La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

Madre Orsola Ledóchowska

STORIA della CONGREGAZIONE

 

(pro manoscritto, Roma)


L'anno 1911

    Non sapevamo ancora, augurandoci il Buon Anno, cosa ci attendeva. Pur se si parlava della recrudescenza della persecuzione della religione cattolica, il lavoro continuava a svolgersi normalmente. Come sempre si tenevano le riunioni delle Figlie di Maria, della Congregazione delle Donne, delle Studentesse e delle Allieve; avevamo le funzioni nella nostra cappella. Le alunne si affezionavano sempre di più; continuavo ad andare ogni settimane a Merentahti; però, già ai primi di gennaio ci avvertirono, che avrebbero avuto inizio gli interrogatori, e così fu.

Appena tornata da Merentahti, mi chiamarono In segreteria. L'ispettore del Governo e Sr. Maculewicz mi attendevano. L'ispettore voleva alcuni particolari riguardanti noi, me sopratutto. Mi batteva il cuore, purtroppo non so dire le bugie, perché arrossisco immediatamente. Vedremo come andrà. Mi dicevano, che potevo dichiarare di non essere una religiosa ‑ sarebbe stata una restrizione mentale ammessa. Inizia l’interrogatorio ed arriva la domanda: “Lei è una religiosa?” – “No, non lo sono”. Ma per disgrazia ‑ le labbra dicono di no, ma Il viso rosso come una barbabietola tradisce, allora rettifico: “Ero e sono religiosa, ma qui figuro come Contessa Ledòchowska con le vesti laiche, il resto non interessa nessuno”.

“Allora qui non ci sono le religiose?" ‑ "No, ci sono solo io". Questa volta rispondo coraggiosamente; Sr. Wielowiejska e Sr. Zaborska dalle feste si trovano a Merentahti; Sr. Margherita conversa, non la conto, le novizie nemmeno, perché ancora non sono delle religiose vere e proprie. L'ispettore sembra contento, se ne va, ma noi restiamo preoccupate, tanto più che veniamo a sapere, che inizia la perquisizione dal Vescovo Monsign. Denisiewicz, del Decano ed anche dall'Arcivescovo.

Monsign. Denisiewicz fu condannato a non ricevere per due anni lo stipendio che gli spettava, perché trovarono presso di lui il documento dell'erezione della Congregazione Mariana a Mosca. Ebbero luogo anche delle grandi perquisizioni dalle Suore francesi di San Giuseppe. Il Sign. Tia¿elnikow, questo "confessore" delle persone religiose riuscì a sapere, che erano persone consacrate. Anche P. Wierzbicki, Gesuita, che a Mosca fungeva da impiegato ecclesiastico approvato dal governo, confessò finalmente di appartenere ad un ordine religioso. Era questa una mancanza di coerenza e lo stesso Charuzyn mi diceva più tardi: "Si déjà il avait menti il aurait du mentir jusqu’à la fin". E fu espulso dalla Russia.

A noi ci ordinarono di rivedere tutti i nostri documenti e di bruciare quelli, che potrebbero tradire che siamo delle religiose. Durante la notte ebbe luogo questo “autodafè” ed i ricordi, le lettere, anche la S. Regola finirono nella stufa, perché ci minacciava la perquisizione.

Mandai Sr. Margherita a Merentahti, perché lì ancora c'era silenzio, così avrei potuto dire con la coscienza tranquilla che a Pietroburgo non ci sono le religiose.  A Merentahti feci togliere la grata dal coro. Le Suore dovettero pettinarsi come le persone laiche, seppellimmo le Regole ed altri documenti nella sabbia ed usammo tutte le altre precauzioni. Io girai un po’ per sviare il pericolo. Andai dal Provveditore agli Studi di Pietroburgo, il Conte Musin‑Puszkin, il quale fin ora ci aveva dimostrato benevolenza. Gli raccontai la mia conversazione coll'ispettore dicendo: "Je suis religieuse comme Napoléon dans son ìle de Ste Hélène – ergo”. Questa è solo una questione personale. Fu cortese ‑ però sentii dalla sua bocca queste d'altronde lodevoli parole: “Madame, je vois en vous un danger pour la Russie”.

