don Carlo Calori MADRE ORSOLA LEDOCHOWSKA
UNA SANTITA’ CONTENTA ALLE SORGENTI DELLA GIOIA CRISTIANA
Che ne è della gioia, oggi, nella nostra società, nel nostro modo di vivere?
Como novembre 2000 |
Usciamo da un secolo che ha conosciuto due guerre totali e devastanti che ha visto la cancellazione di popoli interi, che ha sconvolto la vita di centinaia di milioni di famiglie.
E dopo tanti anni vissuti sul filo della tragedia in quel terzo di mondo in cui si sta dilatando a dismisura il benessere materiale (a spese degli altri due), una delle malattie che imperversano più largamente è la depressione: una beffa per la nostra cultura efficientistica e competitiva.
Nessuna meraviglia che l’uomo soffra oggi di una insopprimibile fame di gioia di una vita che abbia senso e speranza. Anche se, quasi sempre, questa fame è mascherata da una specie di rassegnato distacco. Si ha paura di farsi vedere troppo ingenui, troppo infantili…
E così, anche un credente rischia di avere pudore anche solo ad evocare che il Vangelo è “lieta notizia”, “Parlare di gioia oggi, ma che vi viene in mente?”.
Sembra ripetersi la situazione descritta dal Salmo 137: seduti in riva ai fiumi di Babilonia piangevamo pensando a Sion… Avevamo appese ai salici le nostre cetre: E là pretesero da noi canti di gioia i nostri oppressori…Come cantare il canto del Signore in terra straniera?”
Come è possibile gioire in un mondo di contraddizioni, in una storia carica di ingiustizia e di squallore?
Eppure non c’è altro modo di vivere da discepoli del Vangelo, se non facendoci testimoni oggi, soprattutto oggi, di una “santità contenta”.
In realtà, a che cosa servirebbero tutte le nostre strategie pastorali senza testimoniare amore per la vita, senza un allenamento alla positività e all’ottimismo, senza quella “gioia di esserci” che è attinta all’annuncio gioioso della libertà donataci da Cristo?
Il popolo ha ragione: “Un santo triste è un tristo santo”. Forse per questo Teresa d’Avila chiedeva al Padre di essere liberata “dai santi imbronciati e dalle monache tristi, come da combriccole di diavoli”.
Alcuni santi che hanno vissuto profondamente il dramma del nostro tempo hanno capito bene questa esigenza.
Tra loro spicca una donna polacca,. proclamata beata dal Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua seconda visita in Polonia (1983): Jiulia Maria Ledòchowska (1865 – 1939), fondatrice delle “Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante”. Questa donna ebbe a scrivere qualche anno prima di morire: “Dio si è riservato il diritto di santificare gli uomini per mezzo della croce, a noi invece ha lasciato il soave dovere di sorreggerli nel penoso cammino lungo la via della croce seminando intorno piccoli raggi di felicità e di gioia. Possiamo farlo molto spesso, con quel sorriso che parla loro dell’amore e della bontà di Dio…”
In tutte le testimonianze delle persone che l’hanno conosciuta si ripetono sempre le espressioni” tranquilla, serena, gioiosa, dinamica, tutta per gli altri. Ma della Beata Orsola - così conosciuta dal suo nome di religiosa - in Italia si conosce ancora troppo poco.
L’abbondante epistolario e i numerosi scritti occasionali non sono ancora stati tradotti dalla lingua polacca pur essendo ormai diffusa non poco anche tra noi la famiglia religiosa da lei fondata.
In Italiano abbiamo qualche scritto in occasione della beatificazione (pregevole quello di Padre Molinari S.J su “ La Civiltà Cattolica”) e un opuscolo di carattere divulgativo, ma ben documentato composto recentemente da Sr. Margherita Tiburzi. Questo breve scritto meriterebbe di essere ampliato, trasformato in libro e largamente diffuso.
Abbiamo bisogno più che mai di una “lezione di ottimismo”, come è stata efficacemente definita la vita di questa donna straordinaria, eppure tanto vicina alla sensibilità contemporanea.
Non facciamoci idee sbagliate: Quella di Madre Orsola è “lezione “ vera, che non ha nulla da spartire con i tanti surrogati che sono in circolazione. Li conosciamo tutti gli ottimisti di professione, se sorridere è il loro mestiere, lasciamoli in pace. L’offerta facile di gioia garantita è caratteristica, oggi, anche di certa propaganda “religiosa” esercitata da movimenti all’apparenza entusiastici, che promettono “guarigioni” ma finiscono col ridurre la credibilità del messaggio e. prima o poi, ingannano chi è triste, povero, sofferente.
