e ordinò di cercare anche là: ci andarono pur se malvolentieri. Naturalmente non trovarono nulla e se ne andarono, ma ci portarono l'inquietudine e il timore.

 

Mi decisi di porre fine a queste seccature, e scrissi al Commissario di Ussikirko, affinché non mi cercassero, perché mi trovavo a Pietroburgo ove legalmente avevo preso residenza – ebbi il permesso di rimanervi. Mandai Sr. Pradzynska in famiglia. Ad Ussikirko sequestrarono i cavalli alle Suore di Merentahti, e dovettero tornare a piedi a casa. Vi lasciai solo qualcuna per custodire gli edifici. Intanto smisero di affluire gli sfollati e cominciammo i preparativi per l'arrivo delle alunne le quali si erano scritte numerose.

 

In questi tempi morì il S. Padre Pio X.  Il Signore Gli risparmio il dolore di vedere la guerra mondiale ‑ ma per noi questo un gravissimo colpo. Nei momenti così difficili Iddio ci tolse il nostro Padre, il nostro Protettore. Andai alla Messa da Requiem a S. Caterrina; con quanto amore baciai i suoi piedi sul grande quadro esposto davanti al catafalco. Se ne andò e ci lasciò in mezzo a tante preoccupazioni e difficoltà. Che, riposi in pace!

Cominciai allora a pensare cosa avrei dovuto fare con la mia persona. Non mi potevo far vedere nel pensionato per non esporre la scuola alle seccature. Quale sarà la mia posizione qui? Quale il lavoro? Non dovevo pensarci per molto tempo. La risposta venne da sé. Questo avvenne mi pare il 25 agosto: verso 10.3. di sera; eravamo ancora con Sr. Maculewicz e Sr. Zaborska nella segreteria, quando squillò il telefono. Vogliono la contessa Ledòchowska – si deve presentare subito in questura. Sentii un brivido. All’inizio della guerra imprigionavano illegalmente tante persone. Presero i Signori Loster, il segretario dell’ambasciata austriaca, nostri buoni conoscenti, forse prenderanno anche me. Mi vesto in fretta; Sr. Zaborska e Sr. Maculewicz mi accompagnano in questura. Arrivo – mi annunziano che devo lasciare la Russia per sempre – mi lasciano tre giorni per la sistemazione degli affari. Devo firmare un documento col quale mi si imponeva di non ritornare mai più in Russia – firmo ed usciamo. Tutte e tre abbattute, mi si stringe il cuore – telefono al Generale Babianski. Arriva verso l’una, buon uomo, ci consigliamo, su cosa si sarebbe potuto fare. Che mi permettessero di rimanere in Russia pur se non a Pietroburgo, magari nella Russia centrale, sempre sarò più vicina alle mie suore; avremmo la possibilità di comunicare e di rimanere unite.