Povera Russia, così debole, che io una povera religiosa costituisco per essa un pericolo.

Un pomeriggio, ad un tratto il cortile di S.Caterina si riempì di soldati a cavallo ‑ ecco la perquisizione. P.Decano Budkiewicz, c'invia il messaggio di essere pronte. Subito lo strappiamo a pezzetti. - Il peggio è la cappella per la quale non abbiamo l’autorizzazione dal governo. Questa volta la paura fu vana. Si dimostrò, che questi soldati furono inviati per tutta un'altra cosa, non mi ricordo quale. Dopo qualche ora piena di timore ritornò una momentanea tranquillità.

Più tardi, al ritorna a Merentahti seppi che l’ispettore scolastico e Tia¿elnikow vennero e visitarono la scuola ed il pensionato; si fermarono a lungo davanti ad un regolamento appeso sopra la porta di un dormitorio chiedendo perché non fosse scritto in russo ‑ per fortuna non arrivarono fino alla cappella.

Tia¿elnikow doveva venire da me in questi giorni. L’attendevo dunque e non partii per Merentehti come al solito (fu l’unica settimana che lasciai di recarvimi); mandai la sign. Leonia con l'ordine affinché Sr. Wielowiejska e “zia Rosetta” lasciassero immediatamente la Finlandia e si recassero a Cracovia via mare Helsingfors – Lubeck. Sapevo, che questa sarebbe stata una tragedia per Sr. Wielowiejska. Sr. Zaborska mi raccontò come si svolse questa tragi-commedia. Tutta la notte facevano i pacchi. Sr. Wielowiejska sottomessa, solo che le lacrime le scorrevano lungo le guance, invece "zia Rosetta” eccitata. Le sembrava di essere già quasi una martire ed ogni tanto proferiva delle frasi piene di patetico entusiasmo. L’indomani ­partirono per Helsingfors. Dopo qualche giorno ricevemmo telegramma che erano arrivate fe1icemente a Cracovia. Forse sono stata troppo scrupolosa, ma ci tenevo di poter dire in tutta la verità che le religiose non c'erano.

Qualche giorno dopo venne Tia¿elnikow  per “confermarmi” a modo suo. Fu gentile, ma insisteva ed insisteva per andare a fondo. Gli dicevo che ero religiosa, ma qui lavoravo come una persona secolare. “Lei ha la dispensa dai voti?” – “No, non c’è l’ho, ma posso ottenere da Roma subito”. “ Lei ha qui una specie di noviziato?” – “No, non ce l’ho”. “Mi pare che sul regolamento appeso nelle camere da letto c'è scritto che alle alunne non è permesso di parlare russo”. Sussultai sdegnata: “Si vede che il Sign. ispettore che l'ha letto non conosce il francese (in questa lingua era redatto il regolamento). Non vi era scritto nulla di simile. Questa è una bugia. Ritirò quest’affermazione, osservando il mio sdegno. Dovetti firmare la mia confessione e se ne andò. Le autorità ecclesiastiche – evidentemente molto preoccupate - mandarono l'ordine di rinviare da Merentahti due sacerdoti religiosi. Si temeva che anche lì Tia¿elnikow si sarebbe messo a "fare l’ordine”.

Finito l’orario delle lezioni mi recai a Merentahti  per comunicare quest’ordine ai Padri. Era il 3 aprile, c'era abbastanza neve, così dopo 2 ore tornai a Pietroburgo.

La cappella di Merentahti senza il SSmo, le Suore senza sacerdote, senza la Messa, senza Comunione.

"Nowoje Wremja” scriveva sempre degli articoli sui Gesuiti e su me. Quasi durante tutto un mese ebbi l'onore di essere centro d'interesse per i lettori di Pieptroburgo. E che cosa non avevano scritto. ‑ Raccontavano delle storie inaudite, su quel che facevo, dove mi avevano visto, ecc. Composizioni comicissime.