Non è di questo stampo il messaggio di Madre Orsola.
Da bambina fu chiamata dalla madre: “Raggio di sole”, per la sua pronta bontà, per la sua capacità di consolare, per la gioia nel servire senza farsi attendere…
A questa definizione fu fedele per tutta la vita. Educatrice carica di sereno entusiasmo. Apostola e missionaria in Russia: Pioniera dell’ecumenismo nei paesi scandinavi. Creatrice di uno stile di vita religiosa fatto di povertà, essenzialità, agile capacità di adattamento ad ogni forma di vita che intreccia il carisma della educazione a quello della carità verso i più bisognosi.
E tutto questo in mezzo a continui disagi, nuove chiamate e gagliarde tribolazioni, quale fu ad esempio. La momentanea ma amarissima incomprensione sofferta nell’incontro con il S. Padre, il Papa Benedetto XV…
Eppure la gioia del Vangelo ha sempre avuto la meglio.
Ma quali motivazioni portanti hanno fatto di Madre Orsola una risposta vivente all’invito dell’Apostolo: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi” (Fil 4,4)?
Il primo motivo è teologico, riguarda la virtù della fede. Se è vero che la realtà del peccato – quello dentro di noi e quello al di fuori di noi – può rattristarci così come rattristò Gesù nell’Orto degli Ulivi, è anche vero che la croce di causata dai nostri peccati, si è risolta nella Risurrezione, che vince la morte e che supera radicalmente il peccato.
La gioia dunque è prima di tutto un atto di fede nella Risurrezione di Cristo, che è la radice e l’inizio della nostra risurrezione, di quella finale in cui si risolvono definitivamente le nostre croci, e di quella quotidiana che trasforma ogni momento della nostra vita, anche i più negativi e i più tristi.
Il secondo motivo è psicologico-ascetico. La nostra tristezza deriva spesso dall’attività frustrante in un mondo che non apprezza la nostra fede e il nostro servizio. O forse la nostra frustrazione deriva dal fatto che noi facciamo i nostri progetti, anche molto intelligenti ed efficaci… poi le circostanze della vita e della storia li rovesciano o li rendono inutili. Facciamo fatica a credere che “ l’uomo si agita e Dio lo conduce”. Allora è il caso di vivere meglio la speranza cristiana,. Essa consiste nell’essere convinti che il Signore ci aiuterà sempre e che nulla va perduto, perché il Signore tiene conto di tutto e dà valore ad ogni umile impegno, anche se non si ottengono i risultati che noi avremmo desiderato, ma… quelli che il Signore intende.
Il terzo motivo potrebbe essere ricondotto alla carità. Nel senso che in una società ansiosa e delusa fra gente spesso sopraffatta da tristezze, che invano cerca di affogare nel divertimento o nell’autodistruzione, la testimonianza di una gioia motivata e convinta diviene un incoraggiamento e un sostegno.
Madre Orsola ne è stata convinta. Ha sempre vissuto questo segreto. E lo ha lasciato come eredità preziosa alle sue figlie. “Ci si lamenta spesso – scrive – che oggi è quasi impossibile incontrare un volto sereno, sorridente. I tempi sono duri, molto duri, e sul volto degli adulti e perfino dei fanciulli le preoccupazioni e l’ansietà hanno impresso il suggello della delusione e della tristezza. Come dopo un lungo inverno l’uomo ha nostalgia dei raggi primaverili del sole, così in questi tempi difficili si cerca un viso sereno, raggiante, sorridente. Poco fa Varsavia mi hanno perfino detto che la gente si volta quando vede un viso sereno…”
Certo. La gente si voltava anche per vedere il volto sereno di Madre Orsola.
Fede Speranza e carità. Sono le sorgenti profonde di una esistenza che lascia zampillare la gioia pura del Vangelo. Non siamo forse al cuore della vita cristiana. Ci aiuta Maria Santissima tanto amata da Madre Orsola. Maria, che. Riassumendo tutta la storia della salvezza con i suoi contrasti e le sue contraddizioni, canta “Magnificat!, il cantico della gioia esultante. Non a caso tra gli altri titoli delle litanie, la tradizione la saluta “Causa della nostra letizia” della nostra gioia.