La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

 

Italia Le COMUNITA' in Italia

INCONTRO

del Centro italiano - Roma, 1 dicembre 2018

 

Ritiro Spirituale in preparazione all'Avvento

con don Pierrick RIO

 

   

 

Commento spirituale alla  2 lettera di San Pietro  di Alois Stoger (Città Nuova)

 

Il mondo di oggi sta vivendo delle grandi trasformazioni e   non possiamo rimanere estranei a questo processo.  Siamo stati mandati nel mondo per annunziare la buona novella. Tuttavia come  rimanere fedeli alla nostra vocazione, alla verità stessa del messaggio ? Come non tradire la nostra missione nel mondo.  Questo problema si presentava già alla Chiesa primitiva, e la seconda lettera di San Pietro lo  affronta invitandoci da una parte a non falsare la fede tramandata dai padri, e dall’altra ad essere attenti alle nuove esigenze. Il criterio di discernimento rimane la fede. La verità trasmessa dagli apostoli rimane intangibile. Questa verità è la parola di Cristo, che sta al centro della rivelazione; essa è stata preannunciata dai profeti, e dagli apostoli è stata trasmessa alle comunità.

 

Per insegnare, confutare, ammonire, l’autore della seconda lettera di Pietro ricorre alla Bibbia: “E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla i un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino. Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio.” (2 Pietro   1, 19_21).

La Bibbia va interpretata nella luce della vita e degli insegnamenti di Cristo, di cui gli apostoli sono stati testimoni oculari e auricolari ( 2 Pietro 1, 16-18); essa può essere interpretata rettamente soltanto da chi ha lo Spirito Santo (1, 21); ma possiede con certezza lo Spirito Santo solo colui che confessa la fede cattolica tradizionale “In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio “ ( 1Gv 4, 2). L’interpretazione della Scrittura deve concordare con l’insegnamento tradizionale, per cui coloro che non sono ben formati e saldi nella dottrina della fede corrono il pericolo di falsare il senso della Bibbia “come in tutte le lettere, nelle quali egli (Paolo) parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina” (2 Pietro 3, 16).

 

   

               

La vita cristiana si svolge tra la venuta di Gesù nella debolezza e nel nascondimento, e la sua  venuta in potenza e gloria. Il cristiano vive fin d’ora negli “ultimi tempi”, in modo da partecipare fin d’adesso di quella gloria, ma la piena manifestazione non è già avvenuta. Perciò egli ha ancora bisogno del lume della Sacra Scrittura; perciò il suo cammino è un procedere a tentoni nell’oscurità, e, nel campo morale, la sua vita è impegno e lotta contro l’assalto delle tentazioni. La vita cristiana si può comprendere solamente alla luce di questa tensione tra la prima e la seconda venuta di Cristo. Per la nostra libertà ha ancora bisogno della guida della legge.

 

“Vi siano concesse in abbondanza grazia e pace per la conoscenza perfetta di Dio e di Gesù, Signor nostro” (1,2)

Grazia e pace indicano in sintesi tutti i beni di salvezza comunicati ai cristiani. Ci viene augurata la grazia: cioè il favore di Dio e l’effetto di questo favore che ci fa accetti a Dio.  Nella pace invece dev’essere ristabilito quell’ordine che l’uomo ha perduto col peccato. Anche il patto concluso tra Dio e Israele mirava a questa pace. Ora essa ci viene donata con nuova pienezza in Cristo, affinché siamo interiormente nell’ordine e tutti gli uomini insieme possano vivere in una società ordinata nell’amore di Dio.

                Tutti e due questi doni devono crescere : su questa terra infatti essi sono sempre soltanto un inizio di quel dono ben maggiore che ci aspetta. E si accrescono nella proporzione che aumenta in noi la conoscenza di Nostro Signore Gesù Cristo. Questa conoscenza non è una cognizione superficiale, ma molto di più: è un riconoscere con fede che Gesù è il Signore, assentire col cuore a questa verità è un permeare tutta la vita. Soprattutto però è l’esperienza di Gesù Cristo stesso, che implica una progressiva e costante intimità con lui. Gesù ci viene incontro nel Vangelo, nel sacramento dell’altare, nel fratello che ci sta accanto – giorno per giorno. Sotto tutte queste forme dobbiamo imparare a conoscerlo con amore e sempre più profondamente, vivendo in lui nella fede e nella pace.