Un giorno, quando fui tornata da Merentahti, Sr. Maculewicz mi fece vedere un lungo articolo sul “Nowoje Wremja” - Pro Grafiniu Ledòchowskoju i drugich". Tutte storie, niente di vero. Però vi fu a anche il rendiconto dell'intervista col Conte Musin‑Puszkin ed un'espressione che faceva intendere che il consolato russo sosteneva i miei intrighi. Mi ero spaventata. L’ambasciata russa non glielo perdonerà ‑ i potenti cominceranno a litigare e la parte peggiore, come nel “Les animaux malades de la peste" vi avrà l’indifeso asino. Devo at­tendere per vedere che cosa succederà.

Il giorno dopo Sr. Maculevicz m'interrompe la lezione dicendo, che il consolato austriaco mi desidera subito. Corro sul posto. Il console (Conte Berchtold) non c'era; mi ricevette il "chargé d'affaires” ‑ Ungherese ‑ non mi ricordo il cognome ‑ verso di me molto ben disposto. “Ha letto, signora, l’articolo di ieri sul “Nowoje Wremja”? ‑ "Sì, l'ho letto”. - "Lei che ne pensa?” “Io non posso passarci sopra. Musin-Puszkin attacca il nostro consolato". ‑ Non vale la pena di mettercisi, Signore, certamente non si era espresso in questo modo. Lo conosco. E' stato il corrispondente a scrivere delle bugie, in Russia tutti mentiscono à qui mieux mieux. – “Allora lei pensa, signora, che è meglio, che faccia finta di non aver letto quest 'articolo?” – “Certamente meglio, non vale la pena attaccarcisi. – “Allora va bene, sia”.

Respirai dopo aver tranquillizzato il chargé d'affaires, perché avrei dovuto subire io le conseguenze della lite.

A casa già leggono il nuovo numero di “Nowoje Wremja” - la lettera aperta di Musin‑Puszkin al corrispondente con cui ebbe l’intervista; lo rimprovera in russo per aver pubblicato delle bugie, che non avrebbe mai osato parlare in questo modo del consolato austriaco. Se avesse supposto che sapeva mentire in questo modo, non gli avrebbe nemmeno parlato.

Il pericolo fu evitato e quel che è meglio, da allora il “Nowoje Wremja” smise di scrivere di me.

Per Pasqua venne dal vescovo la disposizione di chiudere la cappella di Pietroburgo. Fu questo un colpo per noi, un vero colpo. Stavamo tanto bene in quella piccola cappellina col SSmo, con la Messa quotidiana e adesso invece ci devono togliere il Signore.

Se mi ricordo bene, questo avvenne nel secondo giorno delle feste pasquali ‑ nel pomeriggio venne il sacerdote e portò via il SSmo; spegnemmo la lampada ‑ le suore piangevano, come durante un funerale. Non abbiamo abolito la cappella, ma rimase senza il Signore, senza la S.Messa e senza la lampada. Correvano alcune voci, che tutto questo non era necessario, troppe cautele, per non dire troppi timori, ma l'auto­rità ecclesiastica aveva dato l'ordine, bisognava ubbidire.