Il Generale, prima di tutto, cercherà di prolungarmi il mio soggiorno in Russia. Andrà dal Comandante di Pietroburgo, Gen. Vad der Flit a chiedere affinché io possa rimanere in Russia, magari in una località diversa da Pietroburgo; ed io proverò la fortuna presso i ministri. Forse circa le due di notte ci lasciò il buon Generale. Andammo a dormire, ma non potevamo chiudere gli occhi. Il giorno dopo iniziarono le pratiche ed abbastanza presto il Generale mi avvertì, che mi avevano permesso di fermarmi per una settimana. Poi forse due, tre giorni dopo mi venne dire che aveva proposto al Comandante di prendermi con sé e portarmi in un suo podere nella Russia centrale ed il Comandante acconsentì, però improvvisamente cambiò parere, spiegando che tutto il Consiglio dei Ministri aveva confermato la mia condanna all'esilio e che lui non poteva cambiare. Andai da diversi ministri; anche Goremykin - Presidente del Consiglio ‑ disse che non sapeva nulla della mia condanna, da Suchomlinow ‑ il Ministro della Guerra ‑ anche lui non sapeva niente, ancora una volta da Goremykin, il quale proprio allora doveva avere il pranzo e quasi mi scacciò. Mi consigliarono di andare da Mienkin, e lo feci; sapeva tutto, però non mi voleva aiutare ‑ cercava di evadere come un serpente. Domandai per quale motivo mi cacciavano via. "Oh vous devez comprendre, Madame, c'est la guerre. Avec votre passeport autrichien ce n'est guère possible pour vous de rester en Russie ». ‑ "Mais, Monsieur, tous les Polonais allemands et autrichiens ont la permission de rester en Russie. Pourquoi est‑ce que moi je la dois quitter ? » - « Voyez-­vous c'est votre nom « ‑ « Mais certes je n'ai pas envie de changer de nom » - « Et puis voyez‑vous, c'est votre oncle, c’est le Cardinal Ledòchowski ». « Voilà, nous en sommes à la fable du loup et de l'agneau ‑ Si ce n'est pas toi, c'est donc ton frère. Le Car­dinal est mort il y a 12 ans et il a été mis en prison par les Allemands. Cela devrait plutot bien vous disposer pour moi ». – « C’est décidé, pas à changer ». – « Et le menifeste du Grand Duc Nicolas qui promet protection aux Polonais?" ‑ "Il y a déjà trois semaines depuis ce manifeste et c'était pour le front". Sussultai: « Comment, pas pour tous les Polonais, seulement pour le front?”. Continuava a rigirare ‑ sapevo che non avrei raggiunto niente e feci soltanto ancora un'unica osservazione: »A quoi bon tous ces détectives qui me suivent partout" (Passo passo mi seguirono in questa settimana, perfino in chiesa si fermarono dietro a me), "ils sont betes comme tout et se font bien remarquer”. In questo fu d'accordo con me. « Oui c’est vrai, nos détectives son très bétes ». Fece finta di tranquillizzarmi che dopo la guerra avrei potuto ritornare e me ne andai. A casa trovai una carta nella quale mi comunicavano, che il mio soggiorno a Pietroburgo veniva abbreviato di un giorno; erano stufi di me. Proposi di non andare più da nessuna parte, ma di approfittare di quel breve tempo che mi rimaneva fino alla partenza per sistemare tutto e di godere la compagnia delle mie care suore prima di quella lunga, chi sa quanto lunga separazione. Se non mi sbaglio, il 28 agosto ebbe luogo nella nostra cappella senza il SSmo Sacramento la cerimonia dei voti privati; come fu triste questa volta questa festa di solito così gioiosa malgrado la sua clandestinità; quanta tristezza, quante lacrime, eppure nello stesso tempo quanto fu elevata e commovente. Furono accettate ai voti perpetui Sr. Maculewicz e Sr. Monkiewicz., e ai voti temporanei Sr. Arciszewska e Sr. Gerarda.

Bisognava pensare di preparare le cose più necessarie, di comperare quel che poteva servire ‑ ci pensava Sr. Zaborska. Io individualmente con le Suore, le incoraggiavo a restare tranquille, a sottomettersi alla volontà di Dio ‑ vi fu molta tristezza, però c'era questo di consolante che tutto si svolse tranquillamente, senza isterismi e sentivamo intensamente nello esso tempo quanto ci volessimo bene.

Decisi di andare a Stoccolma, e lì attendere la fine della guerra. Sarei stata più vicino alle suore e avremmo potuto scriverci, perché in Svezia regnava la pace; la guerra forse non sarebbe durata a lungo – così mi spiegava Sr. Zaborska –e poi di nuovo presto ci incontreremo. L’ultima sera fu piena di agitazione; Giovanna Matlajtis e Wanda Krasowska, due nostre alunne volevano recarsi a Carskie Siolo. Volevano incontrare la Zarina e chiedere per me il permesso di rimanere a Pietroburgo. Partirono nel pomeriggio; arriva la sera e le alunne non tornano (abitavano dai genitori e non ci avevano avvertito di essere tornate). Già sono le 9 passate e noi rimaniamo tanto preoccupate, cosa sarà successo alle nostro ragazze? Verso le 9.30 ci telefonarono dalla questura per domandare se la tal dei tali e la sua compagna frequentavano la nostra scuola. Telefonarono anche dai loro genitori e poi le lasciarono libere oppure riportarono a casa. Esse vennero a Carskie Siolo, giravano intorno al giardino e domandavano sempre se la Zarina non fosse passata – questo attirò l’attenzione della polizia, la quale le prese, le accompagnò in questura a Pietroburgo e poi nelle loro case. Respirai, quando seppi che questa spedizione pur se mal riuscita, andò a finire bene. Buone figliole.