 

IL CORPO DELLLA LETTERA   (1, 3 – 3,16)

 

La seconda lettera di Pietro è scritta contro dei falsi maestri (2,1), i quali, pur non avendo ancora rotto con la Chiesa (2, 13), tuttavia informano la loro vita a concezione che sono in contrasto con l’insegnamento tradizionale. Costoro prendono in giro quelli che camminano all’antica (3,3). La loro parola d’ordine è “libertà” (2, 19), per cui non si curano affatto di prescrizioni morali e danno libero corso alle loro brame e passioni (2,10. 14. 18.). I vizi dei pagani, che essi avevano abbandonato o avrebbero dovuto abbandonare col battesimo, tornano ad annidarsi nella loro vita (2, 18ss). Sono libertini (“liberali”) e credono che la conoscenza abbia fatto di loro dei perfetti.

                Non hanno alcun riguardo per il “comandamento santo” (2, 21) della dottrina tradizionale: lo mettono semplicemente da parte, oppure lo travisano a loro arbitrio. Il punto essenziale della fede è la verità della venuta di Cristo per il giudizio futuro e l’instaurazione della salvezza definitiva alla fine dei tempi. Ebbene, essi negano questa verità, richiamandosi all’esperienza dei fatti: da troppo tempo ormai i cristiani aspettano questo avvenimento, con la convinzione che sia vicino, ma niente è accaduto; la loro “conoscenza” invece dice ad essi chiaramente che gli eventi finali sono già accaduti e non c’è più altro da aspettare.

                La lettera prende dunque posizione contro la falsa dottrina dell’indipendenza morale (libertinismo) e contro la negazione dell’evento escatologico. Il discorso si divide in due parti: dapprima abbiamo un ammonimento a tenersi saldi alla dottrina tradizionale (1, 3-21), poi si confutano le false teorie (2, 1-3, 16).

IMPEGNO MORALE (1, 3-11)

“La sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente, grazie alla conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua potenza( virtù) e gloria.”

                La divina potenza di Gesù Cristo, Dio e Salvatore, ci ha dato tutto quanto è necessario alla salute: fede, remissione dei peccati, grazie, energie divine, comunione di vita con Dio, lo Spirito Santo. Gesù ha operato e suggellato questa effusione di doni divini nel nostro battesimo. E cio’ che ci ha dato allora, non lo ritira più, per quanto dipende da lui. Ci ha dato tutto a tal punto, che non ci manca più nulla. Tutto per la nostra salvezza, cioè per la vita e per la pietà. Quanto ci viene da Gesù, si esplica infatti nella pietà, nel timor di Dio, nell’orientazione della propria esistenza a lui, nell’adempimento della sua volontà, nelle opere di culto. La vita che possediamo fin d’ora, contiene poi in sé la promessa di quella futura, poiché “Aspettiamo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna” (Giuda, 21).

                Alla salvezza si giunge attraverso la conoscenza di colui che ci ha chiamati. Da parte nostra, all’inizio della via della salvezza sta la fede, la conoscenza di Gesù Cristo: senza questa conoscenza per fede, nessuno puo’ giungere a salvezza. Ma da parte di Dio, che opera mediante Gesù Cristo, noi siamo dei “chiamati”: solo se lui chiama, ci è aperta la via alla conoscenza. E’ Dio inoltre a portarci a cio’ a cui ci chiama.

                Gesù chiama mediante la sua gloria e virtù. E’ Cristo che possiede la gloria, lo splendore e la potenza divina. E’ sua la virtù, compiendo lui, in tutto, la volontà di Dio. “E se alcuno ama la giustizia, frutto delle fatiche di questa sono le virtù; essa infatti insegna temperanza e prudenza, giustizia e fortezza, di cui non c’è nulla di più utile nella vita dell’uomo” (Sap. 8, 7). Ebbene, Gesù ci chiama e ci fa partecipi della sua gloria e della sua virtù.

 

“Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina, sfuggendo alla corruzione, che è nel mondo a causa della concupiscenza (2 Pietro 1, 4)

                Tutto quanto finora ci è stato dato, tende alla nostra salvezza finale. Con quanto abbiamo avuto nel battesimo e che caratterizza la nostra vita cristiana, abbiamo ricevuto le più grandi e preziose promesse. Dio condurrà a termine cio’ che ha iniziato. La vita donataci da Gesù è già di per sé promessa di quella ancor più grande e preziosa che ci attende.