Temevo sempre per Merentahti, perché anche lì c'era la cappella ‑ pur se senza sacerdote. Sicuramente, già sanno tut­to ‑ bisognava assicurarsi; decisi di non'aspettare, ma di an­dare da Harusin incaricato delle “religioni straniere”. Chiesi di essere ricevuta, ci andavo con batticuore, pur se adesso ero tranquilla, perché non avevo alcun bisogno di mentire. Tro­vai tutto così, come mi hanno detto: Harusin seduto in poltro­na, dietro la scrivania in uno studio elegante, con due fines­tre alle spalle. Mi fece accomodare dirimpetto a se. Il suo viso nell'ombra, il mio esposto alla luce. Egli osserva, si vede. Il viso serio con sorriso molto raro ‑ lo sguardo pene­trante, deve essere intelligente, freddo, non direi nemmeno antipatico. Chiede qual'è lo scopo della mia visita, ed allora gli spiego, che tutti ce l’hanno con me; ho tanti dispiaceri, che vorrei sapere se anche con la cappella di Merentahti non avrò delle difficoltà. Egli fa finta di non sapere nulla sul mio conto ed io gli racconto tutta la mia storia, che ero reli­giosa, che ricevetti dal S.Padre la dispensa dai voti, ma sog­giungo che questo non cambia il mio modo di pensare e di sentire, che egli sappia che nel mio cuore rimarrò quel che ero ‑ non lo nego. Parlo della cappella in Finlandia. ‑ "Non è per­messo di avere la cappella senza l'autorizzazione del governo”. – “Non lo sapevo, perché in Finlandia l’avvocato mi aveva detto che non occorreva avere il permesso”. - Come si deve fare adesso, la cappella c'è; ho lì delle bambine e le insegnanti e nella nostra religione abbiamo il precetto che ci obbliga sotto pena di peccato di ascoltare la Messa di domenica. Lei comprende, che non posso chiudere la cappella spontaneamente, perché avrei dato il cattivo esempio della non osservanza del precetto. Se la polizia chiuderà la cappella, io non ne sarò responsabile ed avrò la coscienza tranquilla".

In qualche modo lo comprese e mi consigliò dì redigere una domanda chiedendo il permesso per la cappella. Chiedeva le condizioni nelle quali mi trovavo. Chiese se la colonia polacca mi vede di buon grado; risposi di si, ma dentro di me pensavo, che di sicuro sapeva di quelli che tante cose dicevano contro di noi. Alla fine mi tranquillizzò. Sembrava piuttosto ben disposto verso di me. Tornai con la speranza nel cuore. Forse Harusin non è tanto cattivo, come si dice di lui. Ancora qualche altra volta mi recai da lui; e scrissi la domanda per la cappella. Mi prometteva, che il permesso ci sarebbe stato, ma intanto non si faceva nulla. Però non avevo l’impressione che mi fosse nemico. Una volta mi disse bonariamente: "Madame, vous avez un grand défaut – vous croyez tout ce qu’on vous dit – vous ne devez croire que quand vous avez un papier en mains ». – « Monsieur, je dis toujours la vérité, donc je crois ce qu’on me dit ».

Questo fu il mio ultimo incontro con Harusin. Dopo poco tempo fu trasferito e il suo posto fu occupato da Mienkin, il quale mi pare fosse stato primo governatore generale a Varsavia, oppure qualcosa di simile nel Regno. Un tipo completamente diverso da Harusin.

Ancora una cosa dimenticai: durante la mia ultima visita da Harusin, chiesi se potevo rimanere a Pietroburgo per il prossimo anno scolastico: rispose che non mi ordinava di lasciare Pietroburgo, ma mi consigliava di farlo, perché altrimenti avrei avuto molti dispiaceri. Sapevo quindi a che cosa mi dovevo attenere. Bisognava arrangiare le cose in modo che io non stessi a Pietroburgo. Invierò Sr. Zaborska al mio posto a S. Caterina ed io occuperò il suo a Merentahti; sarà bonnet blanc et blanc bonnet, tutto rimarrà come prima. Ancora una volta per concludere la campagna, chiesi di ricevere l’udienza dal Primo Ministro Stolypin. Era la fine di maggio. Si trattava di porre chiaramente la questione di avere il permesso per la casa in Finlandia, per non subire poi la persecuzione.

Mi recai a Kamiennyj Ostròw; entrai in una villa magnifica ove d’estate risiede il Consiglio dei Ministri. Entro in una grande sala ove trovo molti signori rivestiti di diverse uniformi costellati di decorazioni militari. Dovrò attendere – penso – invece mi fanno passare per prima.

Stolypin mi riceve in piedi, tende la mano ‑ una ce l'ha anchilosata. Alto, con un’espressione scura, antipatico. Alzo la testa quanto posso, perché in simili circostanze l’umiltá non porta frutti. Dico in un tono fiero ed offeso: "Excellence, je viens porter plainte contre le Ministre de l'Intérieur", egli stesso lo era, essendo anche nel medesimo tempo Presidente del Consiglio. Con un'aria esprimente piuttosto meraviglia mi chiese di che si trattava.