Così venne il giorno della partenza: il 31 agosto. Un giorno molto triste, ma anche molto tranquillo. Sr. Zaborska doveva accompagnarmi a Raume, di l’ con la nave si partiva per Stoccolma. La sera l’ultimo congedo a casa. Alla stazione mi accompagnò un gruppo delle suore, di maestre e di bambine, alla stessa stazione finlandese dalla quale partivo tante volte con un gruppo di allieve per Merentahti. Oggi invece vi è tanta, tanta tristezza nelle nostre anime – la separazione della madre con le sue figliole, ed eravamo legate da un amore così profondo. Salii sul treno con Sr. Zaborska – il nostro dolore fu silenzioso – agli agenti in borghese, i quali naturalmente mi accompagnarono non demmo lo spettacolo delle nostre lacrime – tutto si svolse in silenzio e tranquillamente. Sr. Zaborska voleva che dormissi durante la notte – eravamo sole nello scompartimento, avevo dormito un pochino, come dorme il condannato l’ultima notte prima dell’esecuzione. Ero infinitamente triste. Sr. Zaborska mi circondò di amore fin quando le era possibile. Il giorno seguente verso le tre arrivammo a Raume. Un gendarme indicò ove si trovava la dogana, ancora una volta abbracciai e benedissi la mia fedele Alina e mi ordinarono di salire sulla nave. Ancora dal ponte della nave guardavo Sr. Zaborska, la quale si fermò sulla banchina, volevo dirle ancora qualche cosa (più coi segni che a voce, perché era troppo lontano), ma il poliziotto non mi permise di scambiare nemmeno poche parole, mi ordinò di andare in cabina. Salutai la mia fedele Sr. Zaborska con un cenno della mano e scesi. Mi faceva male il cuore – era una vicenda veramente straziante. Anche Sr. Zaborska si dovette allontanare. Scesi in cabina, depositai la mia valigetta ed andai in salotto, perché in cabina c’era solamente il letto. Vi trovai tutta una compagnia di donne Tedesche di ottimo umore, contente di essere uscite dalla Russia. Subito m’invitarono da loro – forse si accorsero che ero triste, pur se non lo volevo dimostrare. Si misero a preparare la cena, poi andai a riposare. La nave doveva salpare il giorno dopo la mattina presto. Non posso descrivere, quanto mi pesava questa situazione. Ero sola, completamente sola, diretta verso una città sconosciuta, senza conoscervi un'anima viva – la lingua straniera e col dubbio di non poter scrivere alle mie care suore. Stanca di dolore, delle emozioni intense e della notte passata nel treno, mi addormentai. Mi svegliò presto un forte malessere di cui nel primo momento non riuscii di comprendere l’origine; dopo capii che era il mal di mare. Un vento fortissimo sballottava tutto il giorno la nave, anche la mia compagna della cabina era malata, però io stavo molto peggio di lei e la cameriera svedese con un cuore di pietra non ci voleva aiutare in nessun modo, era questa una giornata tremenda. Ero sola senza nessuno. Mi ricordo che la nave una volta si fermò, sentii dire che vi erano delle mine e bisognava aspettare ‑ poi di nuovo proseguimmo e verso le ore 18 arrivammo tra i fiordi; il movimento diminuì, i passeggeri si alzarono ed andarono a cena, io ero caput, non mi potevo muovere, mi addormentai.