                Essa è partecipazione della natura divina. Dio vuole partecipare la sua gloria! La rivelazione neotestamentaria ha tentato una gran quantità di espressioni e di immagini per esprimere la realtà ineffabile riservata a coloro che raggiungono la salvezza finale. La seconda lettera di Pietro usa un’espressione corrente presso i filosofi greci. Forse non è molto perspicua, ma centra l’essenziale: partecipazione alla natura divina e con ciò partecipazione alla vita propria di Dio. E’ più di quanto noi si possa pensare e desiderare : è saziata completamente la nostra più profonda aspirazione al tutto, al perfetto, alla felicità. Chi potrà comprendere fino in fondo quel che questo significa?

                Ma non conseguirà questa promessa chi non si è sottratto alla corruzione che dilaga nel mondo a causa della concupiscenza. Alla futura partecipazione della natura divina sta di fronte la corruzione, come alla vita eterna sta di fronte l’eterna morte, che è la dannazione. Chi vuole aver parte alla vita divina, deve sottrarsi alla corruzione. Ma come? Cade nella corruzione che cede alla concupiscenza, e la concupiscenza viene eccitata dal “mondo”. L’espressione qui, come di frequente nel Nuovo Testamento, significa il mondo del male, del peccato, il mondo che si oppone a Dio. Del mondo inteso in questo senso Giovanni puo’ dire: “Tutto cio’ che è nel mondo : la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, l’orgoglio della vita, non è dal Padre, ma è dal mondo” (1 Gv 2, 16). Il mondo eccita l’istinto sensuale, la cupidigia del possesso e l’orgoglio dell’uomo che vuol bastare a se stesso ed essere indipendente da Dio. Chi intende seguire sempre i propri istinti e non negarsi nulla di quanto questi reclamano, si allontanerà per forza dalla volontà di Dio per cadere nel peccato e, di conseguenza, nella corruzione. “L’amicizia del mondo è inimicizia nei riguardi di Dio” (Gc. 4, 4).

                Dio ha già dato inizio alla nostra salvezza, ma manca ancora il compimento. La tensione tra quel che già possiede e quel che non si è ancora ottenuto impone inevitabilmente la prova morale. Si tratta di raggiungere il compimento della salvezza. Dio vuole che à ciò ci impegniamo. Soltanto così, quanto s ié già ottenuto diventerà possesso definitivo. Questa tensione ha però questo di consolante: quel che noi dobbiamo fare, Gesù ce lo ha già donato in anticipo con la sua divina potenza; la nostra “pietà” scaturisce dalla vita che egli ci dà, e la nostra “virtù” dalla gloria divina che egli ci partecipa. Così siamo tenuti svegli e costantemente protesi in avanti dalla speranza, stella luminosa della nostra vita.

 

2  Risposta e cooperazione dell’uomo (1, 5-7)

 

                All’azione di Dio, l’uomo deve rispondere con la propria cooperazione. Secondo una forma letteraria frequente, viene costruita una “catena di virtù” (Rm 5, 3 ss; Gc 1, 2 ss ; Sap 6, 17-19), in cui queste sono collegate le une alle altre come degli anelli. Il primo e l’ultimo anello sono costituiti dalla fede e dalla carità. Oltre a queste due virtù, in questa lettera ne vengono nominate altre sei che potrebbero essere collegate a due a due: virtù e conoscenza, temperanza e pazienza, pietà e amor fraterno. Il primo paio sviluppa lo sforzo personale, il secondo supera gli ostacoli alla condotta morale, il terzo regola i nostri rapporti con Dio e col prossimo. Così tra la fede e la carità la nostra vita può essere ordinata sotto ogni aspetto, nella “pace” con Dio, con gli uomini e con sé stessi.

“Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l’amore fraterno, all’amore fraterno la carità.