Allora mi lamentai del modo in cui era stata trattata – se che parlai in una maniera piuttosto aspra ed altezzosa, difendendomi. Chiesi, se credeva veramente nelle favole che si raccontavano sul conto dei Gesuiti. Naturalmente, dovette rispondere di sì. Finalmente arrivai alla questione più importante. “Non rimarrò a Pietroburgo, ma posso rimanere in Finlandia, ove ho una villa?” – “Si vous me donnez la parola que vous n’aurez pas là de convent,  je vous permets de rester en Filande. Je ne veux pas voir de convent”. Come un lampo balenò il pensiero – come fare – e poi la riflessione come mantenere la parola. Bisogna promettere. “Je le promets, je n’avrai pas de convent”.

Lo scopo dell’udienza era raggiunto. Dopo un freddo congedo ritorno a S.Caterina. Tutte le insegnanti attendono di sapere come è andato, quale risultato ho ottenuto, ecc. Racconto e siamo contente che almeno in Finlandia posso rimanere. Io intanto penso, come mantenere la parola e nello stesso tempo continuare la scuola a Maerentahti. Già tramite Padre Vlodimiro, al quale scrivevo di tutti gli episodi della persecuzione, ricevetti dal S.Padre per iscritto la dispensa dai voti per me, per Sr. Wielowiejska, Sr. Margherita e Sr. Zaborska. Naturalmente questo era fatto solo per il governo russo. Non ne parlai nemmeno alle Suore. Adesso mi sono rivolta al S.Padre, tramite Padre Vlodimiro con un’altra domanda; chiesi di poter, finché non cambino le circostanze, di ammettere le mie Suore, senza intervento dei vescovi ai voti privati, ma in modo, che questi voti siano considerati come canonici, appena tutto torni alla normalità. In questo modo non esporremo i vescovi, manterrò la parola, perché non vi è convento ove non ci sono religiose, e non ci sono religiose senza voti canonici – e così la nostra vita religiosa potrà continuare a svilupparsi, senza impedimenti.

Il S.Padre anche a questo acconsentì. Durante tutto questo periodo delle persecuzioni il Papa, il quale sapeva tutto quello che ci riguardava da P.Vlodimiro, fu con noi infinitamente buono. Ci dava tutti i permessi straordinari che chiedevo. Scrivendo al P. Vlodimiro usavamo specie di soprannomi. Il S.Padre chiamavamo S.Giuseppe, gli altri non mi ricordo.

Il S.Padre mi mandò a dire di star tranquilla riguardo al problema della sincerità, perché era naturale che a “questi signori” non si poteva dire tutto.

Di quanta consolazione fu per noi la consapevolezza che il S.Padre conosce le  nostre difficoltà, ci aiuta dandoci dei permessi straordinari e pensa a noi con tanta bontà. ‑ Il nostro caro S.Padre – il nostro cuore si rivolge a lui con tanto affetto - adesso pieno di speranza, che fra poco sarà incluso tra i beatificati.

Fu una vera grazia del Signore: avere la casa a Merentahti, sapevo almeno dove andare. Così rimanevo vicino alle mie Suore di Pietroburgo, e non restavo senza tetto, né mi mancava il campo di lavoro. Partirò da Pietroburgo, ma nulla cambierà per quanto riguarda la nostra attività. Adesso vedevo chiaro che Dio aveva avuto dei disegni particolari nell'ispirarmi il pen­siero di creare una scuola in quel deserto finlandese. Come non riconoscere la Provvidenza che dirige il nostro piccolo gruppo?

In quei tempi ebbi anche dei fastidi a causa del passaporto austriaco, che le Suore Orsoline diedero a Sr. Maddalena, odierna Sr. Gerarda, invece di quello russo con il quale essa entrò da loro.

Si scoprì, che essa aveva un passaporto falso e la polizia si occupò della questione il che fu molto pericoloso in quel peri­odo di persecuzioni ed inquietudini.