Verso la mezzanotte arrivammo a Stoccolma. Tutti i passeg­geri scesero. Io rimasi nella cabina fino al mattino, dove dovevo andare? Dopo le ore 7 uscii dalla cabina con le vali­gette (presi con me poche cose) e scesi dalla nave. Mi fermai sulla piazza davanti al fiordo ‑ cosa devo fare? Vorrei andare al Grand Hotel, non posso parlare con nessuno, non mi compren­dono. Un signore vedendo il mio imbarazzo mi avvicina e domandar in inglese, che cosa desidero. Mi aiuta a prendere una macchina ed andai al Grand Hotel; vi presi una piccola cameretta – mi sis­temai e chiesi ove si trovasse una chiesa cattolica - sapevo che vi si trovavano i Gesuiti; il portiere mi diede alcune spiega­zioni e poi in qualche modo trovai la via, non mi ricordo se a piedi o in macchina; le carrozzelle non vi si trovavano per niente. Con un senso di sollievo entrai in chiesa e mi rivolsi al sacres­tano che stava vicino alla porta: "Ci sono qui i Padri Gesuiti?" (questo è a Stoccolma "le secret de polichinelle"). Fra Potsold risponde cautamente: "vada in sacrestia e domandi là". In sacre­stia, dal loto sinistro del presbiterio trovo un Padre coi capelli bianchi ed un buon viso, gli dico subito: "Padre, sono la sorella del Padre Ledòchowski, Assistente della Provincia Germanica, es­pulsa dalla Russia”. Fu contento di incontrarmi il buon Padre Wessel. Gli raccontai brevemente la mia storia, chiedendo affin­ché mi aiutasse a trovare una cameretta presso una buona famiglia. La chiesa era bella; non molto grande, ma pulitissima e ben tenu­ta. Come ci si sente sollevati trovandosi in esilio quando si può entrare in una chiesa cattolica ove tutte è come “a casa” e lo stesso Signore, il nostro consolatore ed amico, ci accoglie. Questa chiesa fu per me la consolazione, il mio rifugio durante questi lunghi mesi della mia vita solitaria a Stoccolma. Il buon Padre mi portò dopo poco tempo, dalle Suore di Santa Elisabetta ‑ la loro veneranda Superiora mi accolse con bontà e promise di tro­vare un alloggio per me ‑ intanto tornai all'albergo ‑ non avevo coraggio di andare in un ristorante per non spendere troppi sol­di; mi nutrivo di brodo, il quale mi facevo portare in camera. Il giorno dopo le buone Suore di Santa Elisabetta mi invitarono a pranzo, gliene fui tanto grata perché ero proprio affamata; poi una delle suore mi accompagnò dal Signori Cormery per vedere la stanza ‑ rimanemmo d'accordo che mi avrebbero ceduto il loro salotto. Fra un giorno o due avrei dovuto trasferirmi da loro. Se mi ricordo bene era il venerdì mattina ‑ presi i miei bagagli e mi trasferii nella mia nuova "casa”, Klara Ostra Kyrtogatan 12, al secondo piano. Una grande stanza con tre finestre dalle quali si vedeva una chiesa protestante circondata di un vecchio cimitero, un po' di alberi e di prato. Non era una stanzetta accogliente, ma un salone ‑ vicino alla finestra una piccola scrivania ‑ mobili rossi con delle poltroncine rosse al centro, da una parte un comò ‑ un piccolo paravento con lavabo, d'altra parte un divano sopra il quale ogni sera sì prepara il letto, uno scaffale con diverse cose, un po' di fiori; ero contenta di ­non essere più senza tetto e di averlo trovato presso una famiglia cattolica ed onesta il che non è tanto facile a Stoccolma.

Il Signor Cormery ora un nomo anziano e simpatico, parlava bene il francese, come anche la sua sorella, la sign. Cormery più anziana di lui, zoppa, ma si vedeva subito che era molto buona. Poi c'era la signora Cormery, senza il francese, una donna semplice e senza pretese ed i fìglioli ‑ il ragazzo di 16 anni e due bambine Astrid mi pare, di 10, e Tulla di 8 anni. Il bambini molto carini e ben educati. I Signori Cormery avevano uno studio fotografico, però materialmente si trovavano in difficoltà, ed io facevo loro comodo ‑ io ero contenta di loro, perché erano molto gentili, si sforzavano tanto per farmi star bene con loro.