Altra traduzione “studiate di alimentare con la fede la virtù…” L’espressione biblica vuol dire : coltivate con tutto il vostro impegno la virtù con la fede. Il Cristiano deve fare qualche sacrificio per la salvezza. Gesù nella sua predicazione non ha mai nascosto che per entrare nel regno di Dio si esige l’impegno estremo di tutte le energie. Al principio della catena sta la fede, al termine la carità. Sul fondamento della fede deve sorgere la carità e svilupparvisi come un albero dalla radice. Così la nostra fede produce sempre nuovi rami, foglie e fiori, affinché possano maturare i frutti della carità. O, se si vuole usare l’immagine di un ponte: fede e carità ne sono i pilastri piantati nel fiume. Sono esse che danno a tutta la costruzione delle altre virtù il loro carattere autenticamente cristiano. Ciascuna di queste deve avere il giusto principio e tendere al giusto fine. Dunque, i due pilastri basilari che sostengono l’edificio di tutte le virtù sono la fede e la carità. E né la fede senza la carità, né la carità senza la fede piacciono a Dio.

                Con la fede la virtù. La fede è la radice della vita cristiana. Da essa si sviluppa la virtù. Questo termine puo’ farci pensare a sottigliezze morali e a imprese di poco conto. Qui invece si vuol significare qualcosa di forte : secondo il N.T. possiede la virtù colui che adempie in tutto la volontà di Dio. Così la fede piena è dedizione alla parola e alla volontà di Dio.  Difficilmente capirà questo chi pensa che la fede si esaurisca nell’adesione dell’intelligenza alle verità rivelate; mentre lo capisce bene chi intende la fede nel senso biblico e vede in essa sia l’adesione alla verità che la dedizione a Dio che si manifesta

                Con la virtù la conoscenza : conoscere non è solo comprendere, bensì un entrare in profondità con la mente e col cuore. L’impegno morale produce finezza di sensibilità per cio’ che è di Dio e per cio’ che Dio vuole da noi. “La vostra carità ancora più e più cresca in conoscenza e in pienezza di discernimento” (Fil. 1, 9).  Il retto agire è sempre accompagnato da una crescita della nostra conoscenza. Nella luce di Dio vediamo in altro modo anche le cose che ci stanno attorno, il nostro lavoro e il prossimo. Questa luce ci illuminerà ad intendere sempre più chiaramente la realtà quotidiana.

                Con la conoscenza la temperanza. Chi progredisce sulla via della conoscenza, impara ogni giorno di più a “dominarsi”. Egli sa infatti quali sono i veri beni, quelli veramente importanti al di sopra di tutto, e quante sono le cose inutili con le quali perdiamo il nostro tempo. Il temperante sa in particolare dominare i propri istinti e le proprie passioni, è padrone di se stesso. Questa virtù non è debolezza, bensì energia controllata, poiché le nostre passioni tendono facilmente a straripare. La temperanza viene nominata anche assieme alla giustizia (atti 24, 25); essa infatti è necessaria per adempiere la volontà di Dio. Se ne ha bisogno se si vuol conseguire la salvezza.

                Con la temperanza la pazienza. Chi ha imparato a dominarsi, è anche capace di essere paziente, perché sa che i massimi beni non si possono guadagnare che mediante la costanza combattiva di un animo forte. La coppia “temperanza e pazienza” sta al centro della catena tra fede e carità. Per perfezionare la fede nella carità, per il compimento dell’opera della salvezza, sono necessarie la temperanza e la pazienza, giacché la nostra vita è costantemente minacciata da tutte le parti. (Ebr. 10, 36)

 

                Con la pazienza la pietà. Solo chi è costante nella lotta contro le passioni scatenate e contro le potenze nemiche di Dio, giunge ad un culto autentico di Dio.  La pietà deve coinvolgere tutta la vita con le sue esperienze e le sue prove, con le sue gioie e i suoi dolori, quasi albero irrobustitosi sotto i raggi del sole e lo scrosciare degli uragani.