Chiamai Sr. Maddalena e le dissi che a causa delle mie difficoltà col governo, non la potevo aiutare, perché avrei potuto compromettere l'intera opera. Avrebbe dovuto arrangiarsi da sola ad uscire dall'impaccio ‑ pur se mi faceva tanta pena.

Mi ricordo, come cercava di tranquillizzarmi; col viso illuminato e sorridente mi assicurava con tutto il cuore: "Andrò per la Madre anche nella "tiurma" (carcere russo). Sapevo che potevo contare sulla fedeltà delle mie figliole e vorrei che questo rimanesse come esempio per le future generazioni.

L'hanno chiamata in questura ‑ forse un’ora intera la interrogavano ed ella li confondeva con delle risposte intelligenti e spiritose, mettendo in particolare avanti la scusa di essere analfabeta, che finalmente l'avevano lasciata libera esclamando: “è furba come il diavolo".

Ci riferì tutto quello che aveva loro raccontato – abbiamo riso tanto – “ho detto un mucchio di bugie, però per la gloria Dio”. Non lo negai, lo fece in buona fede e così il Signore l’avrà accettato.

L'anno scolastico volgeva verso la fine. Facevo veramente le valigie, perché da allora avrei dovuto risiedere a Merentahti. Mi ricordo, che il Decano, Padre Budkiewicz mi avvertì, che dopo soggiorno nella grande città, mi sarebbe stato difficile di abituarmi alla solitudine fìnlandese, io però non lo temevo affatto, e grazie a Dio non avevo nessuna nostalgia di Pietroburgo.

Già prima della partenza per Merentahti ‑ sentivo il bisogn­o ‑ dopo tutto quello che passai durante gli ultimi sei mesi, di allontanarmi almeno per qualche giorno da quell'ambiente ove infieriva la persecuzione ed ogni sorta di repressioni.

Soffrii molto in quest'ultimo semestre; il timore per le mie Suore, per la nostra opera, che a causa nostra il ginnasio e il pensionato di S.Caterina avrebbero potuto essere chiusi, i sacerdoti compromessi e sopratutto la più grande preoccupazione di non essere colpevole di menzogne, non offendere il Signore, mi logoravano i nervi.

Mi spiegavano, che potevo tranquillamente servirmi della restrizione mentale, riconosco che forse veramente sotto questo punto di vista esageravo, plus catholique que le pape, ma per cambiare avrei dovuto cessare di essere me stessa.

Talvolta invidiavo i martiri - li interrogavano -  potevano rispondere sinceramente e morire per la loro fede, invece io de­vo sfuggire come un serpente, per non esporre nessuno e nello stesso tempo evitare di mentire. Non potevo immaginare una peggiore forma di persecuzione. Adesso avevo un momento di respiro e approfittai per recarmi per una settimana circa a Cracovia.

Sr. Wielowiejska mi attendeva con nostalgia. Mi riposai lì per qualche giorno, mi consigliai riguardo a varie questioni con Padre Tuszowski, il quale è stato il mio direttore per vari anni ed è amico della nostra Congregazione; poi con rinnovate energie ritornai al lavoro. Sr. Wielowiejska per maggior sicurezza mase per un altro po' di tempo a Cracovia e più tardi ritornò Merentahti. Mi incontrai a Cracovia con una delle nostre ex‑alli­eve ‑ Tola Lozinska, la quale ha promesso di venire a settembre a Merentahti per aiutarci nel lavoro.

Le vacanze trascorsero molto tranquillamente, dopo tutto quel periodo di inquietudine e di timori. Nel tabernacolo della cappe­lla ritornò il SSmo Sacramento. Verso la fine delle vacanze venivano a turno i sacerdoti da Pietroburgo ed ospitammo anche uno che venne perfino da Varsavia ‑ stavamo bene come sempre nella nostra cara Merentahti. Capitò da noi anche una certa giornalista americana. Trascorse a Merentahti 10 giorni ‑ la invitai perché molto stanca. Godeva tanto di quel soggiorno che poi scrisse un bellissimo articolo nei giornali americani intitolato "In the heart of the fores, just like home, sweat home” (Nel cuore della resta, proprio come "la casa, dolce casa"). Era scritto in una maniera veramente bella; l'avevo messo via, ma naturalmente rimase in Finlandia ed andò perso.