 

Iniziò la mia vita solitaria in esilio. Ogni giorno andavo ascoltare la Messa delle sette ‑ la chiesa non era lontana. Ritornavo alle 8, mangiavo la colazione e poi, o scrivevo lette­re, oppure studiavo la lingua svedese, perché volevo al più presto essere capace di comprenderla e di parlarla. Alle 11 la sconda colazione con tutta la famiglia. Poco dopo il mio arrivo hanno chiesto di dare lezioni alla piccola Ankersvat. Accettai volentieri, perché volevo guadagnare ‑ è molto spiacevole spendere continuamente, senza che ci siano alcune entrate. Davo le lezioni dalle 2 alle 4. Alle 4 il pranzo in comune  poi andavo in chiesa per le mie preghiere e per la Via Crucis, tornavo verso le 6. Spesso venivano da me le bambine. Le aiutavo nel francese o parlavo con loro. Alle 8 il tè ‑ poi in camera mia ancora scrivevo, leggevo e rammendavo, poi le preghiere della sera ed il riposo.

Nei primi giorni non sentivo molto la nostalgia a causa di tutte le novità - la chiesa era tanto accogliente e di domenica vi erano delle bellissime funzioni. Pregavo con molto fervore e sentivo una certa soddisfazione, che senza le preoccupazioni quotidiane che porta il superiorato, potevo avvicinarmi a Dio in quella vita solitaria e silenziosa. Non conoscevo nessuno, salvo la famiglia presso la quale abitavo, le Suore di Santa Elisabetta alle quali non volevo portare via del tempo, i Padre Benelius, un caro Padre, il quale venne a visitarmi e mi portò un libro di preghiera in svedese (sapevo che mi avrebbero aiutato volentieri, ma non volevo abusare della sua bontà); mi confessavo da lui tutte le settimane e basta. Non cercavo nemmeno delle altre conoscenze, però le lettere non arrivavano. Le attendevo con una crescente preoccupazione, la nostalgia mi assaliva sempre di più; solo dopo tre settimane arrivò la prima lettera.

Da allora la corrispondenza diventò la mia gioia ed il mio cruccio. Mi preoccupavo quando non mi arrivavano le notizie ‑ vivevo nell’eterno timore che anche la Svezia a un certo punto, sarebbe stata attirata nel vortice della guerra ‑ parecchie volte mancò poco che ciò accadesse ‑ allora cosa sarebbe successo? Sarei stata tagliata completamente dalle mie figliole. Era questa una nube nera che continuamente mi minacciava. La mia vita intanto passava molto silenziosamente; un po' mi occupavo dei Polacchi infelici che si trovavano nelle condizioni di bisogno; cercavo di trovare qualcuno dei connazionali che si recava a Pietroburgo per inviare delle lettere, del resto non conoscevo nessuno; una volta andai da sua Eccellenza Mons. Bitter, il le fu molto buono con me, ed una volta mi pare, dalle Suore di Giuseppe. L’unica via che percorrevo sempre era quella che portava alla chiesa. Cominciai a fare delle pratiche presso il ministro russo (Ministre plenipotetiaire ‑ il Sign. Nikludoff) di poter ritornare in Russia ‑ all'inizio fu molto gentile, dopo invece non mi vollero più vedere, si vede che avevano ricevuto Wink von Oben.

Talvolta andavo dal ministro austriaco il Conte Hadig - perché ero suddita austriaca. Era con me buono e gentile. Sapevo che Sr. Zaborska si dava da fare a Pietroburgo, perché mi lasciassero rientrare in Russia, già stava quasi per arrivare da Rasputin per mezzo di Wyrubowa, però quando seppe quanta immoralità dilagasse in quegli ambienti si ritirò. Quanto è stato buono il Signore per non averci esaudito. Saremmo state perdute.