                Con la pietà l’amor fraterno. Il vero culto di Dio deve sempre dimostrarsi nell’amore fattivo, che ne è la misura e il fine. Qui si intende particolarmente la circolazione dell’amore nella comunità, le attenzioni premurose gli uni per gli altri, il silenzioso aiutarsi a vicenda, la sollecitudine per i fratelli e le sorelle indigenti. “Religione pura e senza macchia… è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nella lor sventura (Giac 1, 27). “Se taluno dice: Io amo Dio, e poi odia il suo fratello, egli è un bugiardo” (1 Gv 4, 20). Vedere e amare Dio nell’uomo, questo si’ è espressione del timore di Dio, poiché Dio ha creato l’uomo a sua immagine. Cio’ che avremo fatto o non fatto al minimo dei fratelli, lo avremo fatto o rifiutato a Gesù (Mt 25, 35-46)

                Con l’amor fraterno la carità. Se amiamo i fratelli nello spirito di Gesù, cio’ avviene per quella carità soprannaturale (agape) che Dio ci partecipa e che è irradiazione della carità stessa di lui. L’amor fraterno dei cristiani non è un semplice sentimento umanitario, bensi’ espressione di un amore che si dona totalmente, espressione di un esistere e vivere per gli altri. E’ un riflesso di colui, del quale Giovanni dice “Dio è carità” (1 Gv 4, 16). L’agape è l’apice e la corona di tutte le virtù, l’anello che chiude la catena. Chi ha la carità, adempie la legge e i profeti (Rm 13, 9; Gal 5, 14). Tendiamo, dunque, in tutto quanto pensiamo o facciamo a tale carità.

“Questi doni, presenti in voi e fatti crescere, non i lasceranno inoperosi e senza frutto per la conoscenza del Signore Nostro Gesù Cristo. Chi invece non li possiede è cieco, incapace di vedere e di ricordare che è stato purificato dai suoi antichi peccati.”

                Il fine della vita cristiana è la conoscenza di nostro Signore Gesù Cristo, una conoscenza perfetta e una costante comunione di vita con lui. “In questo consiste la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv. 17, 3). Questo fine viene raggiunto soltanto se la vita non rimane  inoperosa e senza frutto. Prodotto e frutto della vita è infatti questa conoscenza di Cristo, anzi la partecipazione alla sua gloria divina. Tutte le potenzialità e buone doti che Dio ci ha dato devono venir sviluppate. Il Signore ha gettato nel nostro cuore il seme, ma siamo noi che dobbiamo, come l’agricoltore, fare quanto è nelle nostre forze per portar frutto. Anche se è vero che la crescita e lo sviluppo non sta nelle nostre mani…

                Chi non si sforza di acquistare la virtù, si mostra cieco e miope, non vedendo quel che Gesù si aspetta dalla nostra vita. E’ privo della luce degli occhi, non ha la vista sana per riconoscere il vero scopo dell’esistenza. Ha dimenticato di essere stato mondato nel battesimo dai peccati commessi nella precedente vita pagana. Il ricordo  di tale purificazione dovrebbe fargli capire che da lui si attende una vita senza peccato. Ché, la vita cristiana è tesa tra il  battesimo e il compimento della salvezza. Noi costruiamo sul fondamento posto da Dio, si’ ; ma Dio vuol portare a termine l’edificio non senza di noi. Nei sacramenti Dio opera cio’ che essi significano, il lavacro purificatore del battesimo opera la purificazione dal peccato; ma il battezzato deve ricordarsi di questa purificazione, non deve comportarsi da cieco e miope. Di frequente dobbiamo porci davanti agli occhi cio’ che noi siamo veramente e qual è la realtà profonda che sta alla base della nostra vita.

“Quindi, fratelli, cercate di rendere sempre più salda la vostra chiamata e la scelta che Dio ha fatto di voi. Se farete questo non cadrete mai.”

                La vocazione e l’elezione divina sono l’inizio della salvezza. L’una e l’altra precedono il battesimo. (Rm 8, 29). Senza vocazione ed elezione, infatti, nessuno può entrare nel regno di Dio. Ma esse devono essere rese salde, valide e definitive. E cio’ avviene attraverso il nostro impegno e il nostro sforzo. Dio pone il principio della salvezza, ci rivolge il suo amore di elezione: senza di noi; ma l’eterna salute vuole donarcela solo col nostro contributo.

                Chi si impegna, non resterà privo della salvezza. Infatti, anche per chi è- stato chiamato ed eletto alla grazia si dà la possibilità della perdizione eterna.? Le condizioni per entrare nel regno di Dio vanno adempiute. Gesù le enumera nelle otto beatitudini ( Mt 5, 2-10); la seconda lettera dii Pietro nomina otto virtù. La beatitudine eterna, alla quale siamo chiamati, a noi adulti verrà data soltanto se compiremo effettivamente la volontà di Dio.

 

   

 

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