All'inizio delle vacanze ebbi una preoccupazione: mi spariro­no ancora a Pietroburgo 600 rubli ‑ non fu questo uno scherzo per la nostra cassa. Scoprii poi che la colpa era di una delle nostre giovani maestre, un'austriaca, la quale poi lo confessò, in apparenza con grande pentimento ‑ purtroppo venimmo a sapere in seguito, che ella fece moltissimi debiti per conto della nostra scuola  - e li dovetti pagare tutti. Passai molti momenti amari, attendendo se ne sarebbero usciti fuori anche degli altri; anche su questo ad un certo punto si fece silenzio. Dopo qualche settimana piena di preoccupazioni, la rimandai con tanto dispiacere. Così giovane e tanto perfida.

Ci fu di grande consolazione durante queste vacanze, la visita di Padre Bernardo Lubienski ‑ un santo Redentorista, così amabile, sereno, malgrado la sua invalidità (una gamba quasi del tutto paralizzata); si fermò da noi per quasi tre settimane. Tenne un corso di esercizi spirituali per le Suore ed uno per le allieve. Ci trovammo tanto bene con lui.

Ogni giorno si recava, pur se con tanta difficoltà, alla statua della Stella del Mare – grande amante di maria e del mare – soleva dire: je veux voir mes deux mères.

Si avvicinava la fine delle vacanze. Si erano presentate già più di 20 alunne ed intanto eravamo nei guai per la mancanza delle maestre. La sig, J., la quale ci promise di venire, all’ultimo momento rifiutò. Sr. Wielowiejska anche fu trattenuta dalle Suore di Cracovia, perché preparava le loro giovani agli esami, non si presentò nel tempo stabilito – sarei dovuta rimanere sola con Sr. Czernilowska e Sr. Arciszewska.

Ecco si vedeva, che l’anno 1911 doveva essere un anno di preoccupazioni, ma il Signore, come sempre, dopo averci provato per un po’ di tempo sistemò tutto.

Mi ricordo tanto bene, un pomeriggio di domenica stavo seduta tutta preoccupata nella mia cella  - quando entrò precipitosamente una delle Suore: “Arriva Sr.Wielowiejska”. Corsi fuori casa e trovai la carrozzella finlandese dalla quale saltò fuori Sr.Wielowiejska. Con quanta gioia la salutai. Ella era al settimo cielo perché si trovava di nuovo a Merentahti con le sue suore. Metà preoccupazione sparì. Sr, Wielowiejska è una grande lavoratrice, con lei ce la faremo. Poco dopo venne anche Tola – sulla quale non contavo più tanto; la sign. Arciszewska – madre di Sr. Arciszewska ci offrì i suoi servizi, ci aiutava nelle lezioni di religione. Presi anche un’insegnante di musica – e così la scuola fu ben sistemata, poteva andare avanti. La preoccupazione sparì.

Sapevo che anche a Pietroburgo, Sr. Zaborska, la quale aveva preso la direzione del pensionato, si sarebbe arrangiata bene. In questo modo di qua e di là ci mettemmo al lavoro. Subito dopo le vacanze iniziò la costruzione della lavanderia con qualche stanzetta attigua, vicino al limite della nostra pineta. Non rimase però per molto tempo perché era poco pratica – già nel 1913, la trasferimmo più vicino alla casa.

Subito dopo la festa di Sant'Orsola mi recai a Roma. Dopo tutto quello che avevamo passato avevo bisogno di assicurarmi se avevo agito bene, di pregare un po' di più, chiedendo forza e luce là, dove i grandi atleti della fede subirono il martirio e chiedere il coraggio per le mie deboli forze, per il mio così insufficiente amore.

A Varsavia incontrai la sign. M.Tyszkiewicz, la quale doveva essere la mia compagna di viaggio ‑ proseguendo per quanto mi ricordo, subito per Roma, senza fermarmi a Varsavia.