Io diventavo sempre più triste, perché abituata al lavoro e alle mie figliole, risentivo moltissimo la mia solitudine. La festa di Sant'Orsola fu ancora più impregnata di questa tristezza. Mi pare che il 25 o 26 ottobre stavo seduta vicino al mio tavolino e rammendavo le calze col cuore oppresso, quando sentii il rumore nell'anticamera ‑ si apre la porta ed entra la mia Sr. Zaborska. Mi gettai nelle sue braccia piangendo. Confesso, fui debole, la solitudine e le preoccupazioni minarono le mie forze. Ella rimase con me fino al 2 novembre. Che bei giorni furono questi. Allegra e cordiale ella mi infondeva coraggio, così che coraggio anche, pur se con dispiacere affrontai la sua partenza; guardavo la nave che si allontanava dalla riva; però questa volta almeno non c'erano in giro i poliziotti come a Raume. Di nuovo ritornai alla mia vita solitaria. Oggi quando guardo indietro a questo periodo di dura prova, mi rimprovero la mancanza di coraggio e di fiducia: soccombevo con troppa facilità alla tristezza, pur se pronunciavo il mio “fiat” ed offrivo al Signore le lacrime ed il dolore ‑ però non mi rassegnavo con abbastanza energia. Ero come quell'aratro fuori uso che si ricopre di ruggine e la ruggine indebolisce e corrode. A dicembre le forze non bastarono più; ero talmente consumata dalla nostalgia dalle preoccupazioni e dalla sofferenza, che persi il coraggio e telegrafai a Sr. Zaborska, affìnché venisse. Fu una debolezza degna di rimprovero, però veramente soffrivo moltissimo. Siccome scrivo per voi figliole mie, penso che non farò male citando qui due poesie - nelle quali si esprime il dolore della mia anima in questo difficile periodo di solitudine.

Poesia di Matuchna "Come Dio Vuole”.

Non attesi molto tempo; dopo pochi giorni Sr. Zaborska era già con me. Venne questa volta non più con la nave, perché queste non transitavano più, ma via Torneo ‑ molto lunga e molto stancante. Venne verso il 15 dicembre. Ero veramente molto indebolita fisicamente, ella mi curò, mi tranquillizzai accanto a lei e cominciarono a ritornarmi le forze. La vigilia di Natale la celebrammo alla svedese, però non il cenone come si usa da noi, ma col baccalà (che brutta bestia). Dopo la cena portano una cesta coi diversi doni incartati; sopra vi era scritto da chi e per chi erano. Non vi erano doni ricchi - per noi alcune cianfrusaglie ‑ e noi abbiamo offerto le caramelle ai bambini - vi era una grande gioia ‑ godevamo della contentezza dei bambini – fui allegra per loro ed il Gesù Bambino infuse anche un po' della sua gioia divina nel mio cuore. Qui non c'è la Messa di Mezzanotte, solo la mattina presto una Messa solenne e poi un'altra Messa cantata - una bellissima funzione; già sono riuscita a capire la predica. Studiavo lo svedese e facevo dei progressi ‑ cominciavo a capirlo e parlarlo.

Sr. Zaborska mi portò delle notizie che m'indignarono. Giovanna Dziekonska fu licenziata dall'incarico di vice‑direttrice. Gliel’avevamo affidato noi ‑ con la speranza che col tempo avrebbe potuto sostituire Sr. Maculewicz. Senza alcuna intesa con noi la mandarono via. Vedevamo in questo licenziamento un atto di sabo­taggio contro di noi perché il corpo insegnante ci era piuttosto nemico. Sr. Zaborska mi raccontò diversi fatti, i quali testimoniavano come aumentasse sempre la scissione tra di noi, il corpo insegnante ed il Sindacato ecclesiastico.

La sera del 31, fummo invitate dalle Suore di San Giuseppe ‑ già le avevamo visitate un'altra volta ‑ passammo una serata molto piacevole nella loro compagnia.


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