Con quanta gioia vidi da lontano, dal finestrino del treno, la cupola di San Pietro. Si delineava simile ad una nube azzurrognola sospesa nell’aria. Là c’è il S.Padre, il Padre Vlodimiro. M.Teresa ‑ il cuore del cattolicesimo, così crudelmente perseguitato in Russia.

Non starò a descrivere con quanto cuore mi ricevette M.Teresa e con quanta bontà venne da me il P.Vlodimiro. Naturalmente questa volta non mi vi recai con abito religioso, questo sarebbe stato impossibile a causa delle condizioni nelle quali ci trovavamo in Russia.

Naturalmente ebbi di nuovo l’udienza dal S.Padre; quando entrai, si rivolse con un sorriso birichino alla mia sorella: “E questa signora ha il permesso del governo?” Mi chiese anche: “Non avrà detto una bugia?” Grazie a Dio potevo rispondere di no. Mi pare, che allora mi  firmò il permesso redatto dal P. Vlodimiro, che potevamo pronunziare i voti privati – oralmente, questo permesso l’avevamo già ricevuto, però desideravamo di averlo per iscritto. Mi firmò anche una fotografia del Papa benedicente: “Deus te benedicat Pius PP.X.". Ho questa fotografia nel mio Vangelo.

Mi pare anche che questa volta abbia detto alla fine: “Dovete venire un altro anno, perché fra due anni non mi troverete più”.

Questo scritto del S.Padre più tardi mi rese molti servigi.

Durante nove giorni mi recai alla Scala Santa, perché l’avevo promesso al Signore nei momenti più difficili a Pietroburgo. Mi piaceva tanto salire in ginocchio questi santi gradini e, anche se questo era stancante, arrivare fin su alla grande croce.

Il 13 novembre, festa di San Stanislao Kostka mi recai nella chiesa ove c’è la sua tomba. Padre Vlodimiro vi celebrò la S.Messa. Mi confessai da lui e mi diede la santa Comunione. All’una salutai la mia cara M.Teresa – la quale è stata sempre tanto buona con me. Questo congedo era sempre doloroso per me, ma bisognava muovere di nuovo verso il nord.

Dopo qualche giorno mi trovai di nuovo a Merentahti – “in the silente of the wood” (nel silenzio del bosco) come scriveva la nostra giornalista americana.

Ambedue le nostre case - Pietroburgo e Merentahti prosperavano.

Trovai tutte sane. A Merentahti avevamo di nuovo un cappellano P. Rutkowski, e di nuovo ci trovammo bene nel nostro deserto ­col Signore. Ogni mese intanto al recavo a Pietroburgo ove continuavo occuparmi delle Congregazioni Mariane ‑ pur facendolo con molta cautela. Le mie suore godevano quando di nuovo ci trovavamo insieme a Pietroburgo per qualche giorno. La persecuzione pareva essere cessata. Il posto di Harusin lo prese Mienkin, un ex governatore o governatore generale. Naturalmente dovetti recarmi da lui, e presentarmi per trattare la questione della cappella in Finlandia.

Completamente diverso da Harusin; anche lui seduto in una grande stanza luminosa, grosso, sorridente ‑ sembrava un bonaccione, pare, però non tanto quanto dimostrava il suo aspetto.

Riguardo alla cappella non sapeva niente e mi fece fare un'altra domanda. Mi raccontava, che mi hanno da rimproverare, perché raduno i ragazzi per cantare con loro inni patriottici. Mi sdegnai, perché non l'avevo mai fatto. Che cosa non inventa la gente! Gli raccontai della Finlandia. Tornai a casa convinta, che non era tanto cattivo ed invece poi si scoprì che mi era nemico.

Presto vennero le feste in Finlandia; una parte delle allieve partì, l’altra rimase. Arrivò dalla sua figliola il Generale Babianski. La vigilia fu lieta, poi la Messa di Mezzanotte, Capo d’Anno. Per le feste in seconda data venne un gruppetto di Suore e di bambine da Pietroburgo e poi di nuovo silenzio ed il lavoro nella scuola.


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